Dai primi giorni dell’insediamento del nuovo governo sono ripresi i rimpatri forzati di migranti direttamente da Lampedusa (via Catania) verso l’Egitto. Una coda avvelenata degli accordi di riammissione tra Italia ed Egitto sottoscritti dal governo Prodi nel gennaio del 2007.
Una collaborazione rinsaldata dalla recente “vacanza premio” del leader egiziano Mubarak alla corte di Berlusconi in Sardegna. Non si sa se queste misure di allontanamento siano state convalidate da un magistrato o se siano stati forniti strumenti effettivi di ricorso. Di certo a Lampedusa non c’è un Tribunale né una Questura, quella più vicina, competente per i provvedimenti di allontanamento forzato, si trova ad Agrigento.
Non è chiaro se a tutti i migranti respinti subito dopo il loro arrivo a Lampedusa sia stata offerta la possibilità di fare valere una richiesta di asilo o di protezione internazionale, e su quale base si sia verificata la loro nazionalità. Di certo gli “incidenti di percorso” non sono mancati ed un migrante marocchino inviato in Egitto è stato di nuovo restituito alle autorità italiane. Come nel 2004 quando Sylvester W., un migrante della Sierra Leone, salvato dalla nave tedesca Cap Anamur venne rispedito in Ghana con un documento di viaggio rilasciato dall’ambasciata ghanese a Roma.
Gli sbarchi in Sicilia sono triplicati rispetto allo scorso anno, come è in forte aumento il numero delle vittime di naufragi nel Canale di Sicilia. I recenti provvedimenti in materia di sicurezza non hanno avuto evidentemente alcun effetto deterrente sui migranti rinchiusi nell’inferno libico, in cerca di una qualsiasi via di fuga. Intanto la Libia si è opposta decisamente al progetto di Unione Euromediterranea lanciato da Sarkozy con l’appoggio di Berlusconi, e continua a gestire la sua politica di cabotaggio quotidiano mediando tra i tanti dittatori africani, e cercando di ottenere finanziamenti e aiuti militari dai paesi europei in cambio di gas e petrolio, ma soprattutto, come sempre, sulla pelle dei migranti. Da ultimo il figlio di Gheddafi ha svelato un piano segreto per chiudere il contenzioso coloniale con il pagamento di diversi miliardi di euro alla Libia. Con un occhio agli affari dell’Eni e con l’altro alla collaborazione di Gheddafi nell’imprigionare ( e torturare) i migranti in fuga dall’Africa. Tutto, purché non arrivino in Italia. Qualcuno, anzi molti migranti, continuano ad arrivare. Magari da cadaveri, come è successo ieri sulla spiaggia di Agrigento, con le dita incollate alla valigia usata nell’ultimo viaggio verso la speranza. Un viaggio che si è concluso con la morte in mare. Un’altra vittima delle politiche di sbarramento praticate dall’Europa e dal governo italiano.
Ma non va tanto meglio neppure a chi è riuscito ad entrare nella fortezza Europa, con tutte le carte in regola. In molti paesi europei decine di titolari del diritto di asilo appartenenti alla minoranza tamil sono stati arrestati con gravissime accuse ( che arrivano a prospettare il supporto al terrorismo) e rischiano di essere rimpatriati nel paese dal quale sono fuggiti. Anche in questo caso gli stati europei daranno da lavorare ai plotoni di esecuzione ed agli specialisti delle torture più feroci. Lo stesso destino che attende centinaia di disertori eritrei che la Libia ha riconsegnato alla polizia del loro paese di origine. Ma non basta ancora.
Il primo ministro maltese Gonzi ha incontrato ieri il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a Roma. L’incontro ha avuto ad oggetto la questione dell’“immigrazione clandestina”, un tema sul quale si registra il fallimento delle missioni dell’agenzia europea Frontex, le difficoltà di applicare la Convenzione di Dublino ( adesso definita Regolamento Dublino II) ed un atteggiamento pilatesco del governo maltese, anche di fronte alle richieste di salvataggio. In qualche caso, stando alle testimonianze dei migranti, sembrerebbe che la guardia costiera maltese lasci ripartire i migranti che arrivano a Malta, oppure intervenga nelle acque territoriali per rifornirli di acqua e viveri, per “aiutarli” a proseguire il loro viaggio verso l’Italia.
