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Migranti forzati dalle autorità libiche a scendere dalla Nivin dopo 12 giorni di stallo

di Francesca Mannocchi, Middle East Eye - 21 novembre 2018

Circa 78 migranti erano rimasti a bordo del Nivin per 12 giorni prima di essere detenuti dalle autorità libiche locali

Tripoli – Dopo 12 giorni a bordo della Nivin, una nave attraccata al porto libico di Misurata, si ritiene che nella giornata di martedì i 78 migranti siano stati costretti con la forza a scendere e siano detenuti.

Alle 11:11 ora locale (9:11 GMT) Mohammed, un 18enne proveniente dal Sud Sudan con cui Middle Eye East era in contatto telefonico, ha mandato un sms anonimo scrivendo “La guardia costiera sta venendo da noi con le pistole“.

Circa 20 minuti dopo, ha inviato la foto di un membro armato della guardia costiera in piedi sul molo. 
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Dopo aver ricevuto quella foto, MEE non è più riuscita a mettersi in contatto con Mohammed né con altri 3 migranti sulla Nivin. 

Secondo fonti locali, le forze armate libiche sono salite a bordo della nave cargo Nivin intorno alle 12 di martedì e hanno lasciato il porto solo un’ora dopo. 

Visto il divieto di accesso al porto a giornalisti e organizzazioni umanitarie, si sa ben poco del destino delle decine di migranti che hanno trascorso quasi 2 settimane a bordo della Nivin, rifiutandosi di sbarcare per paura di cosa li avrebbe attesi una volta tornati in Libia.

Ci sono comunque notizie del trasferimento in un ospedale a Misurata di alcuni migranti, anche se il numero e le condizioni di salute rimangono ancora sconosciuti.

Mentre altri, tra cui minori, sono stati portati nel centro di detenzione di al-Kararim nella città orientale libica. 

Secondo un documento confidenziale redatto da funzionari locali e esaminato da MEE, durante le operazioni sulla Nivin le forze armate avrebbero usato proiettili rivestiti di gomma. Questo succede dopo che le autorità avevano dichiarato che non avrebbero più considerato le persone a bordo come migranti, ma classificate come dirottatori per essersi rifiutate di sbarcare. 

Stando a quanto si legge nel documento, tutti i migranti detenuti sono stati portati all’ufficio del Procuratore per essere interrogati e alle ONG è stato impedito di mettersi in comunicazione con loro finché le indagini “non si saranno concluse”.
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Secondo una fonte locale l’intervento armato non si sarebbe verificato senza il permesso del capitano della Nivin.

La vicenda tra le autorità libiche e i migranti era cominciata il 6 novembre, quando 95 migranti, tra cui 28 minori, erano salpati dal porto di Khoms su un gommone nel tentativo di raggiungere coste più sicure in Europa. Dopo alcune ore i migranti si erano resi conto di essere in pericolo e avevano chiesto aiuto alle navi di passaggio. Sei navi hanno avvistato il gommone senza fornire assistenza, fino a che la Nivin, un mercantile battente bandiera panamense, li ha soccorsi e riportati in Libia il 9 novembre. A seguito di una lunga mediazione tra i migranti e i libici, una donna somala con il figlio di 3 mesi e altre 12 persone sono sbarcate, ma la maggior parte di loro si è rifiutata.

Molti di loro hanno viaggiato per mesi attraverso territori pericolosi alla mercé dei trafficanti o trascorso lunghi periodi di detenzione nelle carceri libiche. A quanto dicono i volontari, alcuni sono stati torturati dai trafficanti nel tentativo di estorcere loro denaro.

Nel Mediterraneo, dove non ci sono più le navi delle ONG a pattugliare le acque, l’incidente ha gettato luce sulla difficile situazione morale in cui le navi mercantili si ritrovano ora che non ci sono più i volontari del soccorso.
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Mohammed, il giovane migrante sudsudanese, aveva inviato alcune immagini delle condizioni in cui versavano le persone sulla Nivin. Data l’assenza di servizi igienici, erano costrette a urinare in bottiglie di plastica e a defecare sul pavimento.

Lunedì scorso i passeggeri della Nivin avevano ricevuto la visita dei rappresentanti dei loro paesi di origine e del procuratore generale libico, che hanno provato a convincerli a scendere.

Mohammed ha raccontato a MEE che le forze di sicurezza libiche avevano avanzato l’ipotesi di trasferire tutti i migranti a Malta, ma la proposta era stata accompagnata da una minaccia: “Noi vi mandiamo a Malta e poi vi mettono in carcera là, quindi è meglio se sbarcate qui.”

Gli abbiamo detto che noi non scendiamo” dalla nave, ha riferito Mohammed lunedì a MEE. “Conosciamo bene i libici, se usciamo da qui ci mettono in galera”.

Secondo le leggi internazionali, i migranti avrebbero potuto fare domanda di asilo se fossero sbarcati a Malta, cosa che non è invece possibile in Libia.