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Mai più. La vergogna italiana dei lager per immigrati

Di Gennaro Avallone

Un libro che parla di asfissia. E di lotte. Un libro che ricostruisce la distopia dei Centri di trattenimento ed espulsione delle persone migranti in Italia, esito e marchio di una politica che, sin dalle sue origini negli anni ‘80 del ‘900, da sinistra a destra, ha voluto vedere negli immigrati una minaccia, dunque il nemico interno, o una risorsa, dunque il soggetto utile da sfruttare.

Una doppia definizione ha interessato le migrazioni, dunque, ma doppia solo in apparenza. In realtà, essere risorsa o costituire una minaccia rappresentano le due facce della stessa medaglia del pensiero di Stato, che non riesce, non può e non vuole vedere gli immigrati come i nazionali nella loro piena umanità, ma li definisce e governa sempre come eccezioni ed eccedenze: da tollerare e forzare ad integrare, se risorse; da reprimere, incarcerare, criminalizzare, se minaccia.

Mai più”, essendo un testo sulla “vergogna italiana dei lager per immigrati”, come da sottotitolo, si concentra sul lato della minaccia e, pertanto, della criminalizzazione, privilegiando le politiche di repressione ipocrita, quelle, in altri termini, realizzate attraverso i Centri di espulsioni, prigioni non definite come tali, le cui vicende, Centro per Centro, sono state sintetizzate da Emilia Corea, Andrea Olivieri, Fulvio Vassallo Paleologo, Erminia Rizzi, Galadriel Ravelli, Alda Re, Alfonso Di Stefano, Gabriella Guido, oltre che dai curatori, Yasmine Accardo e Stefano Galieni.

Carceri per innocenti” sono riconosciuti da Riccardo Bottazzo e Stefano Bleggi, che, nel loro contributo, ne ricostruiscono la geografia degli enti gestori e le modalità, tutte, ormai, caratterizzate dal ricorso al massimo ribasso.

Campi di quasi-concentramento” sono definiti nel contributo di Annamaria Rivera, che riprende la categoria di “strutture quasi-concentrazionarie” elaborata da Etienne Balibar, in quanto luoghi mortiferi, come mostrato dal resoconto disperante di chi vi è morto, e vi continua a morire, fisicamente o psichicamente all’interno.

Luoghi di violenza istituzionale, che fanno impazzire tanti che vi vengono rinchiusi. Questo sono i Centri per chi è costitutivamente deportabile, in quanto immigrato governato dalle strutture, dalle polizie e dalla logica di Stato.

E luoghi di rivolta. A volte perdenti. E represse in modo selvaggio dalle polizie interne. Come documentato nel libro. Altre volte vincenti. Fino alla chiusura di alcuni di tali Centri. Rivolte che sono il fuoco vivo del movimento antirazzista in Italia. Espressioni dell’autonomia delle migrazioni. Come scrive Yasmine Accardo, è dall’interno dei Centri che le persone si sono liberate, nell’impossibilità di potersi abituare alla loro violenza. Bocche cucite, lamette ingoiate, materassi incendiati, scioperi della fame. Tutto il possibile è stato agito per liberarsi. E dall’esterno, le mobilitazioni, l’uso intelligente degli strumenti giuridici, le visite hanno contribuito.

Tutto ciò ha segnato venti anni di lotta antirazzista, ricostruiti da Accardo, caratterizzati da varie emergenze, non solo da quella contro i Centri di trattenimento ed espulsione, ma anche per l’iscrizione anagrafica, il ritiro del Memorandum del Governo italiano con la Libia di Sarraj e l’accoglienza degna delle persone richiedenti asilo e rifugiate, al centro, spesso, di affari economici sulla propria pelle, che le novità legislative ed amministrative introdotte dal Governo Conte-Salvini hanno confermato e peggiorato, come ricostruito da Grazia Naletto, Sergio Bontempelli e Giuseppe Faso.

Si è trattato di una strada difficile ma necessaria da percorrere. Come difficile ma necessaria è la strada da continuare. Troppi sono i diritti negati e troppe sono le ingiustizie subite ad opera del razzismo di Stato e della suo violenza concreta.
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