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MSF: le 10 domande più frequenti sulle nostre operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo

1) Perché migliaia di persone continuano a fare questi viaggi così pericolosi?

Le persone ci dicono spesso di non aver avuto alcuna alternativa ad intraprendere il viaggio in mare per raggiungere l’Europa. Ci dicono che fuggono da violenza, conflitti, persecuzioni e povertà nei loro paesi di origine. A prescindere dalla provenienza o dalle ragioni che li hanno spinti a viaggiare, praticamente tutti coloro che soccorriamo in mare sono passati dalla Libia, dove molti sono stati esposti a preoccupanti livelli di violenza e sfruttamento.

Molti di coloro che abbiamo salvato hanno riferito di aver subito brutalità in Libia, mentre praticamente tutti sono stati testimoni di atti di estrema violenza (pestaggi, stupri e omicidi) nei confronti di rifugiati e migranti. Dopo le traumatiche esperienze vissute nei paesi di origine, l’attraversamento del deserto e le difficili condizioni di vita in Libia, non esiste spesso alcuna possibilità di tornare indietro e attraversare il Mediterraneo a bordo di un barcone rimane l’unica possibilità di fuggire.

2) Per quale motivo MSF svolge operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo?

Come organizzazione medico-umanitaria, restare a osservare dalla riva migliaia di uomini, donne e bambini affogare in mare semplicemente non è un’opzione possibile.

Il numero di persone che ogni anno perde la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa è comparabile a quello che MSF osserva in contesti di guerra. Ecco perché, di fronte al fallimento delle istituzioni e dei governi europei nel ridurre il numero di morti in mare attraverso le operazioni di contrasto ai trafficanti e considerata la mancanza di operazioni di ricerca e soccorso dedicate e su vasta scala, abbiamo deciso di attivarci in prima persona.

Dall’inizio del nostro lavoro in mare, siamo consapevoli di come le operazioni di ricerca e soccorso non costituiscano affatto una soluzione: solo l’istituzione di vie legali e sicure per raggiungere l’Europa potrebbe ridurre o eliminare del tutto le morti in mare. Eppure il soccorso in mare rimane oggi la sola misura concreta e alla nostra portata per salvare vite e contribuire a ridurre gli effetti mortali di politiche europee ciniche e disumane.

3) E’ vero che le navi di soccorso delle ONG stazionanti nel mar Mediterraneo incoraggiano più persone a mettersi in mare?

Le navi delle ONG non sono gli unici attori a essere impegnati nelle operazioni di ricerca e soccorso nel Mar Mediterraneo. Nel corso del 2016, in realtà, la maggior parte degli interventi sono stati operati dalla Guardia Costiera italiana, da unità dell’agenzia europea Frontex e dai mezzi militari dell’operazione Eunavfor Med e della Marina Militare, non certo dalle ONG o da MSF. L’intervento delle ONG – che nel 2016 hanno soccorso non più del 28% delle persone – ha invece contribuito a ridurre significativamente il peso degli interventi che gravava in modo significativo sulle navi commerciali presenti nell’area (nel 2014, 1 salvataggio su 4).

In ogni caso, la presenza delle navi di soccorso al largo della Libia non è la ragione che spinge le persone a tentare la traversata del Mediterraneo. Non esiste alcuna evidenza certa di una correlazione tra il numero di persone che intraprendono la traversata in mare e l’intensità delle operazioni di salvataggio. In altre parole, non è affatto dimostrata l’esistenza di un “fattore di attrazione” determinato dalle operazioni di soccorso in mare.

4) Perché le persone continuano a morire nel Mediterraneo?

Il numero di persone morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo ha raggiunto picchi che non hanno precedenti, senza contare che i dati disponibili descrivono solo una parte del fenomeno. Non abbiamo nessuna idea del numero complessivo di barconi che partono dalla Libia verso l’Italia e di quanti siano naufragati senza aver potuto raggiungere le rotte commerciali più trafficate o aver lanciato una chiamata di soccorso.

Gli sforzi dell’Unione Europea di prevenire la perdita di vite in mare attraverso il rafforzamento dei controlli alle frontiere, la progressiva militarizzazione del mare e l’irrobustimento delle azioni contro i trafficanti non hanno portato alcun risultato concreto, se non un ulteriore incremento delle persone annegate. Le organizzazioni di trafficanti senza scrupoli hanno rapidamente adattato la loro condotta criminale e i viaggi in mare sono diventati ancora più pericolosi.

Sulla base della nostra esperienza a terra e in mare, siamo fermamente convinti che fino a quanto le istituzioni e i governi europei non offriranno alternative più sicure per cercare protezione in Europa, le persone continueranno a intraprendere questi viaggi e mettere a rischio le loro vite.

5) Perché MSF non riporta le persone indietro in Libia?

La Libia non è un luogo sicuro dove le persone soccorse in mare possano essere riportate. Le navi di soccorso sono legalmente obbligate a sbarcare le persone salvate in un posto sicuro. MSF lavora a stretto contatto con la Guardia Costiera Italiana che è responsabile del coordinamento dei soccorsi in mare e che indica il porto sicuro dove effettuare lo sbarco.

La Libia è un paese frammentato da scontri che coinvolgono diverse fazioni. C’è insicurezza, collasso economico e una totale assenza di legge e ordine. I rifugiati e i richiedenti asilo non possono ricevere protezione per la mancanza di un sistema di asilo funzionante, un ruolo limitato da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati e il fatto che la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati.

