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Libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari

Problematiche e controversie alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ed in relazione alle nuove norme in materia di sicurezza volte a limitare la libertà matrimoniale

A seguito dell’adozione da parte della Commissione Europea, in data 2 luglio scorso, di un documento esplicativo dei propri orientamenti interpretativi della direttiva n. 2004/38 (“Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornante liberamente all’interno del territorio degli Stati membri”), il Ministero dell’Interno ha diramato una circolare (n. 18 dd. 21.07.2009) che rivede alcune indicazioni sull’applicazione del decreto legislativo n. 30/2007, con riferimento al possesso delle risorse economiche sufficienti al soggiorno dei cittadini comunitari e loro famigliari e alla copertura sanitaria.

Il documento adottato dalla Commissione europea costituisce una sorta di interpretazione autentica della direttiva in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e loro famigliari in quanto rende nota la posizione che la Commissione assumerà nel controllo sull’applicazione della medesima, anche al fine dell’eventuale avvio di procedure di infrazione.

La circolare del Ministero dell’Interno accoglie alcune indicazioni contenute nel documento della Commissione europea, su alcuni punti che apparivano problematici e controversi dopo l’adozione del d.lgs. n. 30/2007 e delle successive circolari applicative. In materia di interpretazione della nozione di “risorse sufficienti”, la circolare ministeriale dà indicazione agli uffici anagrafe di accogliere la possibilità che esse si riferiscano tanto a risorse periodiche quanto a capitale accumulato, così come che tali risorse possano essere elargite o messe a disposizione anche da terzi, anche quando questi non siano vincolati all’interessato da obblighi alimentari. In tale modo viene dunque espressamente accolta nel nostro paese l’interpretazione adottata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia comunitaria. Con la sentenza 23 marzo 2006 (Causa C- 408/03), la Corte di Giustizia europea ha ritenuto non conforme al diritto comunitario la prassi belga di richiedere che il cittadino dell’UE disponga di risorse personali per il proprio sostentamento ovvero, di risorse provenienti da altri soggetti legati ad esso da vincolo giuridico (ad es. coniuge o figli), escludendosi invece le risorse di soggetti terzi, quali il partner, in mancanza di un atto negoziale stipulato dinanzi ad un notaio contenente una clausola di assistenza. La ratio invocata dal governo belga a sostegno della propria prassi era quella di assicurare allo Stato membro la certezza che la persona che si impegnava a sostenere economicamente il cittadino dell’Unione fosse vincolata da un obbligo avente valore giuridico. La Corte di Giustizia ha ritenuto che tale condizione costituisca un’ingerenza sproporzionata nell’esercizio del diritto fondamentale alla libertà di circolazione e di soggiorno rispetto al legittimo interesse degli Stati alla protezione delle finanze pubbliche.

Nella circolare ministeriale n. 18/2009, inoltre, viene escluso ogni rigido automatismo tra il possesso di un ammontare di risorse economiche inferiore all’importo minimo previsto dall’art. 9 c. 3 lett. b) e c) del d.lgs. vo n. 30/2007 ed il diniego all’esercizio del diritto alla libera circolazione mediante il rifiuto dell’iscrizione anagrafica. Si precisa, invece, la necessità in tali casi di procedere ad una valutazione complessiva della situazione del cittadino comunitario, in quanto l’eventuale rifiuto deve rispondere ad un criterio di proporzionalità rispetto all’obiettivo della direttiva, che è quello di agevolare la libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro famigliari. Viene dunque respinto quale infondato e contrario al diritto comunitario l’approccio seguito da alcune municipalità del nord-est, che avevano nel frattempo emanato ordinanze e provvedimenti volti ad interpretare rigidamente il criterio delle risorse sufficienti, nella direzione di un automatico diniego in assenza della disponibilità di risorse pari all’ importo minimo fissato secondo i parametri previsti per il ricongiungimento familiare dei cittadini extracomunitari. Tali ordinanze e provvedimenti di taluni enti locali erano stati già oggetto di un richiamo da parte della Commissione europea, attraverso l’intervento del Commissario europeo Barrot in risposta ad interrogazioni presentate al Parlamento europeo.

