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Licenziamento collettivo – Il lavoratore non può uscire dall’Italia in questo periodo?

L’indennità di mobilità (si veda la Legge 23 luglio 1991, n.223, Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro – G.U. n. 175 del 27 luglio 1991) è un trattamento di tipo previdenziale, una prestazione economica (si veda la circolare dell’Inps n. 26 del 14 febbraio 2005, Importi massimi dei trattamenti di integrazione salariale, di mobilità, di disoccupazione e importo dell’assegno per attività socilamente utili, relativi all’anno 2005) erogata dall’Inps in favore dei lavoratori (senza distinzione tra lavoratori extracomunitari, nazionali e comunitari) che sono destinatari di una procedura di riduzione di personale, quindi di licenziamento collettivo.
Chi viene colpito da questo tipo di licenziamento, ha il diritto di percepire l’indennità di mobilità durante un determinato periodo che è più lungo in ragione dell’età del lavoratore (sempre che non trovi nel frattempo un’altra occupazione).
Ebbene, la questione è per molti aspetti analoga a quella del diritto dei lavoratori stranieri a percepire il cosiddetto assegno di disoccupazione (si veda la circolare Inps n. 163 del 20/10/2003 in materia di Indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, con requisiti normali o ridotti: giusta causa di dimissioni da parte del lavoratore: integrazioni al testo della circolare n. 97 del 4 giugno 2000)

, ovvero la prestazione economica, sempre erogata dall’Inps, nel caso in cui il lavoratore perda il posto di lavoro in situazioni che configurano un licenziamento individuale.
Se durante il periodo di erogazione dell’assegno di disoccupazione si verifica che il lavoratore non è stato presente in Italia, si interrompe – limitatamente al periodo di assenza – l’erogazione dello stesso, che riprenderà a partire dal ripristino della sua presenza sul territorio italiano.
Diversamente, nel caso della indennità di mobilità, la eventuale presenza all’estero – verificabile in base ai timbri di ingresso e di uscita apposti sul passaporto – se non giustificata entro i limiti e in base alle circostanze previste, comporta la perdita completa dell’erogazione, anche per i periodi successivi, se spettanti, della indennità di mobilità.

Si rappresentano le esigenze di carattere umano che giustificano appunto la differenza, evidente a tutti, fra un italiano che magari durante il periodo di disoccupazione o in cui usufruisce dell’indennità di mobilità decide di andare all’estero in vacanza e un cittadino immigrato che “approfitta” di un periodo di disoccupazione per rientrare a casa.

Si ricorda fra l’altro che vi sono situazioni di disoccupazione, per così dire fisiologiche, che possono riguardare alcune categorie di lavoratori, in particolare i lavoratori immigrati.
Pensiamo – per esempio – alla fisiologica disoccupazione che vi è in agricoltura dalla quale discende la circostanza che il lavoratore sa perfettamente che fra qualche mese o settimana riprenderà la sua attività lavorativa ma che, nel frattempo, di certo in quel settore non ha alcuna speranza di trovare occupazione. Ecco che, buon senso vuole che si approfitti di quel momento di sicura e irrimediabile disoccupazione per andare a fare visita ai propri familiari, sapendo che poi, quando ci sarà il lavoro, non avrebbe senso perdere l’occasione e trattenersi all’estero.
Ecco che, se dal punto di vista pratico e morale si comprendono le motivazioni dei lavoratori che approfittano giustamente del periodo di disoccupazione per tornare a casa propria quando non perdono occasioni di lavoro e di reddito, da un punto di vista legale e burocratico abbiamo già visto che la situazione è diversa.

Infatti, secondo l’Inps, questa è una questione che era già stata definita alcuni anni fa.
Per esempio, l’assegno di disoccupazione per essere percepito comporta sempre la presenza fisica sul territorio del lavoratore per essere in questo modo – burocratico – certi che egli non perda alcuna occasione di lavoro. Mentre invece si presume che il lavoratore che si allontana temporaneamente dall’Italia perda la possibilità di cogliere occasioni di lavoro.
Rispetto al tema dell’assegno di disoccupazione vi era già stata un controversia, definita in primo grado dal Giudice del Lavoro di Bologna, che inizialmente aveva portato ad una interpretazione favorevole al lavoratore. Infatti il primo provvedimento aveva ritenuto che fossero illegittime le disposizioni adottate con le circolari dell’Inps, circa il venir meno dell’obbligo di pagamento dell’indennità di disoccupazione, per il periodo di verificata assenza dal territorio italiano.
Purtroppo però questa sentenza è stata riformata in appello in senso drasticamente opposto. E’ stato quindi, confermato l’orientamento dell’Inps in base al quale gli eventuali periodi verificati, in base ai timbri di uscita e ingresso sul passaporto, di assenza dal territorio, comportano l’interruzione dell’obbligo di pagamento dell’indennità disoccupazione.
Nel caso dell’indennità di mobilità sono le disposizioni generali sulle condizioni di fruizione della stessa che, nel caso di indisponibilità del lavoratore, comportano una sorta di sanzione: non solo il mancato pagamento del periodo di indisponibilità, ma, addirittura, il venir meno del diritto anche nel caso in cui si ripristini la disponibilità del lavoratore. Vista l’interpretazione adottata dal Tribunale di Bologna, laddove ha riformato la citata sentenza del Giudice del Lavoro in materia di assegno di disoccupazione, dobbiamo ritenere che, quantomeno in termini di probabilità, anche rispetto all’indennità di mobilità le conclusioni potrebbero essere le stesse, e che, quindi, un’eventuale controversia giudiziaria potrebbe portare ad una conferma dell’orientamento dell’Inps. Ma a quanto risulta si tratta pur sempre di un caso isolato, sicché non si può escludere che altri uffici giudiziari investiti della questione possano pervenire a conclusioni conformi a quelle del giudizio di primo grado.

Ci limitiamo a fare una considerazione a margine sulla sostanziale iniquità di queste posizioni.

Aldilà della differenza che tutti possono comprendere tra un italiano disoccupato o in mobilità che se ne va in vacanza e immigrato che normalmente approfitta di un periodo di già prevista disoccupazione per tornare a casa, si vuole evidenziare una iniquità sostanziale che deriva anche dalle diverse condizioni di espatrio, a seconda del paese di appartenenza. Un cittadino senegalese che deve tornare a casa deve prendere un aereo e, quindi, sicuramente incappa in controlli di frontiera che comportano l’apposizione sul suo passaporto di un timbro di uscita e uno di ingresso. Un cittadino croato, in base agli accordi vigenti, può uscire dall’Italia utilizzando la sua carta d’identità e, quindi, senza nemmeno correre il rischio di avere timbri sul passaporto, unici elementi di fatto in base ai quali, burocraticamente parlando, viene constatata l’assenza dal territorio quindi, eventualmente, applicata questa sorta di sanzione indiretta che nel caso dell’assegno di disoccupazione comporta l’interruzione dell’obbligo del pagamento per il periodo di assenza ma che, nel caso dell’indennità di mobilità, comporta la conseguenza ancora più grave della perdita del diritto anche per il periodo successivo.
Questa è la situazione. Purtroppo non abbiamo, come dire, considerazioni più positive da aggiungere.