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Malgrado migliaia di vite salvate da ONG e Guardia Costiera, continua la conta dei morti sulle rotte del Mediterraneo centrale

Eclissi di Frontex e di Eunavfor Med. I costi dell’abbandono

Phot credit: Darrin Zammit Lupi/MOAS.eu 2017

Nelle ultime ore sono giunti dispacci disperati da parte delle Organizzazioni non governative impegnate, sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana, in attività di ricerca e soccorso in acque internazionali a nord della costa libica. Si contano morti e dispersi e le vittime potrebbero ancora aumentare per il rapido deterioramento delle condizioni del mare.

Tutte le ONG denunciano da giorni la presenza di numerosi gommoni in difficoltà, in acque internazionali a nord della costa libica, mentre le condizioni del mare peggiorano, e la mancanza di imbarcazioni di soccorso.

Dalla zona di soccorso più importante, tra le 20 e le 30 miglia dalla Costa libica, sembrano scomparse le navi di Frontex e della missione europea Eunavfor Med. Soltanto nella mattinata di domenica la Siem PILOT di FRONTEX ricompariva a Nord di Misurata, ben lontana dall’area nella quale, più ad ovest, erano in corso da ore drammatiche operazioni di soccorso condotte dalla Guardia costiera e dalle navi umanitarie

Una carenza ormai cronica di mezzi di soccorso, aggravata, in questi ultimi tempi, dalla sosta prolungata imposta per i più diversi motivi alle navi umanitarie, quando riescono a raggiungere un porto italiano, in particolare Augusta ( Siracusa), Trapani o Catania e vengono sottoposti a controlli estenuanti durante lo sbarco e prima di potere ripartire per altre missioni di soccorso.

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Ritardi che lasciano sguarnite aree dove si potrebbero trovare persone a rischio di fare naufragio anche per un ritardo di qualche ora. Intanto la SIEM Pilot di Frontex, per giorni all’ancora nel porto di Catania, venerdì scorso ha lasciato l’ormeggio e si è diretta verso sud, ma ha spento gli strumenti di rilevamento satellitare e sembra scomparsa nel nulla. Di certo non è stata presente nello spazio delle acque internazionali delle ultime operazioni di soccorso a nord della Libia.

E nella domenica di Pasqua si ha certezza di quello che si temeva, malgrado numerosi interventi di soccorso condotti con grande professionalità e totale dedizione dalle ONG e dalle navi italiane della Marina e della Guardia Costiera, ancora decine di morti ed un numero imprecisato di dispersi. Ed altri potrebbero essere stati ripresi dalla Guardia costiera libica, e rigettati nei centri di detenzione esposti al commercio di trafficanti e schiavisti. Diviene necessario a questo punto capire qualcosa in più rispetto alla collaborazione che, secondo quando dichiarato da Regina Catambrone a Rainews 24, Moas avrebbe ricevuto dalla stessa guardia costiera libica in acque internazionali.

La rotta del Mediterraneo centrale continua dunque a mietere vittime. Una rotta che si voleva chiudere con accordi con il governo Serraj, con i corsi di formazione e con la cooperazione operativa con la sedicente Guardia costiera libica, con l’allontanamento di quelli che sono stati ritenuti come “pull factor”, fattori di attrazione, le navi umanitarie appunto.

Sarebbero infatti “fattori di attrazione” proprio le navi umanitarie, ed i mezzi europei presenti al limite delle acque territoriali libiche, che avevano fin qui garantito una costante capacità di intervento, coprendo le diverse zone della vasta area SAR affidata al controllo della Guardia costiera italiana, dopo il sostanziale disimpegno delle autorità maltesi e la conclamata incapacità delle diverse milizie raccolte nella cd. Guardia Costiera libica, di procedere ad interventi di “search and rescue”, garantendo al contempo lo sbarco in un “place of safety”. Il punto di svolta negli ultimi mesi dello scorso anno.

Appare sempre più evidente che oggi la Libia non è un luogo di sbarco sicuro per nessuno dei migranti bloccati in mare all’interno delle acque territoriali, e le incursioni della guardia costiera libica in acque internazionali hanno costituito un fattore di minaccia per le navi europee impegnate in attività di soccorso, piuttosto che un esempio di leale collaborazione, come sarebbe imposto dalle Convenzioni di diritto del mare, oltre che da un minimo senso di umanità. E ci si augura che nessuno rilanci la bufala sulla possibilità di sbarco nel porto più vicino e non in quello più sicuro, come prescrivono tutte le Convenzioni internazionali.

Chi oggi è costretto a fuggire dalla Libia fugge da violenze che si vogliono nascondere all’opinione pubblica europea perché da sole giustificherebbero il rilascio di visti di ingresso o di permessi di soggiorno per motivi umanitari. E per tanta parte di questa opinione pubblica, condizionata da una campagna mediatica senza precedenti, i migranti possono annegare in mare piuttosto che essere soccorsi e portati in Europa, e le ONG che intervengono per salvare vite umane sarebbero addirittura complici dei trafficanti.

Come se i veri complici dei trafficanti non fossero quelle istituzioni europee, quelle agenzie di controllo e contrato, quei governi nazionali che rendono impossibile ogni via di ingresso legale, anche per chi deve salvare la propria vita. Alla fine i responsabili della vita e della morte dei migranti sono sempre le Organizzazioni umanitarie. Si vogliono allontanare in questo modo testimoni scomodi di una vera e propria omissione di soccorso europea.

Quando l’Unione Europea aveva voluto, nella primavera del 2015, dopo la strage del 18 aprile dello stesso anno, il temporaneo rafforzamento della missione Frontex Triton, aveva permesso una forte riduzione del numero delle vittime. Poi si era ritornati ad una situazione nella quale molti interventi di soccorso erano affidati a navi commerciali.