D’altra parte l’Unione Europea non ha fornito risposte, e neppure aiuti, quando Malta ha chiesto di trasferire in altri paesi i migranti sbarcati sull’isola, un numero infinitesimale rispetto alle capacità di accoglienza degli stati dell’Unione Europea. Ma evidentemente le politiche comunitarie, oltre alla approvazione della direttiva sui rimpatri, la “direttiva della vergogna”, non vanno e non ci sono aperture né sulla possibilità di entrare legalmente per regioni di lavoro, né nella direzione di un effettivo riconoscimento del diritto di asilo. L’Europa sbarra le sue porte anche nei casi di ricongiungimento familiare e si limita a moltiplicare i lager per migranti, ed a praticare scelte nominalistiche ed ipocrite sul terreno della cooperazione internazionale.
Di fronte al fallimento della politica comunitaria degli accordi multilaterali con i paesi di provenienza e di transito, stanno riprendendo quota gli accordi bilaterali, o a dimensione regionale, sempre allo stesso fine, per contrastare l’“immigrazione clandestina”, esternalizzare le pratiche di controllo delle frontiere, affidare ai paesi di transito come la Libia il ruolo di carcerieri per conto degli stati ricchi dell’Unione Europea, anche a costo di militarizzare i confini e le acque internazionali, anche a costo di moltiplicare il numero delle vittime.
Adesso Malta chiede all’Italia di partecipare all’accordo di rimpatrio concluso tra Italia e Libia lo scorso dicembre, quando erano ministro degli interni Amato, e ministro degli esteri D’Alema, tra il governo italiano e la Libia. In sostanza il governo Maltese, di fronte alla crescita esponenziale degli arrivi di migranti a Malta sarebbe disponibile a partecipare con la propria marina ai pattugliamenti congiunti a largo delle coste libiche. Non si hanno invece notizie degli accordi di collaborazione nel respingimento di migranti tra Malta e la Libia, ma evidentemente “qualcosa” non ha funzionato a dovere. Forse Malta non ha molto da offrire agli appetiti di Gheddafi.
Come se nessuno sapesse quale sorte attende i migranti respinti in Libia, soprattutto se somali ed eritrei, come se le violenze sistematiche alle quali sono esposte nel paese di Gheddafi le donne ed i minori non interessassero più nessuno.
E forse in Italia non interessano più nessuno, con una opinione pubblica ormai abituata ad inghiottire tutti i giorni una poltiglia avvelenata fatta di provvedimenti che curano gli interessi dei gruppi al potere ( non solo al governo), che promettono una falsa sicurezza basata sulla repressione e sulla ingiustizia sociale, che stravolgono i principi cardine dello stato democratico. Non stupisce che in questa situazione anche i rimpatri o i respingimenti di persone che, dopo il diniego dell’ingresso in Italia o in Europa possono subire torture o altri trattamenti inumani o degradanti, non producano una condanna forte da parte dell’opinione pubblica, che spesso non è neppure informata dei fatti, un effetto anticipato della censura dell’informazione che il governo si appresta a varare in autunno.
A questa situazione di degrado istituzionale e di tragedia quotidiana non ci si può rassegnare. Si deve organizzare meglio la difesa legale dei migranti, una volta giunti nel nostro paese, ma anche qui le difficoltà non mancano perché il clima nei centri di detenzione italiani è talmente inquinato che, talvolta, anche raccogliere una procura per la difesa in giudizio diventa un impresa. Sullo sfondo avvocati d’ufficio, giudici di pace ed interpreti pronti ad assecondare i provvedimenti più assurdi o privi di motivazione da parte delle questure. E non si possono prevedere le conseguenze sul sistema dei centri di detenzione per effetto della approvazione della cd. aggravante di clandestinità, per la introduzione, di fatto già avvenuta, del reato di immigrazione clandestina. Ormai il diritto non abita più qui, si potrebbe dire, anche perché non sembra che il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale stiano costruendo un serio argine rispetto a questo strapotere dell’esecutivo che viola, nei metodi e nei contenuti, il dettato costituzionale.
