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Libia – L’esclusione dal diritto di protezione internazionale non può basarsi su semplici indizi di reati ostativi

Tribunale di Milano, ordinanza dell'11 agosto 2020

Un decreto del Tribunale di Milano riconosce che semplici indizi di aver commesso crimini di diritto internazionale, reati gravi, atti contrari ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite, ovvero di essere un pericolo per la sicurezza dello Stato o per l’ordine e la sicurezza pubblica non sono sufficienti ad integrare una causa di esclusione dal riconoscimento dello status di beneficiario di protezione sussidiaria.

L’art. 16 del D.lgs 251/2007, che costituisce trasposizione dell’articolo 17 della direttiva 2011/95/UE, nella versione che precede l’entrata in vigore del c.d. decreto Salvini, dispone che lo status di protezione sussidiaria è escluso quando sussistano “seri motivi” per ritenere che lo straniero abbia “commesso” atti riconducibili alle definizioni di cui alle lettere a) e b) e/o “si sia reso colpevole” di atti di cui alla lett. c) e/o infine “costituisca pericolo” per uno dei beni tutelati alle lettere d) e d) bis dell’art. 16 del D.Lgs 251/2007.
Secondo il Tribunale, le cause di esclusione dalla protezione internazionale, considerate le serie conseguenze che discendono da una loro applicazione, e segnatamente l’impossibilità di accedere al trattamento associato dalla direttiva al formale riconoscimento dello status, devono essere applicate restrittivamente, e, come più volte osservato dalla Corte di Giustizia, (Corte Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 9.11.2010, cause riunite C-57/09 E C-101/09, Bundesrepublik Deutschland c. B (causa C-57/09), D (causa C-101/09), punto 87 e, con specifico riferimento alla protezione sussidiaria, la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza resa il 13 settembre 2018, nella causa C-369/17, Shajin Ahmed contro Bevándorlási és Menekültügyi Hivata, punto 48), soltanto dopo avere effettuato una valutazione, “per ciascun caso individuale, dei fatti precisi di cui ha conoscenza, al fine di determinare se sussistano fondati motivi per ritenere che gli atti commessi dalla persona interessata, che per il resto soddisfa i criteri per ottenere lo status”, rientrino in uno dei casi di esclusione.

Cioè a dire che, in quanto requisito negativo che incide, elidendolo, su un diritto (già) riconosciuto, il controfatto impeditivo al riconoscimento della protezione internazionale (ovvero la causa di esclusione) va scrutinato con ‘particolare rigore’, la prova della sua esistenza essendo ‘a carico dello Stato’ (cfr. sul punto da ultimo Cass Sez.I Ord. 116682020 9.116.6.2020).
Invero, per quanto la prova della loro sussistenza possa anche non fissarsi ai limiti estremi del criterio dell’ ‘oltre il ragionevole dubbio’, nondimeno le cause di esclusione (che, si ribadisce incidono su un diritto già riconosciuto) necessitano pur sempre di uno standard prova ‘chiaro ed affidabile’.
Ne discende che, ‘il semplice sospetto’ non è – chiaramente – sufficiente per applicare una causa di esclusione.
Inoltre, qualora gli elementi sulla base dei quali si fonda la causa di esclusione non soddisfino gli standard raccomandati dalle linee guida dell’UNHCR, in base ai quali “Ai fini dell’esclusione non si dovrebbe fare affidamento su prove segrete o prove valutate a porte chiuse”, la loro validità ne viene, in parte inficiata.
Riformata, quindi, la decisione della CT di non riconoscere la protezione sussidiaria ad un soggetto ritenuto da essa pericoloso per la sicurezza dello Stato sulla base di informative vaghe e generiche dei servizi segreti.

– Scarica l’ordinanza:
Tribunale di Milano, ordinanza dell’11 agosto 2020