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Lo tsunami migrante che arriva dal Sud

Rodrigo Soberanes Santín, En el camino - 30 ottobre 2018

Foto: Javier García

L’Honduras conta 6 milioni di persone pronte ad emigrare, come lo hanno fatto finora i circa 9mila migranti delle due carovane partite dal paese – in una condizione di sfollamento forzoso ed entrate in Messico tra i cordoni di polizia – dando forma ad un vero e proprio esodo.

Questa è una stima del sacerdote gesuita Ismael Moreno, conosciuto come Padre Melo, che è uno dei volti di opposizione con maggiore visibilità dell’Honduras e, come direttore dell’Equipo de Reflexión, Investigación y Comunicación (ERIC) e di Radio Progreso, profondo conoscitore del fenomeno migratorio del suo paese.

Secondo Padre Melo, la migrazione senza precedenti che nelle ultime settimane ha richiamato l’attenzione del mondo intero ha avuto inizio nel 2009, con il colpo di stato contro l’allora presidente Mel Zelaya, sostituito da Manuel Micheletti, appoggiato dai gruppi imprenditoriali e dai gruppi più conservatori del Paese.

La Carovana è il manifestarsi di una pentola a pressione in ebollizione da molti anni, almeno dal colpo di stato del 2009, ed è espressione della disperazione di un popolo che non trova alternative all’interno del paese”, ha dichiarato Padre Melo in un’intervista telefonica rilasciata a Pie de Página.

Dei 9 milioni di abitanti dell’Honduras, secondo le stime dell’ERIC, un milione è già emigrato negli Stati Uniti in passato; due milioni riescono a raggiungere uno stile di vita dignitoso all’interno del paese attraverso impieghi ben remunerati o posti di lavoro nella burocrazia, e gli altri 6 milioni sono persone che vivono le stesse situazioni che hanno portato oggi 9 mila persone a farsi protagoniste dell’Esodo Hondureño.

Abbiamo 6 milioni di persone che si scontrano con seri problemi nell’occupazione, nella salute, nella questione abitativa e nell’istruzione. Sono quelli che non ce la fanno più, e tra loro ci sono i connazionali che emigrano”, ha aggiunto il sacerdote.

La Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) ha segnalato l’Honduras come uno dei paesi più poveri del continente, con il 67,4% della popolazione che vive in condizioni di povertà (per il Messico il dato è del 45,5%).

Secondo il Centro Studi per la Democrazia, già nel 2007 la Organización Intibucana de Mujeres Las Hormigas e il Centro Studi per le Donne rilevarono che il 23,3% degli hondureñi viveva in condizioni di povertà estrema.

Per questo oggi abbiamo migliaia di persone in due “carovane umane” – composte per circa il 30% da bambine e bambini, secondo le stime fornite dai rifugi per migranti nei quali sostano – intenzionate a raggiungere gli Stati Uniti, dormendo all’aperto in luoghi pubblici e cibandosi di ciò che la popolazione e le associazioni offrono loro.

Lì li attenderà un contingente di 5.200 militari pronti ad sbarrar loro il passaggio, secondo quanto annunciato dal governo statunitense questo lunedì.

Il Forum Nazionale per le Migrazioni in Honduras e la Pastorale della Mobilità Umana hanno riferito che, dal febbraio di quest’anno, ogni giorno oltre 300 migranti hanno lasciato l’Honduras per il Messico o gli Stati Uniti; secondo Rita Santamaria, giornalista di Radio Progreso, si stima che questa cifra sia salita a circa 500 persone al giorno già prima dell’avvio della Carovana Migrante.

I migranti della prima Carovana – partita da San Pedro Sula il 13 ottobre – hanno diffuso le loro testimonianze sulle estreme difficoltà che comporta il sopravvivere in Honduras, confessando che è bastato loro ricevere un messaggio anonimo su Whatsapp o Facebook nel quale si spargeva voce della Carovana per imbracciare uno zaino e mettersi in cammino verso nord.

In Honduras la Carovana è un fenomeno sociale guidato da migliaia di cittadini impoveriti che si manifesta sotto forma di grandi e massicce carovane spontanee e improvvisate, con un’organizzazione non superiore a quella necessaria alla sopravvivenza”, dice Padre Melo.

Dopo un percorso di oltre mille chilometri e l’attraversamento di due frontiere, la Carovana Migrante ha attraversato lo Stato del Chiapas affrontando l’ultimo cordone formato da centinaia di agenti della Polizia Federale, e ora trova riposo ad Oaxaca. Più di due settimane di immagini sconvolgenti, simili a quelle dei campi di concentramento e degli esodi delle popolazioni sfollate.

Dall’Honduras, Padre Melo racconta che queste immagini hanno risvegliato un sentimento di solidarietà, “ma anche di grande preoccupazione e angoscia, perché molta gente, dentro quei 6 milioni, si rivede nella decisione assunta dai nostri fratelli e delle nostre sorelle già emigrati”.

Il religioso ha ribadito che l’attuale situazione dell’Honduras somiglia ad “una pentola a pressione” che è sul punto di esplodere e che, se con il discusso governo di Juan Orlando Hernández il quadro non dovesse cambiare, la diaspora hondureña continuerà, e vedremo migliaia di minori – compresi neonati e donne in avanzato stato di gravidanza – gettarsi nella rotta migratoria.

Nel caso dell’Honduras, a differenza del Nicaragua, non si prende neanche in considerazione l’idea di spostarsi nell’entroterra per cercare di cambiare la rotta politica e sociale del paese: c’è solo l’impulso costante a fuggire, riassunto nella frase “Non ha senso vivere in Honduras”.

Molti pensano se non saranno proprio loro i prossimi ad afferrare le poche cose che hanno e mettersi in cammino verso nord. Ciò che vorremmo è che la sensazione di disperazione diventi un sentimento di lotta, di organizzazione, di contrasto – all’interno dell’Honduras – ai settori immediatamente responsabili di questa angoscia. Tuttavia, quando la gente esprime tutto questo, ciò che sta dicendo in realtà è ‘Io amo il mio paese, ma il mio paese non mi ama’”, dice con rammarico Padre Melo.