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Lesvos – Intervista a Mare Liberum

Una video intervista realizzata a bordo dell'imbarcazione dell'ong tedesca

Photo credit: Mare Liberum

La traduzione dell’intervista

Isola di Lesvos, 12 marzo 2020Siamo sulla nave Mare Liberum, dell’omonima organizzazione con base a Berlino che opera nel Mar Egeo da ormai due anni, specialmente a largo dell’isola di Lesbo. Abbiamo chiesto a Flo di spiegarci il lavoro che svolge l’ong.

Ciò che facciamo è monitorare il rispetto dei diritti umani; in pratica monitoriamo la situazione in mare – dato che siamo su una barca – al confine marittimo (tra la Grecia e la Turchia) per essere presenti come occhio della società civile, per osservare cosa succede.

Quella è solitamente una zona in cui non ci sono altre organizzazioni, non mancano però le operazioni militari oltre tutte quelle persone che tentano la traversata a bordo di imbarcazioni molto piccole. Con la nostra presenza, crediamo di poter dare un contributo importante, soprattutto dal punto di vista mediatico, dal momento che cerchiamo di documentare tutto ciò che succede a largo dove difficilmente riescono ad arrivare altri media.

Si passa da specifici incidenti in cui si verificano violazioni dei diritti umani, all’operato delle guardie costiere che pensiamo siano importanti da denunciare. Molte cose che vediamo non sono illegali nel senso letterale del termine, cioè considerandole da un punto di vista legale rispettano la legge, ma noi pensiamo comunque che non rispettino l’idea dei diritti umani in sé.

Per esempio, in questa zona c’è un confine, che è rappresentato da una zona di acque internazionali, e questo significa che per quanto riguarda il modo in cui si gestiscono i soccorsi sul confine c’è una cooperazione tra la guardia costiera turca, quella greca e Frontex. Questo vuol dire che le due guardie costiere sono autorizzate a cooperare in determinati casi, ma poi hanno allargato il senso dell’accordo in modo indefinito.

Da un punto di vista legale è complicato entrare nel merito della questione. Ad esempio, la guardia costiera greca non ha il permesso di bloccare una barca che è già nelle acque territoriali greche e aspettare che la guardia costiera turca venga a riprenderla per riportarla indietro, perché quello sarebbe di fatto un pushback, ossia un respingimento. Però poi affermano: “Abbiamo rispettato l’accordo e la guardia costiera turca ci ha chiesto aiuto”, e così via. Quindi di fatto ci troviamo a operare e intervenire in una zona grigia.

Pensiamo che una parte fondante del nostro lavoro sia cercare di portare all’attenzione pubblica quello che succede ai confini dell’Europa. Anche perché questo tipo di situazioni (l’intervento delle guardie costiere n.d.r.) che siano legali o meno hanno però una base comune, ossia che non rispettano i diritti umani e costituiscono spesso violazioni.

Questo è ciò che facciamo normalmente come organizzazione. Per quanto riguarda le nostre ultime settimane sulla nave, siamo stati a Lesbo, attraccati nel porto, come abbiamo fatto anche l’inverno scorso, ma gli ultimi eventi hanno prevalso su di noi, così come su tante altre ONG e, penso, su chiunque. Quando c’è stata l’escalation delle proteste contro il nuovo campo di detenzione, siamo stati qui senza nave e abbiamo iniziato a fare dei report sugli avvenimenti che vedevamo e sulla tensione crescente.

Il culmine è stato raggiunto domenica 1° marzo, due giorni dopo che Erdogan aveva annunciato che non avrebbero più fermato le navi e aperto i confini – usando la vita delle persone – per mettere pressione all’UE. In quei giorni ci sono due fatti, in particolare, che ho osservato dalla costa e che ho trovato particolarmente impressionanti.

Il primo è quello di una barca che alle prime ore del mattino è stata attaccata in mare da un altro gruppo di persone, non è chiaro chi fosse, potrebbe essere stato della guardia costiera, poteva essere chiunque. Sono stati attaccati e gli è stato rubato il motore, ma nonostante ciò sono riusciti comunque ad entrare nelle acque greche. Quando la guardia costiera greca è stata informata del loro arrivo, è giunta sul posto insieme a Frontex, ma non ha effettuato un intervento di recupero, bensì ha aspettato per tutto il giorno che arrivasse la guardia costiera turca, nonostante navigassero in acque greche.

Dalla costa si poteva vedere un gommone e una barca Frontex, battente bandiera italiana, immobile, anche se le persone si stavano tuffando in acqua per cercare, nuotando, di spingere il gommone, perché erano talmente disperate e non avevano altri modi per muoversi, ma tutti sono rimasti fermi e impassibili. Il tutto avveniva molto vicino alla costa.

