Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Matrimonio – Come fare nel caso si tratti di un richiedente asilo in attesa di essere esaminato dalla Commissione?

Siamo in presenza di due persone in possesso di regolare permesso di soggiorno. Nel caso di ricongiungimento familiare fra persone che siano regolarmente soggiornanti, esiste nel Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286) una norma specifica (art. 30, comma 1, lettera c)) che prevede che il permesso di soggiorno per motivi familiari sia rilasciato al familiare straniero, regolarmente soggiornante, coniugato con straniero regolarmente soggiornante in Italia.
In tal caso, il permesso del familiare è convertito in permesso di soggiorno per motivi familiari. La conversione può essere richiesta entro un anno dalla data di scadenza del titolo di soggiorno originariamente posseduto dal familiare; qualora detto cittadino sia un rifugiato, si prescinde dal possesso del regolare permesso di soggiorno da parte del familiare.
Questo signore non è stato ancora riconosciuto e non sappiamo se lo sarà, ma in questo momento è in possesso di un regolare permesso di soggiorno e lo stesso vale per la futura moglie.
La norma sopra specificata prevede la richiesta di un permesso di soggiorno per motivi di ricongiunzione familiare da parte del marito e, quindi, il rilascio di permesso di soggiorno valido anche per lo svolgimento di attività lavorativa; questo perché la moglie è regolarmente soggiornante ed ha un permesso di soggiorno che di per sé è rinnovabile.
Anche se lei è ancora sottoposta al trattamento previsto dal programma di reinserimento sociale (ovvero è ancora sotto il monitoraggio dell’associazione o dell’ente o dell’organizzazione che sta seguendo il suo reinserimento), è in possesso di un permesso di soggiorno che potrà essere rinnovato e anche convertito in normale permesso di soggiorno per lavoro.
Questa persona può sposarsi con un cittadino regolarmente soggiornante e può essere richiesta la conversione del permesso di soggiorno per motivi di famiglia. Se la questura rifiutasse di concedere la conversione del permesso di soggiorno all’interessato, sarà possibile attivare il rimedio giudiziario previsto sempre dall’art. 30, comma 6, che prevede il ricorso al tribunale civile del luogo dove risiedono gli sposi.
In materia di esame della legittimità dei provvedimenti di rifiuto del ricongiungimento familiare, l’esperienza passata ha dimostrato sia che è piuttosto rapida l’emanazione di provvedimenti (provvedimenti d’urgenza), sia che vi è una certa apertura verso la possibilità di coesione familiare a fronte, come in questo caso, dell’esistenza di figli.

Qualora non dovesse funzionare questo rimedio c’è la possibilità di chiedere, in base a quanto è previsto dall’art. 31 del Testo Unico sull’Immigrazione, una speciale autorizzazione da parte del tribunale dei minori che potrebbe valutare l’opportunità – per una serena crescita della minore e in deroga alle norme previste in materia d’ingresso e di soggiorno – di autorizzare la permanenza regolare in Italia del padre, anche per l’evidente necessità che questi contribuisca al sostentamento della famiglia.
Si tratta di una strada che vale la pena percorrere, a partire dalla richiesta, successivamente al matrimonio, di conversione del permesso di soggiorno per motivi di famiglia. In questo caso deve essere formalizzato il matrimonio con i documenti prescritti; come già trattato altre volte, l’unica peculiarità che può presentare aspetti problematici è che in questi casi uno dei due futuri sposi – il cittadino della Sierra Leone – avrà serie difficoltà ad ottenere il certificato di nascita e il nullaosta da parte delle autorità del suo paese di origine.
La persona in questione non è stata ancora riconosciuta come rifugiato e, quindi, non può avvalersi di quella norma (art. 25) della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sullo status dei rifugiati (resa esecutiva in Italia con legge n. 72 del 24 luglio 1954), che garantisce ai rifugiati riconosciuti l’esenzione da qualsiasi forma di assistenza amministrativa da parte delle autorità dei paesi di provenienza (in considerazione del dato di esperienza per cui è noto che, dal momento in cui si scappa dal proprio paese, non si può così facilmente ottenere collaborazione da parte delle autorità dello stesso per il rilascio di documenti o certificati).
In questo caso però l’interessato non è stato ancora riconosciuto come rifugiato, né sappiamo se lo sarà e, quindi, non può avvalersi della suddetta esenzione. Potrà pertanto tentare di far capire all’ufficiale di stato civile (al quale verranno chieste le pubblicazioni) la situazione di forza maggiore di cui è vittima, cioè l’oggettiva impossibilità di munirsi di documenti in Sierra Leone, indipendentemente dalla possibilità che questi siano o meno legalizzati dall’ambasciata italiana.
In caso di (prevedibile) rifiuto delle pubblicazioni da parte dell’ufficiale di stato civile, l’interessato potrà tentare un ulteriore ricorso al tribunale (ai sensi dell’art.98 c.c.) per ottenere un provvedimento che disponga il perfezionamento delle pubblicazioni, anche in mancanza dei documenti prescritti provenienti dal paese d’origine. Questo a condizione di dimostrare con ogni possibile mezzo di prova, da un lato, che non è oggettivamente possibile, per cause di forza maggiore come la guerra civile in atto, ottenere il rilascio di qualsiasi documento proveniente dalla Sierra Leone, e dall’altro che non vi sono impedimenti legali al matrimonio in base alle leggi del paese d’origine e che l’interessato ha uno stato civile “libero” (cioè non è coniugato nel proprio paese) .