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Manduria – Dialoghi con Doufakar

di Francesco Ferri, Campagna Welcome in presidio a Manduria

Ci si ritrova tristemente a commentare l’ennesimo episodio urticante verificato davanti alla tendopoli edificata ormai da dieci giorni nei territori limitrofi al comune di Manduria. L’accesso alla struttura ormai ex detentiva normalmente precluso a chiunque, ONG e associazioni umanitarie comprese, nella giornata di oggi è stato negato anche a Betty Williams, settantenne irlandese nobel per la pace nel 1976. Un’ulteriore fastidiosa nota di cronaca dal prepotente carattere repressivo ci raggiunge in serata. Nelle zone adiacenti al Cai di Manduria sarà vietata, d’ora in avanti, ogni forma di manifestazione e di distribuzione di materiali e volantini. Insomma, né dentro, né fuori. La nuova logica dell’isolamento pare procedere in questa direzione: atto autoritativo del prefetto tendente a limitare le forme di contaminazione che si moltiplicano da ormai quattro giorni, dopo che una consistente parte dell’infame recinzione è stata spazzata via dal moto propulsivo dei corpi.

Altra giornata trascorsa immersi in dialoghi intensi e suggestioni lontane, che ormai raggiungono forme di narrazione pressochè totali. Oggi abbiamo ritenuto opportuno provare a dare forma scritta a frammenti di questi racconti. Riteniamo che non esista solidarietà che non passi per il ribaltamento della logica noi/altri e che per una corretta comprensione dei processi di produzione normativa e sociale siano necessarie forme particolarmente intense di contaminazione interculturale delle reciproche prospettive politiche. Quale maniera migliore per iniziare a praticare questa prospettiva che non passi da uno di questi tremendi e straordinari attimi di precaria esistenza?

Doufakar, spigliato ragazzo ventottenne di Gabes, cittadina del sud della Tunisia, è partito il 18 Marzo in direzione Lampedusa. Ci racconta subito la portata tragica delle sue trenta ore passate in mare: duecentocinquanta uomini assiepati in uno spazio angusto, senza alcuna possibilità di movimento. Rischio costante di finire, irrimediabilmente, in acqua.

Doufakar è in Italia con il padre: duemila euro per entrambi, nessuna garanzia che ad attenderlo ci sia un futuro possibile. Si alternano, nel suo passionale racconto, momenti di sconforto preossochè assoluto in connessione con il pensiero della famiglia ancora in Tunisia e la sua condizione di precarietà assoluta, a momenti di improvvisi sorrisi, che lo attraversano appena prova ad immaginare il suo futuro nella stanca Europa.

Laureato in tecnologique, spera di trovare una professione che gli permetta in qualche modo di continuare a navigare nell’ambito della sua formazione. In alternativa, comunque, è pronto a svolgere qualsiasi tipo di mestiere. Destino che inevitabilmente ci accomuna. Doufakar lo sa bene, e sorride.
Le descrizioni dei momenti della rivolta in Tunisia sono poche e confuse. Doufakar non ne vuole parlare, e capiamo presto il perchè. Ha perso un amico, mitragliato da una macchina di passaggio mentre era al suo fianco. Non occorrono ulteriori analisi.
Doufakar preferisce, e noi con lui, provare ad immaginare il suo futuro più prossimo. Riprendere a praticare attività sportiva, ritornare a seguire i suoi club calcistici preferiti. Ascoltare i i suoi rapper preferiti, francesi ed algerini. Desideri di una vita cosi normale da sembrare, al momento, incredibilmente distante.
Doufakar ci tiene a commentare la situazione politica delineatasi in Italia. Sottolinea come l’idea del nostro paese che lo accompagnava prima di partire per il mare non fosse di certo lusinghiera, ma che non si sarebbe mai aspettato che nell’opulento occidente lo si abbandonasse per sei giorni su una spiaggia di Lampedusa. Poi ci racconta di come, nei fatti, la situazione politica a Tunisi non sia cambiata in maniera rilevante. Immancabili riferimenti al baciamano di Berlusconi al leader libico, e ai bombardamenti di Tripoli.
Doufakar ci racconta dei suoi sette giorni di esistenza come volontario nel campo profughi al confine tra Tunisia e Libia. Una lezione di dignità che andrebbe urlata al mondo intero.

L’occidente cristiano a differenza di altri contesti culturali, come quello da cui proviene Doufakar, ha smarrito il senso della parola comunità.

Doufakar ha ragione, indubbiamente. Anche per questo torneremo ad abbracciarlo domani, e lo abbracceremo, lui e tutti, per sempre.