E poi, lo stesso giorno, più o meno intorno alla zona di Femi, un piccolo paese nella parte sud di Lesbo, c’è stato un incidente ai danni di un gommone che stava entrando nel porto del paese.
All’inizio c’era un raduno di persone, che è diventato man mano sempre più grande. C’erano circa 100, 200 persone al porto, ed erano così aggressive che le persone sul gommone non riuscivano a scendere, proprio quel giorno lì anche un giornalista è stato aggredito e picchiato. La violenza era talmente tanta che non c’è stato modo di intervenire, né per noi, né per i collettivi antifa giunti sul posto. Per me è stato uno dei momenti in cui ho pensato “la situazione sta diventando veramente folle“. Questo è successo ancora prima che iniziassero tutti i nostri problemi.

Rimanendo un attimo in tema di barche e traversate, dopo questi due giorni in cui ci sono stati molti arrivi, la situazione si è – diciamo – “bloccata di nuovo”, anche perché la guardia costiera turca ha ricominciato ad operare, ma quello che era veramente cambiato rispetto a prima è che le nuove persone arrivate in quei giorni non potevano fare richiesta d’asilo, e in realtà non potevano neanche arrivare sull’isola. Sono state tutte riunite nell’area del porto e ammassate su una nave da guerra che avrebbe dovuto riportarle indietro verso la terraferma, quindi direttamente deportate senza nemmeno avere la possibilità di essere registrate o di far esaminare la propria situazione. Quello che la Grecia ha fatto in quel momento è stato proprio una sospensione del loro diritto d’asilo.

Tutto ciò è una reazione assurda alla situazione, ma accusare soltanto il governo greco non sarebbe, credo, giusto perché c’è una chiara responsabilità dell’UE e di tutti gli Stati membri per quanto riguarda questa situazione, perché sono loro a decidere che la frontiera sia proprio lì e che la politica sia questa. Anche l’accordo fra l’UE e la Turchia che abbiamo da ormai 4 anni è stato fatto anche dagli altri Stati, no? Quindi non bisogna accusare solo la Grecia.

Parlando di noi, siamo stati nel cantiere navale in un piccolo porto qui, nel sud dell’isola, e il 2 marzo, siamo stati attaccati da un gruppo di 10-15 persone mascherate, con i volti completamente coperti. Ci urlavano contro e ci mostravano in maniera molto violenta che dovevamo andarcene da lì. Uno di loro è arrivato con una tanica di benzina e ha iniziato addirittura a versarla sul ponte della barca. Quindi era chiaro che dovevamo andarcene, e quindi ce ne siamo andati il più velocemente possibile. Quello che è stato davvero commovente è stato vedere che c’erano due persone del villaggio che cercavano di aiutarci, stavano dalla nostra parte, hanno provato a calmare quelle persone e ci hanno aiutato ritirando le corde senza che le dovessimo lasciare sulla spiaggia.

Per me questo dimostra che di sicuro c’è tanta gente di destra aggressiva e violenta, e fascisti che stanno prendendo sempre più potere, ma sicuramente c’è anche tanta gente che è solidale con chi lavora nelle ONG, con i rifugiati e che non vogliono che l’isola sia sopraffatta dalle idee fasciste, e questo episodio per me è stato molto importante.

Ce ne siamo andati e il giorno dopo abbiamo trovato una situazione simile: siamo attraccati in un altro porto per fare rifornimento. C’era già un raduno di persone e abbiamo lasciato il porto alla svelta perché era chiaro che non potevamo rimanere lì, siamo addirittura stati seguiti con una piccola barca per un po’, se ne sono andati quando hanno visto che ci stavamo allontanando. E poi, visto che era una baia, un po’ di gente ci ha seguiti con le macchine via terra per rendere chiaro il concetto di: “andate da quella parte!”. Quindi abbiamo preso il largo verso il mare aperto e abbiamo provato due giorni dopo ad attraccare nel porto di Mitilene ed è successa la stessa cosa: siamo arrivati, le persone si stavano già radunando, e stava già iniziando anche una specie di rissa fra persone che ci difendevano e i fascisti, quindi abbiamo deciso di andarcene perché abbiamo pensato che la situazione sarebbe degenerata ancora una volta.

Fra l’altro, in tutti questi episodi in realtà la guarda costiera e le autorità portuali ci hanno detto che non potevano garantire la nostra sicurezza e ci hanno consigliato di lasciare proprio l’isola. Ci abbiamo pensato qualche giorno, capendo quale fosse la maniera più efficace per sfruttare la pressione pubblica.

Alla fine ieri (11 marzo ndr.) siamo riusciti a trovare un posto al porto di Mitilene. Le autorità portuali ci hanno garantito la nostra sicurezza e adesso non sappiamo cosa succederà. Io credo che se avessimo attraccato in una zona portuale normale ci sarebbero state delle persone radunate contro di noi, perché anche in questa zona, pur essendo molto sicura e interna alla zona doganale, abbiamo visto che dall’altra parte della recinzione c’erano alcuni noti fascisti che si stavano già radunando, quindi penso che il rischio sia sempre presente.

Adesso abbiamo fatto un po’ di rifornimento, quindi speriamo di poter partire a breve per la missione di monitoraggio in mare.Ora che la guardia costiera turca sta di nuovo operando e non ci sono molti arrivi, pensiamo che sia comunque importante essere in questa zona per osservare cosa succede e per poterlo raccontare.

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
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