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“Mi chiamo Bob…”

La storia di un richiedente asilo liberiano, ospite del Caffè Esilio di Padova

“Mi chiamo Bob e sono nato a Kuru Monrovia. Sono Liberiano, ho 29 anni.
Quando è iniziata la guerra, nel 1989, ho perso mia madre, mio padre e mia sorella; mio fratello aveva 4 bambini: 2 sono morti e gli altri 2 non sappiamo ancora dove siano.
Il posto dove vivevo è un villaggio di pescatori. La vita era molto povera, riuscire a mangiare era difficile…
Una mattina arrivò la guerra. Era… terribile: terroristi e governi colpevoli che ammazzavano gente innocente, sempre…
Ricordo che correvo, eravamo in 30 circa. L’unica cosa che appariva chiara era che ognuno doveva preoccuparsi di salvare la propria vita. C’erano pallottole che volavano ovunque e scappammo su una barca; non avevamo remi e dovevamo remare con le mani.
Ci fermavamo ogni tanto sulla costa, parlavamo con le persone, poi continuavamo il viaggio; vedevamo la gente dal mare.
A quel punto mi ero già arreso. Pregavo Dio. Dopo una settimana di viaggio avevo bisogno di pregare… non so se il paese dove siamo arrivati era la Turchia, credo di sì… Non pensavo di partire per l’Italia. Sapevo solo che sarei arrivato ovunque fossi sopravvissuto. Allora io pregavo, volevo morire…
Non ho scelto di venire in Italia.
Abbiamo toccato molti posti scappando per mare. Ad un certo punto dal mare vedemmo una nave grandissima, piena di neri, che veniva verso di noi per salvarci. Eravamo in dieci sulla nostra piccola imbarcazione, ma due sono morti. Questa nave ci è venuta a prendere. Ricordo che stavo molto male. Arrivato a Lampedusa ci vollero tre giorni prima che mi riprendessi. Ho capito che ero in Italia quando ero già arrivato e mi sono accorto di essere ancora vivo. Non mi aspettavo di sopravvivere… pensavo di morire.

Sono arrivato in Italia nel 2002, a novembre. Prima sono stato a Crotone e poi a Milano; a Milano dormivo all’aperto, per strada. Poi un amico mi ha fatto sapere che se venivo a Padova c’erano persone che potevano aiutarmi, di Razzismo Stop …e da Milano sono arrivato a Padova col treno.
Con Razzismo Stop e altri richiedenti asilo abbiamo occupato una posto vuoto e abbiamo fatto in modo che fosse pulito e vivibile.

In Italia le condizioni non sono facili, ci sono molte difficoltà, rifiutano di darci documenti validi. Stiamo cercando di ottenerli.
La maggioranza di noi non può tornare in Liberia perché adesso non c’è ancora una buona situazione: è molto difficile per noi vivere lì dopo 15 anni di guerra… c’è povertà, tristezza, miseria. Penso che non potrei tornare in Liberia. Non ho più né fratelli né sorelle… Prima almeno avevo una famiglia in Liberia… Ora non ho più nessuno.
Come uomo è qui che riesco a vedere la mia vita e il mio futuro.
Voglio rimanere in Italia, studiare.Voglio continuare la mia vita qui. Forse un giorno potrò essere uno dei casi riusciti di rifugiato politico in Italia.

Qui alla scuola dove abito siamo come una famiglia, sì, davvero… quando penso che posso parlare il mio dialetto con altre persone, nonostante tutto quello che è successo in passato… Mi sento parte di una famiglia, perché insieme stiamo costruendo il nostro futuro.
Però mi mancano i miei genitori, i miei fratelli, le mie sorelle, la mia famiglia… mi manca… la mia vita.

In Italia vedo rifugiati politici e immigrati che continuano a trovare difficoltà per avere un lavoro e sono comunque trattati come schiavi.
In Africa, quando ero in Liberia, se vedevamo un uomo bianco, lo amavamo come fosse un dio. In Africa gli avremmo dato l’onore, il rispetto, la cura di ogni suo bisogno, come fosse una divinità; ma quando sono arrivato qui ero molto sorpreso di trovare neri e vederli come schiavi…Non so cosa dire, noi abbiamo sempre rispettato i bianchi nel nostro paese…
Io credo che il governo italiano deve riconoscere i nostri diritti umani, di persone, e deve affermarli. Io penso che abbiamo questi diritti come uomini e forse potrebbero darci un po’ di spazio, per aiutarci a raggiungerli e a costruire la nostra pace”.

Traduzione di Mauro Pizziolo