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da Il Manifesto del 25 maggio 2005

Lecce, Lodeserto condannato a 8 mesi

di Antonio Massari

BARI

Otto mesi di reclusione per simulazione di reato. E’ la pena (sospesa) inflitta ieri a don Cesare Lodeserto, ex direttore del cpt Regina Pacis di San Foca (Lecce), dal giudice Annalisa De Benedictis. L’accusa, sostenuta dal pm Paola Guglielmi, puntava a una condanna di dieci mesi. Nel 2001 don Cesare inviò al proprio telefono cellulare – o qualcuno lo fece per lui – un sms contenente minacce di morte: in quel periodo stava per essergli revocata la scorta che, dopo la minaccia simulata, gli fu concessa nuovamente. Questa la tesi dell’accusa, accolta dal tribunale che ha emesso la sentenza. «Nessun commento», dice l’avvocato del sacerdote, Pasquale Corleto, «ricorreremo in appello». E, se le accuse dovessero rivelarsi fondate, questi otto mesi non sarebbero che l’inizio di un pericoloso piano inclinato: quello per simulazione, infatti, sembra il più “innocente” dei reati contestati al sacerdote che, sempre ieri, è stato ascoltato in merito a un altro procedimento penale. Si tratta del processo in cui è accusato (insieme con altri) di violenza su 17 cittadini maghrebini che nel 2002 tentarono la fuga dal cpt. Mostrando sicurezza, il sacerdote ha deposto per circa quattro ore e non s’è mai scomposto, tranne in un paio d’occasioni, quando è stato incalzato dall’avvocato degli immigrati, Marcello Petrelli, in merito all’assenza di filmati a sua discolpa, visto che il centro è equipaggiato di molte telecamere a circuito chiuso. Telecamere presenti ovunque, tranne che nel corridoio in cui i maghrebini dichiarano di essere stati picchiati. «S’è trattato di un esame inconcludente, in molte parti addirittura controproducente per l’accusato», commenta Marcello Petrelli, «don Cesare non è mai entrato nello specifico, la sua deposizione era costellata di “non ricordo”». Non ricorda chi, dopo il tentativo di fuga, abbia trasportato gli immigrati, secondo lui feriti in seguito al salto dal balcone, all’interno del cpt. Esclude la presenza dei carabinieri nel corridoio in cui si sarebbe scatenata la violenza. La perizia di un medico avrebbe dovuto dimostrare che le lesioni dei 17 immigrati sono compatibili con una caduta, ma quando il giudice ha chiesto se le stesse lesioni fossero compatibili anche con delle percosse, il medico non lo ha escluso. «Troppi aspetti della vicenda non risultano chiariti», conclude l’altro difensore degli immigrati, Maurizio Scardia.

Infine, è stata rigettata l’ennesima richiesta di scarcerazione, avanzata dai difensori di don Cesare per un altro procedimento, quello in cui è accusato di abusi e violenze contro donne immigrate, tutte affidategli in regime di protezione. Il sacerdote resta agli arresti domiciliari, poiché «in passato ha già provato a intimidire testimoni d’accusa». Insomma, esiste ancora il rischio di inquinamento delle prove e non sembra mutata, secondo il tribunale del Riesame, la sua autorevolezza nel condizionare i collaboratori, «anche all’esterno, anche ricoprenti cariche istituzionali». Ma questa volta le attestazioni di solidarietà scarseggiano. Perfino il mentore di don Cesare, l’arcivescovo Francesco Ruppi, si stringe nel silenzio. Segno che don Cesare è un po’ più solo oppure che, da qui a poco, le alte sfere vaticane sono pronte a trasferirlo altrove. E nel massimo silenzio, appunto.