Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Mali, protezione sussidiaria – Nel paese è assente una tutela adeguata ed efficace da parte dello Stato

Corte di Appello di Potenza, sentenza n. 56 del 5 febbraio 2020

La Corte di Appello di Potenza, dopo aver chiarito come i c.d. “agenti persecutori privati”, in assenza di una tutela adeguata ed efficace da parte dello Stato, possono rilevare ai fini della protezione internazionale, ha riconosciuto, in favore di un cittadino maliano, il diritto alla protezione sussidiaria ex art. 14 lett. a) e b), per la sussistenza del pericolo di morte o di subire trattamenti inumani e degradanti per mano di alcuni membri del villaggio.
Nel riesaminare la vicenda esposta del richiedente asilo – proveniente dal Mali e fuggito per evitare il linciaggio da parte di membri del villaggio danneggiati da un incendio appiccato accidentalmente durante il periodo del raccolto – la Corte di Appello di Potenza ha ritenuto plausibile e giustificata la scelta di A.T. di allontanarsi repentinamente dal villaggio di origine piuttosto che affidarsi alla scarsa efficienza delle forze dell’Ordine locali e nazionali.
Rilevata la plausibilità e la credibilità della vicenda narrata, la Corte ha proceduto ad accertare se i responsabili del timore specificamente esposto – altri membri del villaggio – potessero considerarsi “agenti persecutori” ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. 251/2007.
Sul punto i giudici potentini, dopo aver rilevato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità circa la definizione di “agenti persecutori” (Cass. Sez. 6-1. Ordinanza n. 3758 del 15 febbraio 2018 – contraria a Cass. Sez. 6-1. Ordinanza n. 9403 del 01/04/2019), aderendo all’orientamento più datato ed estensivo hanno affermato quanto segue:
“a) la lettura coordinata degli artt. 5 e 6 del D.lgs. n. 251/2007 favorisce una interpretazione secondo la quale, ove il danno grave o la persecuzione provengano da soggetti non statuali, essi possono costituire i presupposto per la protezione qualora lo Stato o i partiti e le altre organizzazioni che lo controllano in tutto o in parte, non possano o non vogliano offrire protezione contro tali minacce, in particolare per le deficienze di un effettivo sistema giuridico;
b) che tale mancanza di protezione debba manifestarsi necessariamente “a fronte, evidentemente, di atti persecutori e danno grave non imputabili direttamente ai medesimi “soggetti non statutali”, ma pur sempre allo Stato o alle menzionate organizzazioni collettive”, è a conclusione che abiliterebbe l’idea che, pur quando lo Stato sia capace di proteggere contro atti di persecuzioni o danni gravi non imputabili a soggetti non statuali, ma rimanga deficitario quando tali atti siano posti in essere da soggetti non statuali, tale condotta (di soggetti non statuali) rimarrebbe del tutto priva di rilevanza, rendendo in tal modo sempre e del tutto inapplicabile la disposizione dell’art. 5;
c) che ciò appare tanto più vero giacché, attraverso un effettivo sistema giuridico, lo Stato dovrebbe essere capace di “perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave e, nell’accesso da parte del richiedete a tali misure” E’ ragionevole ritenere che tale capacità di reazione e repressione sia fondamentalmente quella che lo Stato deve garantire contro ogni atto che costituisca persecuzione o danno grave, indipendentemente dal soggetto che lo realizzi (statuale o privato;)
d) il Considerando 26 della direttiva n. 2004/83/CE afferma che solo di norma i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave, in tale modo facendo salva appunto la possibilità che, di fronte ad un sistema che non garantisce tali rischi possano essere considerati ai fini della protezione;
e) che le misure di protezione internazionale siano applicazione dell’art. 10 della Costituzione, infine, non può significare che esse mirino esclusivamente alla protezione dell’effettivo esercizio delle libertà democratiche. Rimanere al riparo, ad esempio, da trattamenti inumani o degradanti, non significa necessariamente garantire le libertà democratiche del richiedente.”
La Corte di Appello di Potenza, dunque, disattendendo il recente arresto della giurisprudenza di legittimità che ha ritenuto che gli “agenti persecutori privati” in una “faida tra soggetti privati” non possono rilevare ai fini della protezione internazionale, ha affermato che: “la vicenda narrata dal richiedente integra gli estremi del danno grave, sotto il duplice profilo che la minaccia posta nei suoi confronti si appalesa quale rischio di morte o di essere sottoposto a trattamento inumano o degradante (ai sensi dell’art. 14 lett. a) e c) del D.Lgs. n. 251/2007)”
In forza di tale considerazione, accertato che in Mali è ad oggi assente un sistema giudiziario e di polizia efficace ed adeguato, ritenendo plausibile il timore espresso dal richiedente asilo di poter subire violenze e persecuzioni per mano dei suoi concittadini lesi dall’incendio appiccato, la sentenza in commento conclude affermando che “Risulta in tal modo confermato che per le inefficienze endemiche del sistema giuridico (aggravato dalla grave situazione di instabilità che caratterizza il Paese, vittima di un aspro conflitto interno con ripercussioni) il Mali non sia in grado di offrire protezione, individuando, perseguendo penalmente e punendo gli atti che costituiscono danno grave. E’ conseguente pertanto, in accoglimento dell’appello, riconoscere all’appellante la misura della protezione sussidiaria” (Corte di Appello di Potenza N. 56/2020 del 24 gennaio 2020)

– Scarica la sentenza
Corte di Appello di Potenza, sentenza n. 56 del 5 febbraio 2020