Si rammenta, inoltre, l’infondatezza e la contrarietà rispetto al diritto comunitario, di un eventuale richiesta da parte di un ufficio anagrafico comunale volta a subordinare l’iscrizione anagrafica del cittadino comunitario che non eserciti attività lavorativa all’autocertificazione della disponibilità di risorse economiche di natura durevole, che facciano cioè riferimento all’importo dell’assegno sociale calcolato su base annua, così come sembra per alcuni aspetti suggerire il decreto legislativo n. 30/2007 (art. 9 c. 3 lett. b)). Facendo riferimento ad una normativa dei Paesi Bassi che subordinava il diritto al soggiorno dei cittadini dell’Unione economicamente non attivi al possesso di risorse autonome e durevoli per un periodo minimo di un anno, la Corte europea di Giustizia ha chiaramente statuito che la disposizione fissava una condizione manifestamente sproporzionata rispetto all’interesse degli Stati membri a non riconoscere il diritto al soggiorno a persone che possano divenire un onere per le finanze pubbliche. Di conseguenza, la normativa dei Paesi Bassi violava le norme comunitarie in materia di libera circolazione (sentenza 10 aprile 2008, causa C-398/06).

In materia di copertura sanitaria, la circolare ministeriale prende atto che non sempre il cittadino comunitario esercitante il diritto alla libera circolazione intende trasferire la propria dimora abituale nel paese ospitante, in quanto mantiene il centro d’interessi presso lo Stato di provenienza. In tali situazioni, che possono riguardare ad esempio lo studente o il lavoratore distaccato, la carta di assistenza in possesso del cittadino comunitario (TEAM) e rilasciatagli dal suo Paese, potrà garantirgli la copertura sanitaria totale anche per i periodi di tempo superiori ai tre mesi, senza che sia per lui necessario spostare la propria residenza per continuare ad avvalersi del diritto alla libera circolazione. In tali situazioni, dunque, gli operatori anagrafici potranno iscrivere gli interessati nello schedario della popolazione temporanea di cui all’art. 8 della legge n. 1228/1954 (legge anagrafica) e all’art. 32 c. 1 del d.P.R. n. 223/1989 (regolamento anagrafico).

La circolare ministeriale non contiene, invece, indicazioni che recepiscano a livello di prassi amministrative gli obblighi derivanti dal rispetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea che ha sancito l’incompatibilità con il diritto europeo di ogni normativa nazionale che subordini l’accesso alla carta di soggiorno per il famigliare di un cittadino comunitario alla regolarità del suo ingresso e del suo soggiorno al momento della celebrazione del matrimonio nello Stato membro ospitante (Sentenza Metock, dd. 25 luglio 2008, C- 127-08). Sul punto, la normativa italiana di recepimento della direttiva n. 2004/38 ha inteso applicare in senso restrittivo il principio della libera circolazione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi famigliari di cittadini comunitari. La normativa italiana, infatti, subordina, il rilascio della carta di soggiorno alla presenza del “visto di ingresso, quando richiesto” (art. 10 c. 3 lett. a) d.lgs. n. 30/2007, come ribadito dalla circolare M.I. n. 19 dd. 6 aprile 2007, pag. 8). In tal modo si è affermata una prassi diffusa delle questure di non accordare il rilascio della carta di soggiorno al cittadino di un paese terzo che abbia contratto matrimonio in Italia con un cittadino comunitario o italiano dopo avere fatto ingresso illegale in Italia o quando, al momento di contrarre matrimonio, si trovava in condizione di irregolarità. Contro tale prassi sono stati avviati alcuni ricorsi, che hanno prodotto delle applicazioni giurisprudenziali aderenti a quanto sancito dalla Corte di Giustizia europea. Si richiama in proposito il decreto della Corte di Appello di Venezia dd. 22 aprile 2009 (n. 112/20009) che ha riconosciuto ad un cittadino albanese coniuge di una cittadina rumena residente in Italia il diritto al rilascio della carta di soggiorno per famigliari di cittadini comunitari, sebbene l’interessato avesse fatto ingresso in Italia privo del visto e non fosse legalmente soggiornante in Italia al momento della celebrazione del matrimonio.