Rimane l’argine delle corti internazionali, che stanno moltiplicando le loro condanne nei confronti di alcuni paesi europei, colpevoli di espulsioni sommarie e di discriminazioni continue nei confronti dei migranti, come, soprattutto, l’Italia e la Gran Bretagna per le loro politiche di “guerra nei confronti dell’immigrazione clandestina”. Una guerra ormai dichiarata in modo evidente nel nostro paese con l’invio nelle grandi città, con compiti di “pubblica sicurezza” dei militari provenienti dalla guerra in Afghanistan, magari affidando ad un sindaco il coordinamento delle retate e la iniziativa nella segnalazione degli immigrati irregolari.
Per quei migranti che muoiono senza verità e giustizia nei nostri centri di detenzione o che vengono allontanati senza rispettare i diritti fondamentali della persona umana non sarà facile trovare aiuti e risarcimenti. Occorre però continuare a costruire reti di difesa, anche a livello internazionale, fare circolare le informazioni, sostenere le famiglie delle vittime dell’immigrazione clandestina ed informare anche loro della possibilità di fare valere anche davanti le corti europee quei diritti fondamentali che sono stati negati ai loro congiunti, a partire dal diritto alla vita e dal diritto ad una esistenza libera e dignitosa.
Riportiamo appresso la sintesi in francese di una recente decisione della Corte Europea di Strasburgo in base all’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo dell’uomo, sul divieto di espulsione di cittadini Tamil nello Sri Lanka. La sentenza può essere letta per esteso nel sito della Corte indicato appresso.
A quando una sentenza simile per espulsioni in Egitto o in Libia?
La Cour européenne des droits de l’homme a communiqué aujourd’hui par écrit son arrêt de principe(1) dans l’affaire NA. c. Royaume-Uni (requête no 25904/07).
La Cour conclut à l’unanimité que l’expulsion du requérant vers le Sri Lanka emporterait violation de l’article 3 (interdiction des traitements inhumains ou dégradants) de la Convention européenne des droits de l’homme.
En application de l’article 41 (satisfaction équitable) de la Convention, la Cour alloue au requérant, pour frais et dépens, 4 451 euros (EUR) moins les 850 EUR déjà versés par le Conseil de l’Europe au titre de l’assistance judiciaire. (L’arrêt n’existe qu’en anglais.)
1. Principaux faits
Le requérant est né en 1975 au Sri Lanka et réside actuellement à Londres. Il est d’origine tamoule.
Il entra clandestinement au Royaume-Uni le 17 août 1999 et demanda l’asile le lendemain au motif qu’il craignait d’être soumis au Sri Lanka à des mauvais traitements par l’armée sri-lankaise et les Tigres pour la libération de l’Eelam tamoul (« les Tigres tamouls »). Il expliqua qu’il avait été arrêté et détenu par l’armée à six reprises entre 1990 et 1997 car il était soupçonné de liens avec les Tigres tamouls. Il fut à chaque fois libéré sans faire l’objet d’une inculpation. Il subit des mauvais traitements pendant l’une ou peut-être plusieurs de ses périodes de détention, et ses jambes portent des cicatrices laissées par des coups de bâton. Pendant sa détention en 1997, on le photographia et on releva ses empreintes digitales. Son père signa des papiers afin d’obtenir sa libération.
Le requérant craignait les Tigres tamouls parce que son père avait parfois travaillé pour l’armée. Les Tigres avaient aussi tenté de le recruter en 1997 et en 1998.
Le ministre de l’Intérieur rejeta la demande d’asile le 30 octobre 2002. Le requérant fit appel de cette décision et fut débouté par un adjudicator le 27 juillet 2003 au motif que ses craintes d’être maltraité par l’armée à son retour au Sri Lanka étaient infondées.
