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da Diagonal Numero 0 di novembre-dicembre 2004

“Le porte dell’immigrazione”: i nuovi strumenti del governo a distanza

Sandra Gil Araùjo*

La proposta italo-tedesca di creare centri per immigrati fuori dalle frontiere europee non è nuova. Dagli anni ’70 gli stati dell’Unione cercano di affidare il “controllo dei flussi” a parti terze.

La proposta italo-tedesca di istituire centri per immigrati fuori dalle frontiere dell’Unione Europea ha provocato le critiche di diverse organizzazioni dei diritti umani e di appoggio a rifugiati e immigrati.
E’ probabile che queste voci, che si aggiungono ai disaccordi che esistono tra i paesi dell’Unione, abbiano portato l’attuale presidenza olandese ad evitare di includere nel recente Programma dell’Aya qualsiasi riferimento specifico su questo punto.
Alcuni paesi comunitari, tra i quali l’Inghilterra, da tempo parlano di questa idea che vuole creare “porte di immigrazione” in paesi in prossimità alla UE (se parla di Marocco e Libia) nei quali concentrare, e deportare, tutti gli stranieri e i richiedenti asilo che cercare di raggiungere il territorio europeo.
Lontana da essere un’iniziativa innovativa, questo progetto di “externalización” è in linea con il processo di costruzione della politica migratoria comunitaria. Il Panorama di controllo configurato negli ultimi 40 anni dai diversi trattati, accordi, piani, documenti e conclusioni hanno sostenuto lo sviluppo di nuove misure che possono essere lette come la messa in campo di tecnologie di governo neoliberiste.
Gli accordi di riammissione con i paesi di origine e transito dell’immigrazione, le multe alle compagnie di trasporto, gli uffici di collegamento negli aeroporti dei paesi terzi, le minacce di sanzioni economiche agli stati che non collaborano nella lotta contro l’immigrazione illegale, i respingimenti alle frontiere, le espulsioni congiunte, i centri di detenzione, i diversi data-base, sono solo alcuni esempi del processo di trasferimento di responsabilità dall’Unione Europea – che continua a essere il centro delle decisioni – agli altri attori, pubblici e privati, che rende possibile l’esercizio di un governo a distanza.
Governare in modo liberista avanzato significa separare le decisioni delle istituzioni politiche formali dagli altri attori sociali.

Controllo remoto
Questo paradigma di dislocamento e “externalización” ha rafforzato vecchi strumenti che fanno uso di parti terze per la gestione dei flussi (stati terzi, compagnie private, autorità locali). La loro assunzione ha preso tre forme: un dislocamento verticale, da cima a fondo dell’amministrazione statale, un dislocamento geografico, verso altri punti di controllo frontaliero e una delega di responsabilità verso il settore privato e i governi dei paesi terzi. Non si tratta di una ritirata ma del fatto che lo Stato sarà autonomo da altre entità con le quali rimarrà vincolato attraverso una catena di responsabilità e relazioni. Così il governo si dispiega lungo una rete formata da diversi attori e spazi, che permettono la razionalizzazione, l’ottimizzazione e l’economizzazione delle risorse e anche il superamento di alcune tensioni.
Con questo sistema di controllo remoto, i governi occidentali evitano alcune limitazioni poste dagli organismi giudiziari nazionali, che molte volte si pronunciano a favore dei diritti degli immigrati. Se questi diritti possono essere difesi meglio nell’ambito nazionale, la proliferazione di misure per scongiurare gli arrivi, per deviarli e dissuaderli cercano di evitare che queste persone si stabilizzino nel territorio, visto che una volta stabilizzate è molto più difficile farle tornare indietro.
Le frontiere si muovono, mutano, si moltiplicano.
Assistiamo al ripristino dei controlli alle frontiere e ad una ridefinizione delle loro funzioni.
I controlli, come il capitale, non hanno ormai più limitazioni che imponeva la natura territoriale dello Stato nazione.

* Sandra Gil è sociologa, specialista in politiche migratorie e ricercatrice del Programma di Migrazioni e Cittadinanza dell’Istituto Universitario di Ricerca Ortega e Gasset.