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Le navi prigione della quarantena coatta

Quando anche la pandemia serve a trar profitto dai migranti mentre avanzano le politiche di selezione

Immaginatevi una nave da crociera di gran lusso: una di quelle con la piscina riscaldata, i ristoranti stellati ed i night club dove tirar tardi la notte. Immaginatevela e poi… gettate nel cestino tutto quello che avete immaginato! Le navi quarantena dove i migranti vengono isolati col pretesto di contenere la pandemia sono tutta un’altra cosa. Attualmente, ce ne sono in attività sei, tutte appartenenti alla Gnv, la società marittima Grandi Navi Veloci: la Splendid, l’Excellent, la Rapsody, l’Allegra, l’Adriatica e la Suprema. Sino a qualche mese fa era in attività anche l’Azzurra che attualmente si trova in un cantiere turco per impellenti opere di ristrutturazione. Il che dà una idea delle condizioni in cui sono questi catorci del mare. Ma il punto non è tanto questo. In fondo, le condizioni in cui i migranti vengono confinati in queste navi non sono poi molto diverse da quelle che devono affrontare negli hotspot di terra. Il punto è che il nostro sistema di accoglienza non funziona proprio. Non funziona perché si fa di tutto per non farlo funzionare.

Le navi quarantena sono solo l’ultima assurda ingiustizia di un sistema già assurdo ed ingiusto.

E costoso, naturalmente. Già. Soltanto l’utilizzo di una sola nave costa 50 mila euro al giorno. Capita, come è successo per Azzurra che nello scorso dicembre aveva a bordo soltanto un migrante di origine ivoriana, che vengano utilizzate per pochissime persone.

«Mi domando quante cose si potrebbero fare con tutti questi soldi nel campo dell’accoglienza. Ed invece preferiscono regalarli agli armatori. E mi domando anche cosa ne sia stato di tutte le promesse fatta dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, che diceva di voler rimediare ai disastri causati dai decreti sicurezza e di voler impostare un modello basato sull’accoglienza diffusa. Ed invece… siamo ancora al modello ghetto».

Commenta così Yasmine Accardo, referente della campagna LascieteCIEntrare 1, da sempre impegnata nella difesa dei diritti dei migranti e dei rifugiati.

«Le navi quarantena sono solo uno spreco immane di denaro pubblico. Non costruiscono nulla sul territorio, non favoriscono l’inclusione ma, al contrario, causano nuove ingiustizie e tensioni. Nessuno contesta la quarantena come mezzo utile per contrastare la pandemia, per carità, ma bisogna proprio noleggiare una nave? Non ci sono altri luoghi isolati dove far attendere la gente?».

Tu sei in contatto con i migranti nelle navi?

«Forse una delle sole cose positive dello stare in una nave, è che lasciano tenere il cellulare alla gente. Molti migranti ci possono contattare direttamente. Altri casi ci vengono segnalati dai nostri amici tunisini di ‘Terre pour tous’. Così abbiamo mondi di far intervenire i nostri avvocati Alessandra Ballerini, Gianluca Vitale e Gaetano Maria Pasqualino. Siamo riusciti ad ottenere dei ricongiungimenti e ad evitare dei respingimenti. Ma, esattamente come per gli hotspot, le navi rimangono luoghi dove i diritti sono negati. Le persone non ricevono assistenza legale o informazioni sulle procedure per inoltrare richiesta di protezione e talvolta nessuna informazione in generale. Solo al momento dello sbarco sanno quale sarà il loro destino: il rimpatrio immediato, come accade per quasi tutti i tunisini, il respingimento o il CPR. Gli mettono un foglio in mano, che nemmeno riescono a leggere, e li costringono a firmare.
E’ rimasto emblematico il caso di chi dai CAS di Roma e di Amantea è stato trasferito sulle navi quarantena perché era positivo al covid, e poi tornando indietro si sono ritrovati sbattuti per strada, come se avessero autonomamente deciso di salire su una nave quarantena lasciando il centro in cui si trovavano magari da oltre 3 anni.
Ci sono stati casi di minori non accompagnati o di persone con gravi vulnerabilità. Ci sono in realtà ancora adesso e nessuno pare accorgersene».

