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Le sfide della nuova Europa e il rischio di apartheid interno

Intervista a Sandro Mezzadra, Università di Bologna

L’intervista a Sandro Mezzadra, docente presso la Facoltà di Scienze Politiche all’Università di Bologna e ricercatore di storia delle dottrine politiche, riflette sulle conseguenze che le modalità di questo allargamento comportano rispetto al concetto di cittadinanza europea.

Domanda: Quali sono le tue riflessioni sulla decisione di “congelare” – attraverso una moratoria – i cittadini dei nuovi Paesi europei? Non credi che si creeranno cittadini di serie A e cittadini di serie B?

Risposta: La moratoria è un problema in sé perché riguarda la condizione materiale di molte migliaia di donne e uomini, ossia i cittadini dei Paesi che sono entrati a far parte dell’UE dal 1 maggio, ma è anche un problema più generale perché dice qualcosa di molto importante a proposito della forma della cittadinanza europea che sta sorgendo.
La moratoria, lo ricordiamo, è stata decisa per il diritto di libera circolazione dei lavoratori che dai nuovi Paesi membri dell’UE intendono stabilirsi nei vecchi ed assumervi lavori dipendenti tradizionali. Si tratta di una moratoria che ha una durata differenziata, stabilita dai singoli Paesi membri della vecchia UE e che in realtà ha degli effetti molto precisi – anche se in qualche modo locali – che si possono misurare ad esempio in quelle aree della Spagna e dell’Italia dove molto forte è l’impiego della forza lavoro stagionale in agricoltura.
Sono ormai un paio d’anni che viene segnalata in queste aree la presenza di lavoratrici e lavoratori migranti (specialmente di cittadinanza polacca ma anche di altri paesi che erano candidati a diventare membri dell’UE), che si trovano a competere in condizioni di relativo privilegio con la manodopera magrebina ed africana, impiegata negli anni scorsi in queste medesime aree. Quello che si determina in questo modo è un mercato del lavoro fortemente stratificato, in cui competono non solo quelli che erano candidati a diventare cittadini di serie B dell’UE (e che ora lo sono diventati), ma anche migranti che sono totalmente privi di cittadinanza.
E’ evidente quello che questo comporta dal punto di vista della flessibilizzazione e delle condizioni di ricatto della forza lavoro che viene impiegata all’interno di questi territori in agricoltura. Credo che questi fenomeni siano destinati a ripetersi e forse anche ad ingigantirsi nei prossimi anni, non soltanto in agricoltura ma anche nell’economia delle aree transfrontaliere che congiungono i vecchi Paesi membri con i nuovi.
Più in particolare credo sia opportuno ragionare sul significato che tutto questo assume per la forma della cittadinanza europea. La cittadinanza europea (ratificata all’inizio degli anni ’90) è una cittadinanza che ospita al suo interno fortissime gerarchizzazioni e che assume, come suo presupposto, il fatto che nelle nostri territori e città vivano fianco a fianco donne e uomini che hanno diritti differenziati, per l’appunto cittadini di serie A, cittadini di serie B, soggetti che non sono cittadini perché hanno un permesso di soggiorno che anche quando è apparentemente stabile è in realtà sempre soggetto a possibilità di revoca. Infine soggetti che sono addirittura privi del permesso di soggiorno.
E’ questa la condizione che ha portato a parlare molti intellettuali e attivisti europei del rischio della costituzione di un apartheid all’interno dell’Europa e credo che la condizione determinata dall’allargamento a Est sia un’occasione in più per ragione su questo rischio. Anche perché, per la prima volta, viene formalmente riconosciuta l’esistenza di questa stratificazione e gerarchizzazione di diritti all’interno della cittadinanza europea.

D: Mercato del lavoro stratificato come il concetto di cittadinanza, che invece di allargarsi ed estendersi – in conformità anche all’allargamento politico ed economico dell’Europa – si restringe. I diritti di restringono.

R: A mio avviso quello che dobbiamo cogliere e sottolineare nei processi di cui siamo testimoni, è un segno profondamente ambivalente. Non esiste una contraddizione tra l’allargamento dell’Europa e la contrazione dei diritti, quest’ultima è infatti parte di una trasformazione strutturale legata a doppio filo all’allargamento dell’UE. Allargamento dell’UE e trasformazione della cittadinanza sono due processi che vanno di pari passo e che contemporaneamente pongono delle sfide, rappresentano delle opportunità e iscrivono il nostro presente nel segno di alcuni rischi fondamentali.

D: I rischi sono quelli che hai già citato?

R: Sono appunto la cristallizzazione di questa situazione, in cui all’interno della cittadinanza vengono formalmente sancite posizioni differenziate. Il fatto stesso che ci si abitui a pensare come condizione normale la convivenza e la cooperazione sociale e produttiva tra donne e uomini che hanno diritti profondamente differenziati. Questo è il rischio fondamentale inscritto nelle tendenze di trasformazione della cittadinanza all’interno dei singoli paesi occidentali e che la cittadinanza europea in qualche modo ci ripropone come problema dell’intero continente.

D: Guardiamo ora all’interno di questi nuovi Paesi che si dovranno conformare alla politica economica europea. Che cosa è successo e succederà al loro interno?

R: Anche da questo punto di vista è presente un’ambivalenza e contraddittorietà di segno dei processi in atto. E’ facile prevedere che – soprattutto nella prima fase successiva all’allargamento dell’UE – per le società di questi Paesi ci sarà un processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro, un progressivo attacco alle garanzie sociali che sono rimaste in buona misura come eredità del socialismo reale. Un ottimo strumento per documentarsi sulle condizioni sociali ed economiche di questi paesi può essere il dossier pubblicato dal quotidiano il Sole 24 Ore, attraverso alcune schede sulle condizioni sociali ed economiche dei dieci nuovi Paesi da cui emerge chiaramente che, per quanto riguarda la tendenza alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, sono decisamente più indietro rispetto a Paesi come l’Italia. E’ facile prevedere che da questo punto di vista ci sarà un processo di flessibilizzazione del mercato del lavoro – quindi anche della cittadinanza – indotto dalla necessità di adeguarsi agli standard che regolano l’UE.
Tuttavia non credo che questo possa condurre ad immaginare un’opposizione nostalgica e nazionalista alle trasformazioni determinate dall’ingresso di nuovi Paesi nell’UE, perché queste trasformazioni hanno un segno profondamente ambivalente. Si deve infatti ricordare che l’ingresso dei nuovi Paesi comporta la costituzione uno spazio transnazionale al cui interno gli stessi movimenti sociali si troveranno ad agire nei prossimi anni e che già da tempo stanno cominciando a praticare.