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Mali – L’estensione del conflitto comporta il riconoscimento della protezione sussidiaria a coloro che provengono dalla capitale Bamako

Tribunale di Milano, decreto del 17 agosto 2020

Il Tribunale di Milano ha riconosciuto la protezione sussidiaria in favore di un cittadino maliano proveniente dalla capitale Bamako.

Il Collegio ha ricordato che l’art. 14 D.lgs. n.251/2007 costituisce trasposizione della corrispondente disposizione contenuta nella Direttiva 2004/83/CE, ossia l’art. 15 lettera c). Si deve dunque richiamare la definizione di “conflitto armato” quale deriva dalla nota sentenza della Corte di Giustizia (Quarta Sezione) del 30 gennaio 2014 (causa C – 285 /12 – Diakité). Ne consegue che “non è sufficiente, a integrare la fattispecie, l’esistenza di generiche situazioni di instabilità, essendo invece necessario che le pertinenti informazioni indichino che l’intero territorio del Paese o una parte rilevante di esso (nella quale l’interessato dovrebbe fare ritorno) è interessata da una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata di particolare intensità, tale per cui qualsiasi civile che si trovi ad essere al suo interno è concretamente esposto al rischio di perdere la propria vita o l’incolumità fisica a causa di tale situazione”.

Ciò posto, la situazione generale del Mali, secondo le informazioni aggiornate, presenta una generalizzata situazione di violenza indiscriminata.

La situazione del Paese si è infatti negli ultimi mesi ulteriormente aggravata.

La guerra in Mali è entrata nel suo ottavo anno consecutivo e infuria nonostante gli interventi multipli da parte delle forze francesi, ONU e regionali. Il conflitto muta mentre si diffonde, diventando sempre più brutale. Le popolazioni locali in Mali si sono trovate strette nella morsa tra forze governative repressive, milizie etniche e militanti jihadisti.

L’UNHCR, nel documento “Position on returns to Mali, Update II” del luglio 2019, considerando il gravissimo deterioramento della situazione di sicurezza progressivamente registrato anche in aree diverse da quelle del nord e di una chiara situazione di violenza diffusa, ha concluso per una posizione di non rimpatrio nelle seguenti regioni: Timbouktou, Gao, Kidal, Taoudenni, Ménaka, Mopti, Ségou e Sikasso nonché Koulikoro region, Nara, Kolikana, Banamba e Koulikoro (città). Deve ritenersi che tale posizione sia attualmente da estendere, oltre alle citate regioni, anche alla capitale Bamako, atteso che la situazione di conflitto si sta progressivamente espandendo anche in quell’area.

L’OCHA (UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) ha pubblicato a Gennaio 2020 un report sui bisogni umanitari in Mali in cui viene evidenziato che “basandosi sul barometro dei rischi, la classificazione del Mali nell’Inform Index Global Risk 2020 raggiunge un livello pari al 9,8 su una scala di 10 per il rischio di “Violent Internal Conflict Probability” e del 9,7 per il rischio di “Highly Violent Internal Conflict Probability”, nonché un livello pari a 8 relativo al “Current highly Violent Conflict Intensity score”. Lo stesso documento precisa come, rispetto al 2018, la situazione sia nettamente peggiorata nel centro del Paese (principalmente nelle regioni di Mopti e Ségou) e come si sia aggravata anche nel resto del paese, in particolare nel circondario di Tomboctou e nella regione di Ménaka. Incidenti legati all’esplosione di ordigni improvvisati e mine, conflitti interetnici, attacchi da parte di gruppi estremisti, l’esacerbazione delle violenze di genere e le gravi violazioni dei diritti umani hanno avuto conseguenze e impatto su circa 8,2 milioni di maliani, ossia il 41% della popolazione.

L’estensione del conflitto a pressoché tutto il Mali, compresa la capitale, rende assolutamente ragionevole ritenere che tutto lo Stato sia caratterizzato da una situazione di conflitto armato con violenza indiscriminata nei confronti dei civili ai sensi dell’art. 14, lett. c) del D. Lgs. 251/2007. Data l’estensione del conflitto come sopra delineata, non possono infatti essere escluse singole zone (come Kayes) ovvero città geograficamente collocate all’interno della zona di conflitto, in considerazione del fatto che i confini del conflitto non sono ben definiti e che un eventuale rimpatrio sarebbe estremamente difficile, se non addirittura impossibile, dovendo riconoscersi la stessa capitale come zona di conflitto.

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Tribunale di Milano, decreto del 17 agosto 2020