Un arrêté ordonnant son expulsion le 1er avril 2006 fut pris contre lui. Le 3 avril 2006, le ministre de l’Intérieur refusa d’examiner les observations complémentaires du requérant car il considérait que cela revenait à présenter une nouvelle demande d’asile. La situation prévalant au Sri Lanka ne permettait pas de penser que le requérant courait personnellement un risque de subir des mauvais traitements et aucun élément de preuve ne montrait qu’il serait personnellement visé s’il retournait dans ce pays.
Après le rejet des demandes de contrôle juridictionnel de la décision de l’expulser vers le Sri Lanka émises successivement par le requérant, un nouvel arrêté d’expulsion fut pris contre lui pour le 25 juin 2007. A cette date, le président de la chambre compétente de la Cour européenne des droits de l’homme décida, à la suite d’une demande du requérant, d’appliquer l’article 39 du règlement de la Cour (mesures provisoires) et indiqua au Gouvernement de ne pas expulser le requérant jusqu’à nouvel ordre.
Au cours de l’année 2007, la Cour reçut un grand nombre de demandes de mesures provisoires émanant de Tamouls se trouvant sous le coup d’arrêtés d’expulsion vers le Sri Lanka à partir du Royaume-Uni ou d’autres Etats contractants. Des mesures provisoires ont désormais été indiquées à l’égard de 342 requérants tamouls vivant au Royaume-Uni.
En réponse à une lettre du greffier de la section compétente de la Cour datée d’octobre 2007, l’agent du Gouvernement britannique déclara que, son Gouvernement ne considérant pas que la situation régnant au Sri Lanka justifiait de surseoir à l’expulsion de tous les Tamouls qui alléguaient que leur expulsion leur ferait courir un risque d’être soumis à des mauvais traitements, celui-ci n’était pas en mesure d’aider volontairement la Cour en s’abstenant d’émettre des arrêtés d’expulsion dans tous ces cas. L’agent estima qu’en effet, le meilleur moyen de résoudre les difficultés qu’entraînait le nombre croissant de demandes de mesures provisoires émanant de Tamouls serait probablement l’adoption par la Cour d’un arrêt de principe.
2. Procédure et composition de la Cour
La requête a été introduite devant la Cour européenne des droits de l’homme le 21 juin 2007.
L’arrêt a été rendu par une chambre de sept juges composée de :
Lech Garlicki (Polonais), président ,
Nicolas Bratza (Britannique),
Giovanni Bonello (Maltais),
Ljiljana Mijović (ressortissante de la Bosnie-Herzégovine),
Ján Šikuta (Slovaque),
Päivi Hirvelä (Finlandaise),
Ledi Bianku (Albanais), juges ,
ainsi que de Lawrence Early, greffier de section .
3. Résumé de l’arrêt(2)
Griefs
Invoquant les articles 2 (droit à la vie) et 3 (interdiction des traitements inhumains ou dégradants), le requérant alléguait que, s’il était expulsé vers le Sri Lanka, il courrait un risque réel d’être soumis à des mauvais traitements.
Décision de la Cour
Article 3
La Cour convient avec le Gouvernement que le grief tiré de l’article 2 peut être examiné en même temps que le grief apparenté soulevé sur le terrain de l’article 3.
La Cour commence par exposer les principes généraux applicables aux affaires d’expulsion. Elle présente ensuite sa façon de procéder face aux informations objectives qui lui ont été soumises. A partir de cela, elle évalue le risque pesant sur les Tamouls retournant au Sri Lanka et les circonstances particulières du cas d’espèce.
Risque pesant sur les Tamouls retournant au Sri Lanka
La Cour observe à titre préliminaire que le Gouvernement envisage d’expulser le requérant vers Colombo. Dans ces conditions, il n’est pas nécessaire d’étudier les risques encourus par les Tamouls dans les zones contrôlées par les Tigres tamouls dans le pays en dehors de Colombo.
Les parties admettent que la sécurité s’est dégradée au Sri Lanka. Toutefois, tout en reconnaissant cette dégradation et l’augmentation des violations des droits de l’homme qui l’accompagne, les autorités britanniques n’ont pas conclu que cette situation donnait naissance à un risque général pour tous les Tamouls retournant au Sri Lanka. Le requérant n’a pas non plus cherché à contester cette conclusion dans ses observations. La Cour ne voit pour sa part aucune raison de s’en écarter.
