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da Il Corriere del Veneto del 13 aprile 2009

Medico denuncia clandestina: espulsa

Primo episodio in Veneto. Il primario: «Il mio collega è stato scorretto»

Era finita a dormire dove le ca­pitava. Qualche volta in stazio­ne, quando le andava meglio da amici. Come la notte in cui s’è sentita male e ha pensato che in ospedale avrebbe ricevu­to aiuto. Mai, evidentemente, avrebbe immaginato di trovar­vi anche le manette. Allertata da un medico del pronto soc­corso di Conegliano, la polizia ha infatti arrestato una nigeria­na di vent’anni. Di fatto la pri­ma clandestina, forse al di là delle intenzioni del dottore, ad anticipare in Veneto l’applica­zione della norma contenuta nel pacchetto sicurezza attual­mente all’esame del Parlamen­to.

Mantenuto per giorni nel massimo riserbo, l’episodio s’è consumato fra la tarda serata di martedì e la mattinata di merco­ledì della scorsa settimana. Va­le a dire nel tempo intercorso fra l’accesso della giovane al Santa Maria dei Battuti e la sen­tenza pronunciata dal tribunale di Treviso. Al suo arrivo al Pron­to soccorso del nosocomio co­neglianese, la donna ha spiega­to di aver avuto un malore men­tre si trovava a casa di alcuni connazionali. Dopo essere stata visitata dal medico di turno, in­torno all’una, la ragazza sareb­be rimasta in osservazione per un paio d’ore, ottenendo le cu­re del caso. Ma per tutto quel tempo, l’africana si sarebbe ri­fiutata di fornire le proprie ge­neralità e non avrebbe fornito ai sanitari alcun documento, che del resto non aveva. A quel punto il medico avrebbe telefo­nato al 113, riferendo che nel­l’unità operativa era stata presa in carico una «paziente igno­ta ».

Il dottore avrebbe motivato la richiesta d’intervento alla for­za pubblica con la necessità di identificare la sconosciuta per fugare il rischio di problemi sa­nitari, riscontrabili ad esempio attraverso una verifica in ban­ca- dati, in quelle circostanze impossibile da effettuare. Comunque sia, il risultato è che in commissariato la nigeria­na ha finalmente detto come si chiamava. Dopo averla fotose­gnalata e sottoposta all’esame delle impronte digitali, i poli­ziotti hanno così appurato che la giovane era entrata illegal­mente in Italia, con tutta proba­bilità in uno dei tanti sbarchi a Lampedusa. A carico della don­na pendeva infatti un ordine di espulsione emesso dalla questu­ra di Agrigento, evidentemente disatteso. La mattina dopo l’immigrata è stata processata per direttissi­ma.

Davanti al giudice, l’impu­tata è scoppiata in lacrime, rac­contando di essere scappata dal­la Nigeria per sfuggire alla mor­te e di aver voluto cercare nella Marca una seconda possibilità. Al termine dell’udienza, l’extra­comunitaria s’è vista però com­minare una nuova intimazione a lasciare il territorio nazionale, senza accompagnamento. Chissà, quindi, se nel frat­tempo la straniera è stata effetti­vamente espulsa. Di sicuro la vi­cenda fa discutere, nel Veneto che (col veronese Federico Bri­colo, primo firmatario della pro­posta) ha dato la paternità poli­tica al passo del disegno di leg­ge che prevede l’abolizione del divieto per i medici di denun­ciare i clandestini. Sconcertato si dice Enrico Bernardi, prima­rio del Pronto soccorso di Cone­gliano: «Non ne sapevo nulla, approfondirò il caso. Ma se è ve­ro che un collega del mio repar­to ha denunciato una paziente perché clandestina, ha avuto un comportamento deontologi­camente scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici e ammala­ti. Il giuramento di Ippocrate ha più di duemila anni ed è basato su un fondamento etico ben preciso».

Nella versione moderna, il te­sto che recitano i neo-medici in­clude infatti la promessa «di at­tenermi ai princìpi etici della so­lidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della per­sona, non utilizzerò mai le mie conoscenze» e «di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupo­lo e impegno indipendente­mente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza». Aggiunge Bernardi: «La pau­ra ingenerata dalla denuncia po­trebbe indurre i malati a non ri­correre più alle strutture pubbli­che, causando notevoli rischi sul piano dell’igiene e della sani­tà pubblica. Un’autentica fol­lia ». Più cauto è Angelo Lino Del Favero, direttore generale dell’Usl 7: «Da quanto appren­do, il medico in questione ha agito secondo coscienza, in cir­costanze che sono tutte da ap­profondire. Il nostro Ordine ha una posizione precisa in mate­ria, ma allo stato non credo si possano ravvisare violazioni normative. Il problema è che questa donna è risultata clande­stina, ma l’esigenza sanitaria era di identificarla».