La nave quarantena offre un servizio sanitario?

«E come potrebbe? Mica è un ospedale! Anche il personale è limitato. Per diverse settimane sulla nave Splendid c’erano solo 18 operatori per 800 migranti; adesso sono 18 operatori con 400 migranti. Che tipo di assistenza alla persona può mai essere garantita, sia essa medica o psicologica? Le condizioni igieniche, stando ai video che ci mandano i migranti, sono disastrose. Ci sono famiglie con bambini, in situazione di forte stress, dopo giorni e giorni di confinamento. Chi è ammalato deve arrangiarsi. Sono molti i casi che registriamo di autolesionismo o di cure negate. Ci sono stati dei morti!

Ricordiamo Souhad, anche lei con problemi psichici rilevanti, che da Lampedusa è finita in una nave quarantena, sempre senza assistenza, e che dopo aver saputo “i tunisini verranno rimpatriati” si è gettata dal terzo piano di un centro ad Agrigento in cui era appena arrivata, dopo il trasferimento dalla nave.
Pensiamo a Bilal, cittadino tunisino che a giugno si è buttato in mare dalla nave quarantena Moby Zaza, morendo. Ad Abou morto a giugno, a 15 anni dopo giorni di sofferenza enormi sulla nave Allegra e trasferito e quindi ricoverato quando ormai è in coma all’ospedale Ingrassia a Palermo.
Pensiamo ad Abdallah Said, morto a 17 anni all’ospedale Cannizzaro di Catania per un’encefalite dopo giorni di quarantena sulla nave GNV Azzurra dove ha vissuto senza assistenza adeguata con una tubercolosi e che è stato ricoverato d’urgenza troppo tardi. Chi lo doveva assistere o diagnosticare la malattia mentre era a bordo? Senza contare dei tanti casi che abbiamo segnalato di minori non accompagnati tenuti illegittimamente a bordo, privati delle protezioni di legge. Si capisce che in queste condizioni, scoppiano rivolte e che la gente si butti dalla nave per tentare di raggiungere la terra pur di fuggire da quel limbo senza risposte e senza futuro».

La pandemia è solo una giustificazione?

«Ripeto. Tenere in quarantena una persona che è stata esposta al virus è sacrosanto, ma queste navi non servono a questo. Sono soltanto un sistema per infliggere a delle persone che non hanno commesso alcun reato, e per di più in condizioni di bisogno e vulnerabilità, una sorta di pena detentiva prolungabile sino a quando fa comodo.

O, se preferite, un escamotage per tenere la gente fuori dalle scatole il tempo necessario per organizzare il rimpatrio forzato.

Ci sono persone per le quali questa cosiddetta ‘quarantena’ è durata 50 o anche 60 giorni. Che senso ha da un punto di vista epidemiologico? Senza contare che, se a bordo i positivi ed i negativi sono sistemati in zone separate della nave, quando sbarcano, in molti casi, non è stata rispettata la separazione e sono tutti mescolati! Come al Cara di Caltanissetta ad ottobre dove, appena sbarcati, hanno fatto dormire tutti insieme, e pure per terra, positivi e negativi!».

Non servono a contenere la pandemia, non servono all’accoglienza. A cosa servono queste navi, oltre che a far guadagnare gli armatori?

«Potrei risponderti che servono egregiamente a ledere i diritti, rappresentando il “delitto perfetto“, ma la verità è che tutto il sistema di accoglienza è mal impostato e le navi sono una parte di questo sistema ma con una valenza in più. L’idea stessa di ‘nave’ restituisce l’immagine di qualcosa che è lontano, che è fuori dai nostri confini, che non ci appartiene, che possiamo dire di “non vedere”. Sono un perfetto esempio di quella disumana esternalizzazione della frontiere che abbiamo visto anche in Libia, in Turchia o nel deserto del Niger, che è il cardine dell’agenda politica dell’Unione Europea sui migranti».

  1. Al sito della campagna è possibile leggere gli ultimi report delle persone intrappolate sulle navi: https://www.lasciatecientrare.it/

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.