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Messico – Un viaggio lungo i confini

di Camilla Camilli, Ass.ne Ya Basta! Êdî Bese!

Foto: Arturo Campos Cedillo/RACCImágenes

Per alcuni migranti centroamericani percorrere il cammino verso il sogno americano è diventato una questione di vita, tanto che alcuni, nel momento in cui sono deportati nel loro paese d’origine, la prima cosa che fanno è trovare un altro modo per fuggire. Se fino a qualche anno fa erano per lo più uomini e ragazzi che decidevano di migrare, ora è in costante aumento anche il numero delle famiglie e delle donne sole. La maggior parte di loro proviene dal cosiddetto Triangolo Nord del Centro America: Guatemala, El Salvador e Honduras. Scappano da miseria e povertà, dalla mancanza di un lavoro che sia costante e libero dal pagamento delle imposte richieste dalle varie pandillas che popolano le strade del Centro America. Queste sono l’altra causa che alimenta il flusso migratorio. Nate tra le carceri degli Stati Uniti negli anni Novanta, si sono ben presto estese nelle loro città d’origine prendendone il controllo e dettando legge tra la popolazione. Sono due le principali pandillas: la Pandilla Barrio 18 (M-18) e la Mara Salvatrucha (MS-13).

La loro diffusione a livello capillare ha permesso loro di controllare il mercato della droga e delle armi, i cui introiti sono alimentati da estorsioni a piccoli commercianti, rapimenti e furti. Il loro numero e la loro forza non sembra diminuire. L’alto tasso di corruzione e impunità di questi paesi garantisce loro di agire indisturbati, mentre il reclutamento, anche forzato, di giovani permette loro di avere sempre nuovi membri. La violenza generata tra lo scontro tra i marenos delle diverse pandillas ha reso gli stati del Centro America in guerra, con un tasso di morti cosi elevato da far concorrenza a paesi come Siria e Iraq. San Pedro Sula, in Honduras, è stata infatti per molti anni la città più violenta al mondo. Una guerra infame nella quale si può morire in modo banale e che rende le cose più comuni le più pericolose. Anche il solo entrare in una colonia che non sia la propria e che sia controllata da un’altra pandilla può essere mortale.

Da tutto questo scappano i migranti, esasperati dall’ennesima minaccia e dall’ennesima esecuzione a sangue freddo. Scappano ma purtroppo le loro sofferenze non sono affatto finite. Li aspetta lo sterminato territorio messicano e la frontiera più pericolosa al mondo, quella con gli Stati Uniti.
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Una volta attraversato il Rio Suchiate che divide in modo naturale il Guatemala dal Messico, i migranti iniziano il loro cammino da indocumentados. Quasi tutti utilizzavano il mezzo di trasporto più economico, ovvero il treno merci, la Bestia, che nel giro di un paio di settimane, salvo deportazioni e sequestri lungo la rotta, li portava fino alla frontiera nord. Le cose però sono molto cambiate da quando è stato introdotto il Plan Frontera Sur il 7 luglio 2014.
Presentato sulla carta come un piano di sviluppo della frontiera Sud e di maggior sicurezza per i migranti in transito in Messico, ha portato soprattutto maggiori controlli e repressione. Il progetto è stato, inoltre, caldamente supportato anche dagli Stati Uniti, interessati, più che alla sicurezza delle persone, a quella della loro frontiera. Nell’ultimo anno, quindi, si è verificato un dispiegamento di funzionari della migrazione e di polizia federale lungo la frontiera sud e lungo la rotta migratoria. Allo sviluppo di una delle zone più povere del paese si è risposto con la sua militarizzazione. Alla sicurezza prevista per i migranti si è risposto con la presenza di polizia privata sulla Bestia e maggiori operativi della migrazione lungo la via del treno. Tutto questo senza dare una concreta e valida alternativa ad un flusso che non si sta affatto arrestando. Se non possono salire sul treno perché ormai troppo pericoloso, la maggior parte dei migranti intraprende il suo cammino a piedi.

Foto: @RubenFigueroaDH
Foto: @RubenFigueroaDH

Settimane di cammino in zone impervie, prive di acqua, nascondendosi agli occhi delle autorità. Non sempre però riescono a fuggire agli assalti e alle aggressioni. Sia che si tratti di federali o autorità locali, sia di criminali, i migranti vengono derubati di tutto ciò che hanno: i pochi soldi che portano con sé, i documenti, vestiti e scarpe, cellulari. Mentre le donne, molto spesso, vengono stuprate sul posto o tenute segregate per giorni dai loro aguzzini. Altre volte, invece, vengono sequestrati dagli Zetas, tenuti per giorni in qualche casa abbandonata mentre viene estorto denaro ai loro famigliari o mentre vengono costretti a lavorare per loro per un tempo indefinito.

Nel loro cammino non c’è solo sofferenza e morte. Lungo la rotta possono incontrare la gentilezza di chi non ha quasi niente ma regala loro un po’ d’acqua e qualcosa da mangiare, di chi condivide con loro un posto dove passare la notte. Ci sono poi le case per migranti, disseminate lungo il cammino, che vivono grazie al lavoro dei volontari e ad alcune donazioni. Luoghi sicuri dove i migranti si possono fermare per qualche giorno, riposare, mangiare e proseguire poi il loro viaggio. In alcuni trovano assistenza medica e legale, grazie alla quale posso ricevere il sostegno necessario qualora vogliano sporgere denuncia per ciò che hanno subito. In questo modo possono poi iniziare il processo di regolarizzazione che permette loro di ottenere una visa umanitaria e muoversi liberamente nel territorio messicano senza più il rischio di venire deportati.
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Alcuni si fermano in Messico, ma la maggior parte vuole arrivare alla frontiera. Li però non valgono più denunce o visa, tutto ricomincia da zero e fondamentalmente sono due i modi per poter attraversare la frontiera: pagare un pollero che ti porti dall’altra parte o caricarti sulle spalle uno zaino contenente droga e sperare che non ti prenda la polizia americana.

La migrazione viene quindi, da una parte, ostacolata e disincentivata con controlli, impunità e repressione; dall’altra rappresenta una grande fonte di lavoro a basso costo e facile da sfruttare. La mancanza di tutele e diritti, non solo per i migranti, ma anche per i difensori di diritti umani, fa funzionare perfettamente questo meccanismo perverso alimentando e giustificando la presenza di sentimenti razzisti e politiche discriminatorie.