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Libia, continua la caccia ai migranti. Foto-reportage sui centri di detenzione

Reportage fotografico di Sara Prestianni

Photo credit: Sara Prestianni

La delegazione ha potuto visitare cinque centri di detenzione a Tripoli, Gharyan (nei monti di Nafousa) e a Bengazi.
Dal comunicato congiunto di fine missione emerge che la gestione della presenza dei migranti in Libia è affidata a milizie armata con piena facoltà di agire fuori dal controllo delle autorità governative. Anche nella Libia post-Gheddafi, i migranti restano merce di scambio nelle trattative diplomatiche con i paesi europei, “in nome di una presunta preoccupazione securitaria che giustificherebbe la pulizia degli illegali, questi gruppi armati vanno letteralmente “a caccia” di migranti, prendendo a bersaglio principalmente i migranti dell’Africa sub-sahariana. I migranti vengono così catturati mentre attraversano i check-point o arrestati con raid nelle loro abitazioni, chiunque venga ritenuto « illegale » è condotto nei campi gestiti dai « Katiba » (brigate) di miliziani. “Le condizioni di vita in questi centri sono indegne e deplorevoli”, denunciano le associazioni, che hanno raccolto testimonianze di maltrattamenti, violenze fisiche e umiliazioni. Donne, bambini piccoli, minori non accompagnati e malati sono detenuti nell’angoscia rispetto al loro futuro, “in assenza di una qualsiasi prospettiva di soluzione legale o possibilità di ricorso a istanze nazionali o internazionali”.

Nel campo di Bourshada i migranti sono rinchiusi per tutto il giorno in celle bollenti, e possono uscire solamente 10 minuti al giorno per i due pasti. Nelle foto di Sara Prestianni è ritratto il momento in cui la cella si apre per permettere ai detenuti di andare a svolgere veri e propri lavori forzati, in intesa con caporali locali che li caricano su pick up e furgoni. I migranti non conoscono la durata del lavoro, le condizioni e se sanno se riceveranno un compenso.
Nel campo Tobaisha, vicino a Tripoli, oltre 500 persone sono detenute in un hangar rovente. Qui la delegazione incontra anche 50 donne somale, che raccontano di essere state condotte nel campo dopo cinnque giorni di navigazione nel Mediterraneo: “una barca commerciale croata ci ha soccorso e affidato alla Guardia Costiera libica. Le donne mostrano alla macchina fotografica le braccia, dove sono ancora presenti i segni dei colpi di manganello che hanno ricevuto all’arrivo al campo.

La delegazione ha constatato, “sia nei centri di detenzione che nei quartieri degradati di Tripoli dove si nascondono, che i rifugiati eritrei, somali o etiopi non beneficiano di alcuna protezione e che sopravvivono nella massima insicurezza dal punto di vista legale e, dal punto di vista sociale, senza alcun permesso di soggiorno e di lavoro.

Tra le raccomandazioni finali di FIDH, Migreurop e Justice sans Frontières, quella ai paesi membri dell’Unione Europea, in primis Italia e Malta, “di non affidarsi in nessun modo alla Libia per attuare le loro politiche migratorie e di aprire le porte ai rifugiati della Libia affinché non siano più costretti a prendere il largo a bordo di imbarcazioni di fortuna”.

– Guarda tutte le foto di Sara Prestianni della missione

– Leggi il comunicato congiunto di FIDH, Migreurop, Justice sans Forntières pour les Migrants