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Lettera al mondo di una donna da Moria – Isola di Lesvos (n°9)

InfoMobile (Welcome to Europe), novembre 2019

Photo credit: Massimo Sormonta, progetto SenzaConfini (Moria, dicembre 2019)

Autrice: una donna migrante

Sono una madre

Sono la madre di tre figli e la moglie di un marito malato. Lui soffre di ernia dorsale e non può camminare. Non deve nemmeno stancarsi, così tocca a me, da sola, badare a tutta la famiglia.

Sono una donna più delicata di un fiore, ma la vita che conduco mi ha resa più dura della roccia.

Ogni giorno, al sorgere del sole, incomincia il mio lavoro. Mi sveglio alle 5, stendo la mia coperta sopra i miei bambini e poi vada a prendere qualcosa da mangiare. Cammino per 800 metri prima di arrivare alla coda per il cibo. La coda inizia alle 6.30, ma voglio essere davanti, la prima su un migliaio di donne.

Tutta questa attesa per avere solo 5 focaccine e un litro di latte, che secondo me è allungato con l’acqua.

Mio figlio ha un’infezione renale ormai da cinque anni. Non resiste alla fame, quindi devo tornare più in fretta possibile.

Quando arrivo, raccolgo tutte le coperte e le stendo sul pavimento della tenda.

Pulisco un po’ davanti alla tenda con una scopa che ho fatto con le mie mani, usando dei rami. Bagno la terra con dell’acqua per evitare che la polvere e lo sporco arrivino all’interno.

Quasi non ho ancora finito, quando devo di nuovo correre a rimettermi in coda per il pranzo. La gente incomincia a rimettersi in fila alle 11.30, anche se la distribuzione inizia solo alle 13.00. E così ricomincia per me tutta la trafila dell’attesa, in condizioni insopportabili. Mentre sono in coda per ore, non so cosa succede ai miei bambini. Stanno bene? Sono al sicuro? I dolori di mio figlio sono ricominciati?

Siamo qui da 200 giorni. Ogni settimana mangiamo lo stesso cibo, sempre uguale, insipido, solo con poco sale e olio, senza spezie o sapori. Tre volte alla settimana fagioli, una volta polpette di carne, una volta pollo e una volta riso con salsiccia, che non siamo sicuri sia Hallal. Ma obbligo i miei figli a mangiare per non soffrire la fame.

Assicurare che arrivino i pasti è solo uno dei miei compiti. Devo anche fare il bucato per la mia famiglia. I bambini stanno tutto il giorno fuori e i loro vestiti si sporcano molto. Devo sfregarli continuamente per cercare di togliere le macchie e ho la pelle delle mani tutta screpolata. Devo massaggiarla con l’olio ogni sera.

Stendo il bucato e, stanchissima, mi metto di nuovo in coda per la cena – cena solo di nome. Pane secco, un pomodoro e un uovo. Dobbiamo bagnare il pane per riuscire a masticarlo. Questa non è una cena. Quando non abbiamo niente da mangiare, dobbiamo accontentarci di pane e cipolle (è un sapore troppo forte per i bambini, ma cerchiamo di accontentarci e di mangiarlo volentieri comunque).

Quando la mia giornata è finita, sono davvero esausta. Ma non voglio che la mia famiglia se ne accorga. Cerco di presentarmi con il viso riposato, che non dimostri tristezza né fatica. Cerco di nascondere a mio marito e ai miei figli le mie mani rovinate.

Qualche volta non riesco a mettermi in coda per il cibo, perché devo sopportare altre lunghe code per le visite mediche. Vado all’ambulatorio alle 7.00, ma i ritmi sono molto lenti (circa 20 minuti per ogni paziente). Nell’attesa, mio figlio sta peggio del solito, a causa dell’esposizione al sole e all’aria inquinata. Abbiamo bisogno di un permesso speciale per andare a cercare un po’ di acqua potabile.

Quattro ore in coda, senza un giocattolo o un passatempo, sono molto dure per i bambini. E lo sono anche per le donne incinte, come me. So che a mio marito non fa certamente piacere vedere che devo cercare di arrangiarmi da sola tutti i giorni. Ma non c’è altro modo. Non abbiamo nessun aiuto. Siamo da soli. E lui non può farcela.

Per la mia famiglia, io sono la forza, il coraggio, la speranza. Se io mi arrendo, chi li sostiene? Chi li aiuta? Nessuno.

Quando tramonta il sole e scende il buio, io ho tanta paura. E ho paura anche quando il cielo si rannuvola e piove. Ho paura del vento, Ho paura del freddo. Come farò a proteggere la mia famiglia? Quale riparo potrò darle, dal momento che non possediamo niente?

Quando non si ha nulla, cosa si può fare? Raccolgo le coperte da terra e metto al loro posto del cartoni. Le coperte che ci riparano dal freddo la notte, diventano i nostri tappeti durante il giorno.

Sono una madre e una moglie. I miei figli sono pezzi del mio cuore e mio marito è come il mio sangue. Loro sono tutta la mia vita. Ma cosa sono io per me stessa?

Non ho tempo per guardarmi allo specchio. Non ho tempo per pettinarmi, almeno una volta al giorno. In 24 ore, non ho il tempo per lavarmi i denti. Non posso prendermi cura della mia pelle. Non posso essere una donna.

Mi sacrifico volentieri per cercare di rendere più tollerabile la vita dei miei figli e dell’uomo che amo. Perché sono una donna. È una mia scelta. La vita qui è dura e non abbiamo un posto migliore dove andare.

Ci avevano dato i permessi per andare sulla terraferma, ma abbiamo rinunciato. Le autorità ci avrebbero collocati in un albergo, lontano da ospedali o ambulatori, che per noi sono indispensabili. Cosa potrei fare là, con il mio bambino malato, mio marito sofferente e io stessa incinta? Abbiamo bisogno di essere vicini a medici specialisti. Abbiamo bisogno di protezione e di cura.

Mi spiace molto di non avere tempo per parlare con la mia famiglia come una madre, come una moglie e come un’amica. Proprio non posso fare di più, in 24 ore, oltre a procurare il cibo, andare dal medico, aspettare in coda.

Ne ho abbastanza. Non poso andare avanti così. Sono sincera: se non avessi i miei figli, mi sarei già suicidata. Rimango in vita solo perché vale la pena vivere per loro. E adesso sono incinta e porto dentro di me una nuova vita in più.

Per me, io sono una, ma sono quattro per la mia famiglia. E presto cinque…

Parwana
P.S. Per tutte le madri

#Lesvoscalling

Una campagna solidale per la libertà di movimento
Dopo il viaggio conoscitivo a ottobre 2019 a Lesvos e sulla Balkan route, per documentare e raccontare la drammatica situazione sull'isola hotspot greca e conoscere attivisti/e e volontari/e che si adoperano a sostegno delle persone migranti, è iniziata una campagna solidale lungo la rotta balcanica e le "isole confino" del mar Egeo.
Questa pagina raccoglie tutti gli articoli e il testo di promozione della campagna.
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