De plus, la Cour constate aussi que les autorités britanniques ont étudié avec sérieux et attention le risque pesant sur les Tamouls retournant au Sri Lanka. Elles ont examiné tous les éléments de preuves objectifs pertinents et, ce qui compte tout autant, le poids qu’il convenait d’y attacher.
Pour la Cour, tant l’appréciation du risque pesant sur les Tamouls présentant un certain profil que celle du point de savoir si des actes individuels de harcèlement, lorsqu’ils sont cumulés, constituent une violation grave des droits de l’homme, ne peuvent se faire qu’au cas par cas.
De plus, il est en principe légitime, lorsqu’on évalue le risque que court individuellement une personne expulsée, de procéder à cette analyse en se fondant sur la liste des « facteurs de risque » dressée par les autorités britanniques grâce à un accès direct à des informations objectives et à des rapports d’experts.
L’appréciation de l’existence d’un risque réel doit se faire à partir de tous les facteurs pertinents susceptibles d’augmenter le risque de mauvais traitements. Il se peut aussi qu’un certain nombre de facteurs individuels qui ne donnent pas naissance à un risque réel lorsqu’ils sont pris isolément soient susceptibles d’en créer un lorsqu’ils sont cumulés et s’inscrivent dans un contexte de violence généralisée et de renforcement des mesures de sécurité.
La Cour constate que les informations dont elle dispose indiquent que les autorités sri-lankaises recourent systématiquement à la torture et aux mauvais traitements s’agissant des Tamouls qui présentent pour eux un intérêt dans le cadre de leur lutte contre les Tigres tamouls.
S’agissant des expulsions vers le Sri Lanka via Colombo, la Cour constate également que le risque de détention et d’interrogation est plus élevé à l’aéroport que dans la ville de Colombo. Dès lors, l’appréciation par la Cour du point de savoir si une personne expulsée court un risque réel de subir des mauvais traitements peut dépendre de la probabilité que cette personne soit détenue et interrogée à l’aéroport de Colombo du fait qu’elle est dans le collimateur des autorités. Pour ce qui est des procédures suivies à l’aéroport de Colombo, la Cour considère que les autorités sri-lankaises disposent au minimum des moyens technologiques leur permettant d’identifier à l’aéroport les demandeurs d’asile déboutés et les personnes recherchées par elles.
Risque pesant sur le requérant
Pour ce qui est de l’allégation du requérant selon laquelle les Tigres tamouls feraient peser un risque sur lui, la Cour souscrit à l’analyse des autorités internes, lesquelles estiment que les seuls Tamouls à courir des risques à Colombo de la part des Tigres sont ceux connus pour leur activisme dans l’opposition ou ceux considérés comme des renégats ou des traîtres. Le requérant ne courrait donc pas un risque réel d’être soumis par les Tigres tamouls à des mauvais traitements interdits par l’article 3 s’il était expulsé vers Colombo.
Pour évaluer la situation du requérant par rapport aux autorités sri-lankaises, la Cour décide d’examiner la force de l’allégation de l’intéressé selon laquelle il courrait un risque réel en raison du cumul des facteurs de risque identifiés par les autorités britanniques. Or, par rapport à la dernière analyse factuelle effectuée par celles-ci, la Cour procède ainsi à la lumière de développements plus récents et notamment en tenant compte de la dégradation de la sécurité au Sri Lanka et de l’augmentation correspondante du niveau général de violence et du renforcement des mesures de sécurité. De plus, elle cumule tous les facteurs de risque cités par le requérant comme applicables dans son cas.
L’un de ces facteurs est l’existence d’un casier judiciaire et/ou d’un mandat d’arrêt antérieur. Pour la Cour, le requérant est en droit d’invoquer ce facteur de risque, sachant en particulier que les autorités britanniques ont jugé crédible son allégation à cet égard. Bien que l’on ne connaisse pas précisément la nature du document signé par le père du requérant pour obtenir la libération de son fils, on peut logiquement déduire que les autorités sri-lankaises ont conservé ce document à la libération du requérant.
