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Migranti e crisi economica – Il distretto di Suzzara, nel Sud della Provincia di Mantova

Una tesi di Vanessa Azzeruoli

Introduzione
Gli studi sulle migrazioni si sono focalizzati spesso nell’ambito metropolitano; in questo caso, invece, si è analizzata una piccola realtà storicamente rurale, il distretto di Suzzara. Situato nel sud della provincia di Mantova, a confine con la regione Emilia Romagna, è esemplificativo di una realtà tipica della Pianura Padana.
I cambiamenti del rapporto centro-periferia hanno fortemente ibridato i rapporti storici di dominio e sfruttamento: l’espansione industriale dell’ultimo ventennio ha prodotto nuovi posti di lavoro a cui è seguita una rapida crescita urbanistica. In questo contesto le migrazioni si sono inserite all’interno del tessuto produttivo e sociale, cambiandone l’equilibrio storico locale.
Come viene esplicitato dai dati statistici provinciali, la crescita della popolazione è completamente costituita dalla immigrazione straniera: l’alto numero di ricongiungimenti famigliari e la percentuale di minori (tra le più alte in Italia) evidenziano poi una peculiare stabilizzazione dei migranti, con comunitarie nazionali sono sempre più presenti e radicate.
Il distretto di Suzzara, in particolare, si caratterizza per una forte immigrazione dal subcontinente indiano (principalmente dall’India, ma anche da Pakistan e Bangladesh), che ricopre ruoli fondamentali nella produzione locale del Parmigiano Reggiano. La grande crescita di queste comunità ha portato ad un superamento dell’impiego settoriale, inserendosi come operai generici nelle industrie locali, dove sono presenti inoltre migranti marocchini, albanesi e di altre nazionalità.
Se da un lato la zona non rileva particolari problemi di sicurezza, dall’altra si avverte nel discorso locale una costruzione della figura del migrante buono vs migrante cattivo: la “positività”, ad esempio, del migrante asiatico si contrappone alla “negatività” dei migranti albanesi e nordafricani (identificati genericamente come “musulmani”).
Nella realtà dei fatti, però, sono proprio i migranti dal subcontinente indiano ad essere maggiormente colpiti dalle discriminazioni verbali e dalle umiliazioni: la loro arretratezza percepita induce gli abitanti locali a considerarli inferiori, non in grado di entrare in competizione con la vita e il lavoro degli autoctoni.
Ancor più evidente è il paradosso delle migranti est europee: sebbene l’irregolarità sia astrattamente percepita come pericolo, essa non viene mai associata alla figura delle badanti, anche se costituiscono la parte maggioritaria di tale fenomeno. Il loro status di irregolari è accettato, e spesso preferito, perché le rende disposte anche alle più sfavorevoli condizioni d’impiego.
Indiani e badanti, su cui vengono generalmente espressi giudizi positivi, hanno in comune il loro ruolo nella struttura lavorativa della zona. Gli indiani sono impiegati soprattutto nel settore primario, che negli ultimi decenni ha visto un progressivo abbandono da parte dei locali; il ruolo della badante è stato creato per colmare, a buon mercato, le mancanze delle famiglie nella cura dei propri anziani.
Il migrante buono è quindi quello funzionale alla popolazione locale per garantire lo status quo, senza sovvertirlo. Al contrario, il migrante cattivo, quello che “ruba il lavoro agli italiani”, è la incarnazione di un sentimento generalizzato di paura di fronte alle grandi trasformazioni del territorio, avvenute in poco più di un decennio. L’avvento del neoliberismo nella zona ha coinciso con la grande ondata di migrazione straniera che ha colte impreparate tutte le istituzioni sociali: il loro immobilismo, tipico delle zone marginali, le ha portate a chiudersi su se stesse e a continuare a riproporre la medesima condotta. Esempio palese sono i sindacati, che allo stato attuale tutelano solo una parte di lavoratori, contribuendo a cristallizzare la gerarchia contrattuale. Allo stesso modo le amministrazioni locali, storicamente fedeli alla disciplina del partito e senza alternanza politica, si sono progressivamente scollate dalla popolazione.

La crisi economica sta portando alla luce la forte tensione tra lo stretto legame permesso di soggiorno-lavoro e l’autonomia dei migranti. E’ necessario quindi soffermarsi sulle reali dinamiche delle trasformazioni in corso.
Il discorso attuale sulla crisi mondiale verte sulla ricostruzione della fiducia nei mercati; a livello locale, invece, la fiducia da ricostruire è quella in un futuro certo. Per affrontare realisticamente i cambiamenti, e ricostituire una comunità senza paure aleatorie, è necessario passare attraverso la valorizzazione della soggettività dei migranti.

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