Proprio a seguito del successivo aumento delle vittime si era intensificato l’intervento delle ONG, di fronte alla conclamata incapacità di soccorso delle navi europee più orientate alle missioni di “law enforcement” che alla ricerca delle imbarcazioni in pericolo ed al salvataggio delle persone che chiamavano soccorso.

Oggi il ritiro quasi totale delle navi impegnate in quella missione, e l’eclissi dell’Operazione Eunavfor Med, dopo le campagne pubblicitarie sulla formazione della Guardia costiera libica, corrispondono ad una impennata delle vittime accertate nelle stragi che sempre più spesso si verificano a nord delle acque libiche.

Intanto i costi delle missioni di Frontex sono aumentate nel tempo, ma l’impegno prioritario appare orientato al contrasto di quella che si continua a ritenere esclusivamente come “immigrazione illegale” ed alla demolizione della credibilità delle ONG, accusate di essere diventate un fattore di attrazione, e dunque di contribuire all’aumento delle partenze dalla Libia. Mentre però lievitavano i costi di Frontex per le missioni del personale di polizia e per le operazioni di rimpatrio, venivano a mancare risorse finanziarie e mezzi per le missioni navali.

Questi i costi di Frontex nel 2014

Questi i costi di Frontex nel 2015

Questi i costi di Frontex, adesso diventata Guardia costiera e di frontiera europea, per il 2016. E poi chiedono ai comandanti delle navi umanitarie quanto guadagnano al mese.

Per ridurre le partenze e per dissuadere le persone in fuga dalla Libia si è pensato che la rarefazione dei mezzi di soccorso delle ONG davanti alle coste libiche potesse costituire una soluzione, magari sperimentando interventi di contrasto della cd. immigrazione illegale in collaborazione con le autorità libiche, autorità sempre più frammentate ed in balia delle milizie locali. Ma per il governo italiano si tratta di una collaborazione da incrementare con la consegna di altre motovedette al governo di Tripoli.

Non sono mancati incidenti sia tra trafficanti e guardia costiera libica che tra questi ed i mezzi delle ONG che continuano a fare attività SAR (di Search and Rescue) in acque internazionali. E se a poche centinaia di metri si vede un gommone carico di persone che sta affondando costituisce omissione di soccorso non entrare in acque territoriali, avvertendo tutte le competenti autorità navali, per salvare vite umane in mare.

Quando invece ad intervenire è la sedicente Guardia Costiera libica, nelle proprie acque territoriali, i morti non si contano ed i cadaveri non vengono neppure recuperati. Cosa avverrà quando arriveranno le motovedette riconsegnate dal governo italiano ed il loro campo di intervento sarà ancora più ampio? Una strage nascosta, succedeva soltanto una settimana fa, ma tutti hanno già dimenticato.

Si è voluto chiudere la rotta del Mediterraneo centrale come si è tentato di chiudere la rotta balcanica. Con accordi con paesi che non garantivano il minimo rispetto dei diritti umani. Un tragico errore di prospettiva politica, condiviso da quei governi che hanno tentato la via degli accordi bilaterali per chiudere la rotta libica ( come voleva fare il governo Gentiloni con gli accordi con alcune “tribù libiche”) e come volevano fare la Commissione ed il Consiglio dell’Unione Europea con una manciata di milioni di euro, nella prospettiva dei “Migration compact” da stipulare con i paesi terzi, nel quadro più ampio segnato dal Processo di Khartoum.

Questa politica europea ed italiana ha contribuito all’esasperazione del conflitto libico, restando centrata soltanto sull’esigenza di una riduzione delle partenze dei migranti, senza un reale impegno per la pacificazione del paese.

Una politica suicida che ha messo fuori gioco l’Unione Europea, e forse anche l’Italia con la sua diplomazia affidata all’ENI, in Libia e che sta avendo i suoi risvolti più tragici nelle stragi in mare e nelle violenze inaudite che tutti i migranti subiscono nei centri di detenzione e negli “holding center” informali nei quali sono reclusi in Libia, prima di avere, se possono pagare, la possibilità di imbarcarsi verso l’Europa. Una occasione per sopravvivere, non una scelta libera e concordata dai trafficanti con le ONG, come ritengono gli strateghi di Frontex.

E le mafie presenti in Libia, come quella nigeriana, ben ramificata anche nel nostro paese, in combutta con le milizie libiche, non vengono combattute, in assenza di una autorità statale capace di imporsi. Questo però non si ammette e si preferisce attaccare gli operatori umanitari che salvano vite umane in mare.

Di fronte ad una situazione sul terreno che appare oggi imprevedibile è evidente che l’impegno delle ONG, sotto attacco a mare, ma anche a terra da parte di Frontex e di alcune procure non potrà evitare ancora per molto un aumento esponenziale delle vittime. Occorre una apertura urgente di canali legali di ingresso per i migranti intrappolati in Libia, e la predisposizione di un vero e proprio piano di evacuazione di quanti in quel paese sono sistematicamente sottoposti ad abusi, se non addirittura alla sottomissione schiavistica.

Si tratta di una scelta che competerebbe all’Unione Europea ed alle sue agenzie, ma in mancanza di un intervento in questa direzione, non viene meno la responsabilità degli stati e la possibilità a livello nazionale di riconoscere visti e permessi di soggiorno per motivi umanitari. Chi si sottrae a questi obblighi di soccorso e di accoglienza in un luogo sicuro, e non le ONG, è davvero complice degli schiavisti e dei trafficanti.