Pour ce qui est des cicatrices présentes sur le corps du requérant, la Cour considère que, lorsqu’il existe une probabilité suffisante qu’un requérant soit arrêté, interrogé et fouillé, la présence de cicatrices, avec toute l’importance que les autorités sri-lankaises sont alors susceptibles d’accorder à ce fait, doit passer pour augmenter considérablement le risque cumulé que cette personne subisse des mauvais traitements.
La Cour reconnaît que plus de dix ans se sont écoulés depuis la dernière détention du requérant aux mains de l’armée sri-lankaise. Toutefois, l’écoulement d’un tel délai n’autorise pas à tirer une conclusion définitive quant au risque encouru sans tenir compte de la politique suivie à l’heure actuelle par les autorités sri-lankaises. En effet, l’intérêt qu’elles portent à certaines catégories de personnes expulsées peut fluctuer au fil du temps selon l’évolution de la situation intérieure et tout aussi bien s’accroître que s’affaiblir.
Dans le cadre de l’espèce, la Cour a aussi examiné les facteurs suivants : l’âge, le sexe et l’origine de la personne, son appartenance réelle ou supposée aux Tigres tamouls, le lieu d’expulsion, en l’occurrence Londres, le dépôt d’une demande d’asile à l’étranger et l’appartenance de membres de la famille aux Tigres.
Lorsqu’ils existent, ces facteurs supplémentaires renforcent le risque d’identification, d’interrogatoire, de fouille et de détention à l’aéroport et, dans une moindre mesure, à Colombo. A l’exception de l’appartenance de membres de la famille aux Tigres, la Cour estime que les autres facteurs sont tous susceptibles d’être invoqués par le requérant ; eu égard aux faits de la cause, leur cumul augmente encore le risque encouru par lui, qui était déjà présent en raison de l’existence probable d’une trace écrite de sa dernière arrestation.
Pour conclure, la Cour prend note du climat général de violence qui règne actuellement au Sri Lanka et s’appuie sur les facteurs réunis dans le cas du requérant en les cumulant. Vu son constat selon lequel les personnes qui sont dans le collimateur des autorités dans le cadre de leur lutte contre les Tigres sont systématiquement soumises à la torture et à des mauvais traitements, elle estime qu’il y a un risque réel que, à l’aéroport de Colombo, les autorités soient en mesure d’accéder aux documents relatifs à l’arrestation du requérant. En ce cas, si l’on cumule cette éventualité avec les autres facteurs de risque cités par le requérant, il est vraisemblable qu’il serait arrêté et subirait une fouille à corps, ce qui permettrait de découvrir ses cicatrices. Dans ces conditions, la Cour conclut qu’il existe des motifs sérieux de croire que le requérant présenterait pour les autorités sri-lankaises un intérêt dans le cadre de leur lutte contre les Tigres. Dès lors, la Cour conclut que, si elle était mise à exécution à l’heure actuelle, l’expulsion du requérant emporterait violation de l’article 3.
Les arrêts de la Cour sont disponibles sur son site Internet (http://www.echr.coe.int).
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La Cour européenne des droits de l’homme a été créée à Strasbourg par les Etats membres du Conseil de l’Europe en 1959 pour connaître des allégations de violation de la Convention européenne des droits de l’homme de 1950.
1. L’article 43 de la Convention européenne des droits de l’homme prévoit que, dans un délai de trois mois à compter de la date de l’arrêt d’une chambre, toute partie à l’affaire peut, dans des cas exceptionnels, demander le renvoi de l’affaire devant la Grande Chambre (17 membres) de la Cour. En pareille hypothèse, un collège de cinq juges examine si l’affaire soulève une question grave relative à l’interprétation ou à l’application de la Convention ou de ses protocoles ou encore une question grave de caractère général. Si tel est le cas, la Grande Chambre statue par un arrêt définitif. Si tel n’est pas le cas, le collège rejette la demande et l’arrêt devient définitif. Autrement, les arrêts de chambre deviennent définitifs à l’expiration dudit délai de trois mois ou si les parties déclarent qu’elles ne demanderont pas le renvoi de l’affaire devant la Grande Chambre.