La questione si è resa ancora più complessa dopo l’approvazione del ddl sicurezza che ha modificato gli articoli 116 del codice civile e l’art. 6 comma 2 del d.lgs. vo n. 286/98, nel senso di richiedere l’esibizione dei documenti inerenti alla regolarità del soggiorno al fine di celebrare il matrimonio e di cancellare l’esenzione per gli atti di stato civile fra quelli in cui non vi è l’obbligo di presentare il permesso di soggiorno, con la conseguenza di attribuire agli ufficiali di stato civile l’obbligo di conoscere la posizione circa la regolarità del soggiorno degli stranieri che chiedano la celebrazione del matrimonio. La legittimità di tali norme appare dubbia proprio con riferimento alla richiamata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Se non è conforme al diritto comunitario una legislazione nazionale che impedisce l’accesso alla libera circolazione del famigliare del cittadino comunitario che abbia acquisito tale status personale nel territorio dello Stato membro mentre si trovava in condizioni di irregolarità, tanto più sembrerebbe difforme dal diritto europeo la nuova normativa italiana che priva tout court l’intera categoria degli stranieri irregolarmente presenti dalla possibilità stessa di acquisire lo status di famigliare nel territorio dello Stato membro che è il presupposto dell’esercizio del diritto alla libera circolazione. Ugualmente la legittimità costituzionale di tali norme appare dubbia in quanto appaiono suscettibili di determinare un ingerenza sul diritto a formare una famiglia, annoverato tra i diritti fondamentali della persona umana previsti anche dalle convenzioni internazionali (ad es. gli artt. 8 e 12 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo) e come tale spettante a tutte le persone presenti nel territorio italiano, indipendentemente dalla nazionalità.

A tale riguardo, si sottolinea che già il Tribunale costituzionale francese con il parere dd. 26.11.2003 (paragrafi 95 – 96), emanato in relazione ad un disegno di legge presentato dal governo francese e poi ritirato, che prevedeva l’obbligo dell’ufficiale di stato civile di segnalare all’autorità prefettizia la condizione irregolare dello straniero che chiedeva le pubblicazioni di matrimonio, ha concluso che “tali disposizioni sono di natura tale da dissuadere gli interessati dal contrarre matrimonio; di conseguenza, esse portano offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio”. Tutto questo, muovendo dalla considerazione generale che “se il carattere irregolare del soggiorno di uno straniero può costituire in certe circostanze, se accompagnato da altri elementi, un indice serio che lasci presumere che il matrimonio sia prospettato con un altro scopo diverso dall’unione matrimoniale, il legislatore – ritenendo che il fatto che uno straniero non possa giustificare la regolarità del suo soggiorno costituisca in tutti i casi un indice grave dell’assenza di consenso- ha portato offesa al principio costituzionale della libertà di matrimonio” (cfr. http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/francais/les-decisions/depuis-1958/decisions-par-date/2003/2003-484-dc/decision-n-2003-484-dc-du-20-novembre-2003.871.html )
Considerazioni, quelle del giudice costituzionale francese perfettamente estensibili all’attuale normativa italiana.

L’ ingerenza rispetto al diritto alla libertà matrimoniale non appare proporzionata agli obiettivi di ordine pubblico e di controllo dei processi migratori che la norme si propone con riferimento alle finalità di contrasto dei matrimonio di convenienza. In proposito, vale la pena sottolineare che il documento adottato dalla Commissione europea espressamente sottolinea che “le misure adottate dagli Stati membri per contrastare i matrimoni di convenienza non possono essere tali da dissuadere i cittadini dell’Unione e i loro familiari dell’avvalersi del diritto alla libera circolazione o da usurpare indebitamente i loro diritti legittimi [così come] non devono minare l’efficacia del diritto comunitario né costituire una discriminazione fondata sulla nazionalità”. Ogni azione e misura volta a contrastare i matrimoni di convenienza non può dunque avere carattere collettivo o sistematico, bensì deve fondarsi – precisa ancora la Commissione europea – su criteri ed indagini individuali che debbono essere svolte in conformità dei diritti fondamentali, in particolare il diritto al rispetto delle vita privata e familiare (art. 8 CEDU)e il diritto al matrimonio (art. 12 CEDU).

Alla luce di questo complesso di considerazioni, la nuova normativa introdotta dal legislatore italiano suscita serie perplessità di ordine costituzionale e di conformità al diritto comunitario.

Commento a cura di Walter Citti, segreteria organizzativa ASGI