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da Il Manifesto del 16 giugno 2004

Le immagini agli antipodi, sfida alla realtà di Massimiliano Civili

SYDNEY
Con il thriller kiwi My Father’s Den di Brad McGann si è aperto venerdì scorso a Sydney – ingiallita per la penuria di pioggia e immalinconita dalla pochezza delle prime schermaglie politiche pre-elettorali – il cinquantunesimo festival del cinema (Sydney Film Festival – Sff). Annunciata come una delle parate cinematografiche agli antipodi più interessanti degli ultimi anni, il Sff andrà avanti fino al 26 giugno, con 230 fra lungometraggi, documentari e cortometraggi di più di 40 paesi. Hugo Weaving (trilogia Matrix e Priscilla) e i registi Sue Brooks (Japanese Story) e Rolf De Heer (The Tracker e Alexandra’s Project) fra gli altri nella giuria che parla per la maggioranza con accento aussie. Fra i giurati anche la paisà Lina Caneva, vincitrice l’anno scorso della sezione corti con The Mascot, e regista nel 1994 di GreenPeace in Australia, un documentario girato a bordo di un’imbarcazione di GreenPeace nei mari del sud-est australiano venti anni dopo le battaglie contro gli esperimenti nucleari nei territori downunder. Anche in questa edizione del festival corti e documentari aussie affronteranno temi caldi fra i quali l’eutanasia, la stolen generation e la politica del governo Howard sull’immigrazione. Presentato in prima mondiale Madeimoselle and the Doctor di Janine Hosking, che racconta del rapporto tra l’artista di origine francese Lisette Nigot – che nel 2002, a Perth, scelse la «dolce morte» anche se non gravemente malata – e il suo medico e attivista in favore dell’eutanasia Philip Nitschke, sta già generando polemiche a non finire. Molto ci si attende anche da Who was Evelyn Orchard? di Ivan Sen, sull’assimilazione coatta degli aborigeni, e da Anthem di Tahir Cambis, che analizza il rapporto tra politica dell’immigrazione e guerra al terrore in Australia («cosa vuol dire essere australiani oggi?»). Negli slogan del festival gli organizzatori promettono tanto: «una miscela di nuovo e classico, di drammatico e provocante». E allora la direttrice artistica Gayle Lake ha pensato di recuperare due vere e proprie reliquie del cinema in bianco e nero, la versione originale del 1954 di Godzilla – metafora della catastrofe nucleare nipponica di pochi anni prima – e quella restaurata di uno dei muti storici della tradizione cinematografica australiana The Sentimental Bloke, del 1919. La pellicola del regista Raymond Longford è incentrata sulla vita di un `larrikin’ – un vagabondo perditempo – che abbandona il bush di Woolloomoolloo, oggi sede di una ricca area residenziale, per confrontarsi con le realtà della vita urbana di Sydney. Il film anticipa i temi di Waltzing Matilda di qualche anno più tardi e del difficile rapporto tra l’uomo, la natura e l’inevitabile progresso.

Il festival poi ospiterà una retrospettiva di Michelangelo Antonioni (« volevo celebrare il 90esimo compleanno del grande regista ferrarese»- ha dichiarato Lake). accompagnati da due documentari sul suo cinema, saranno proiettati 14 film diretti da Antonioni durante un arco di 50 anni, da Cronaca di un amore del 1950, a L’Eclisse del 1962 fino ad Al di là delle nuvole del 1995. Tra gli eventi di maggior richiamo del SFF il canadese The Saddest Music in the World, con Isabella Rossellini nel ruolo di una baronessa della birra in sedia a rotelle e due recenti premi Oscar: il documentario Chernobyl Heart e l’animato Harvie Krumpet. Direttamente da Cannes poi The Life and Death of Peter Sellers, con l’australiano del Queensland Jeffrey Rush che ha già annunciato che non seguirà l’esempio di Peter Garret – ex-cantante rock radical dei Midnight Oil – non candidandosi alle prossime politiche. Assente il cinema italiano contemporaneo.