Pressoché tutti i migranti, richiedenti asilo e rifugiati che abbiamo incontrato nel Mediterraneo sono stati esposti a un allarmante livello di violenza e sfruttamento durante il loro soggiorno in Libia: rapimento per riscatto, lavoro forzato, violenza sessuale e prostituzione forzata, trattenimento o detenzione indefinita e arbitraria. Abbiamo assistito numerose donne incinte dopo aver subito uno stupro o persone con ossa rotte, ferite infette o altri segni di percosse o abusi. Non possiamo riportare persone in un luogo dove sono a rischio di subire tutto questo.

6) Perché non sbarcate le persone soccorse in Tunisia o a Malta?

Non è MSF a scegliere dove sbarcare le persone: gestiamo i soccorsi sotto lo stretto coordinamento del Centro di Coordinamento dei Soccorsi della Guardia Costiera italiana e sono le autorità italiane a indicare il porto sicuro di destinazione.

In ogni caso, dal nostro punto di vista la Tunisia non costituisce un’opzione possibile. In mancanza di una legislazione completa sul diritto di asilo, l’accesso alla procedura di protezione in Tunisia è limitato e privo di sufficienti garanzie di tutela legale e appello. Malta, a sua volta, non ha ratificato gli emendamenti alle Convenzioni SAR e SOLAS adottati nel 2014, che specificano che “la responsabilità di fornire un luogo sicuro o di assicurare che un luogo sicuro sia fornito ricade sul Governo contraente responsabile per la regione di ricerca e soccorso in cui i sopravvissuti sono stati recuperati”.

I porti italiani restano pertanto la destinazione più sicura per i soccorsi operati lungo la rotta del Mediterraneo centrale.

7) E’ vero che siete un servizio taxi svolto con la complicità dei trafficanti?

MSF non ha alcun contatto e non scambia informazioni con i network di trafficanti che operano in Libia o in altri paesi.

Tutti i salvataggi nel Mediterraneo sono realizzati in accordo con il Centro di Coordinamento della Guardia costiera italiana e nel pieno rispetto del diritto internazionale marittimo, delle norme europee e delle leggi italiane. Sono le competenti autorità italiane a definire quando e come MSF interviene a soccorso di un barcone in difficoltà e dove le persone salvate debbano essere sbarcate. Tutti gli uomini, le donne e i bambini soccorsi da MSF sono affidati alle autorità italiane ed europee di frontiera, nei porti di sbarco che ci vengono indicati.

In quanto organizzazione umanitaria, l’obiettivo delle nostre attività in mare è finalizzato solo ed esclusivamente al salvataggio delle persone. L’esistenza del business dei trafficanti è una conseguenza della mancata previsione di canali regolamentati che consentano ai rifugiati e ai migranti di raggiungere l’Europa in modo legale e sicuro. Solo colmando questa lacuna sarebbe possibile colpire in modo definitivo le reti di trafficanti e porre fine alle ingiustificate morti in mare.

8) MSF collabora con Frontex e le autorità italiane ed europee alle attività contro i trafficanti?

Non è compito di MSF la sorveglianza delle acque internazionali o l’investigazione sulle reti di trafficanti. Siamo dottori, non agenti di polizia, e la nostra presenza nel Mediterraneo è finalizzata esclusivamente al salvataggio di vite umane.

9) Le navi di MSF effettuano soccorsi nelle acque vicino alle coste libiche?

Le navi di MSF sono posizionate in acque internazionali, a circa 25 miglia nautiche dalla costa libica, perché questa è l’area di mare da dove parte il maggior numero di chiamate di emergenza. Con l’uso di binocoli, i nostri equipaggi ricercano attivamente la presenza di barconi in stato di difficoltà oppure si attivano su segnalazione ricevuta dal Centro di Coordinamento della Guardia Costiera di Roma.

In base a quanto previsto dal diritto internazionale marittimo, tutti i soccorsi in mare avvengono sotto il coordinamento del Centro di Coordinamento di Roma. La stessa legge italiana stabilisce che il soccorso in mare non è una facoltà o una prerogativa delle autorità preposte ma un obbligo.

Se ritenuto necessario per salvare vite umane, le navi di MSF possono avvicinarsi al limite delle acque territoriali, previsto a 12 miglia nautiche dalla costa. L’ingresso nelle acque territoriali è del tutto eccezionale. Nel corso del 2016, solo in 3 specifiche circostanze MSF ha svolto dei soccorsi a circa 11,5 miglia dalla costa, operando con l’esplicita autorizzazione delle competenti autorità libiche.

10) MSF riceve chiamate di soccorso dai trafficanti?

Le navi di soccorso di MSF non ricevono chiamate di soccorso dai trafficanti. Se un barcone in difficoltà è avvistato da una delle nostre navi, noi informiamo innanzitutto la Guardia Costiera Italiana, che assume da quel momento il coordinamento del soccorso. Il Centro di Coordinamento della Guardia Costiera decide quali navi nell’area sono meglio posizionate per offrire assistenza, coinvolgendo quando necessario mezzi propri, oppure di Frontex, di Eunavfor Med, della Marina Militare, delle ONG ovvero navi commerciali.