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tratto da Le Monde Diplomatique del settembre 2005

Letteratura – La voce scomoda di Calixthe Beyala

Calixthe Beyala ha fatto irruzione a 25 anni nel paesaggio letterario africano con il romanzo, intenso e politico, A bruciarmi è stato il sole (1987) (1), ora apparso in Italia presso le edizioni Epoché, esordite quest’ultime proprio nel 2003 con la pubblicazione della prima traduzione italiana della scrittrice camerunense, Gli onori perduti (2). Per quest’ultimo, molto ben accolto in Francia e appena ripreso nei tascabili Feltrinelli, l’autrice aveva ricevuto nel 1996 il Grand Prix de l’Académie française, provocando la stizza di qualche accademico. Oggi, «l’Amazzone delle lettere africane», come è stata definita, è giunta a quota quindici con successi di pubblico e di critica in tutto il mondo non solo francofono, soprattutto a partire dal 1992 con Le petit prince de Belleville, ritratto esilarante, tenero e caustico nel contempo, della comunità africana dei quartieri popolari parigini dove è vissuta a lungo, indagato di nuovo in chiave ancor più spregiudicata in Selvaggi amori (1999) (3).
Anche in Italia, Beyala è la più nota e la più tradotta delle scrittrici africane della nuova generazione e ha saputo conquistare in breve tempo un suo pubblico specifico con il divertente Come cucinarsi il marito all’africana (4). Elemento caratterizzante di tutta l’opera è l’indagine sul destino femminile attraverso vari personaggi e vari punti di vista, con una ricorrenza particolare della figura della prostituta. Infatti fin dal primo romanzo il cui titolo, non a caso, allude al Cantico dei Cantici, si è prefissa di prendere la parola, e la penna, per svelare, senza peli sulla lingua, la realtà della donna africana contemporanea a partire dal suo corpo e dal suo desiderio.
La storia, in parte autobiografica, è quella di Ateba, protagonista e unica donna non avviata a una qualche forma di prostituzione in questa bidonville mortifera immersa nel fango e la violenza. Se l’assenza della figura materna (numerose sono le orfane nell’opera di Beyala), ha fatto della giovane un essere smarrito, divorato come «migliaia di altre donne», dall’angoscia e dalle paure fino alla soglia della follia, ciò l’ha nondimeno resa sensibile, riflessiva e soprattutto ribelle. Ribelle nel rifiutare tutti i tabù volti a emarginare e a occultare la donna, a cominciare da quella legge del silenzio che già le scrittrici della prima generazione avevano provato a trasgredire e che Beyala, attraverso il suo personaggio, vuole erigere ad atto sovversivo per eccellenza. Ribelle e determinata nel contestare antiche credenze, nello «smettere di attingere dai depositi originari le conoscenze archaiche che portano alla morte e reincarnano la vita».
Così per il trasmite di un’originale la voce narrante, una sorta di alterego onnisciente che le permette di sovvertire i codici letterari, Beyala è partita in guerra, e la guerra non è finita, contro tutti gli stereotipi maschili e femminili, bianchi e neri, che generano in Africa come in Francia la violenza quotidiana. La sua scrittura cruda e convincente ha contribuito non poco ad accelerare la presa di coscienza femminile e a cambiare l’immagine femminile di sé e dell’altro/altra. La tensione e la forza vitale che Beyala imprime ai suoi scritti, oltre che nella tematica che si potrebbe sintetizzare in un lungo interrogarsi sull’identità – anche erotica – femminile e il suo futuro, è di certo particolarmente efficace nelle scelte linguistiche che col passare del tempo sono diventate sempre più audaci e desacralizzanti e sempre più portatrici di diversità culturale.
Se è vero che gli scrittori africani partecipano attivamente all’elaborazione della lingua francese contemporanea, adattandola al vissuto e all’immaginario africano, addomesticandola talvolta fino alla sovversione, non si può negare che durante l’arco di quasi vent’anni, Beyala si è dimostrata fra tutti capace di ricrearla, nel lessico e nella formula. Nel rivalutare altamente la funzione salvifica della scrittura femminile, unica atta a trasformare lo sguardo sulla donna africana e lo sguardo dell’Occidente sull’Africa, Beyala – anche quando (come nelle opere più recenti) ambienta di nuovo la narrazione in Africa – continua a concentrarsi essenzialmente sulla relazione Francia-Africa. Scrittrice femminista, a capo di varie associazioni militanti per i diritti umani, spesso scomoda e sempre polemica, pure ponendo in maniera tragica la questione femminile in primo piano, lascia intravedere un barlume di speranza («Ateba sa che un giorno il paese apparterrà a loro») e una possibilità anche al maschio di riabilitarsi e agli uomini tutti di umanizzarsi, sola alternativa valida per abitare il mondo futuro.

Marie-José Hoyet


note:
(1) A bruciarmi è stato il sole, prefazione di Pier Maria Mazzola, traduzione di Gaia Amaducci, Epoché («Togu-na», 11), 2005, 14 euro.
(2) Gli onori perduti, traduzione di Gaia Amaducci e Monica Martignoni, Epoché («Togu-na», 1) 2003, 15 euro.
(3) Selvaggi amori, traduzione di Yasmina Meleouah, 2004, edizioni e/o («I Leoni»), 14,5 euro.
(4) Come cucinarsi il marito all’africana, Epoché («Togu-na», 6), 2005, 10 euro.