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Migranti in trappola tra eserciti e deserto

Intervista a Helena di Frontera Sur, Marocco

Una guerra contro i migranti dell’Africa, che dopo giorni, mesi di cammino, arrivano al confine con l’Europa in fuga da miseria e guerre, e ad attenderli ci sono i proiettili della Guardia Civil da un lato e della polizia marocchina dall’altro.
Non resta loro che tentare la fuga verso i boschi e lì attendere il momento più propizio per tentare nuovamente l’assalto alla rete che separa l’Africa dall’Europa. Ma questo non è sufficiente, la polizia dà loro la caccia nei boschi, e una volta trovati non fa altro che caricarli su degli autobus, messi a disposizione dal Governo marocchino ed ha inizio una vera e propria deportazione.

Queste persone vengono portate in accampamenti militari, che non sono attrezzati ad accogliere un numero così grande di persone – parliamo di circa 2000 nell’ultimo mese – dove i diritti degli individui vengono calpestati: all’interno di questi accampamenti ci sono richiedenti asilo, rifugiati politici che non hanno il diritto di appellarsi alla Convenzione di Ginevra, e sono costretti ad attendere il loro rimpatrio.
Questo è quello che accade alle frontiere di Ceuta e Melilla, questo è ciò che l’Europa ha provocato per mantenere il controllo di queste aree strategiche nel Mediterraneo.
Vi proponiamo un’intervista a Helena di Frontera Sur.

Domanda: In questo periodo sono state fatte numerose deportazioni, circa 2000 in un mese, alla frontiera fra Marocco e Spagna.

Dove sono finiti i migranti che vivevano in prossimità della frontiera?

Risposta: Ora ci sono pochi migranti in prossimità della frontiera.
A partire dalle numerosi morti che ci sono stati alla frontiera, si iniziò una pulizia etnica in Marocco promossa e finanziata dall’Unione Europea, ed in concreto dello stato spagnolo, per eliminare il sovraffollamento delle migrazioni.

Il governo del Marocco ha iniziato la caccia al nero e a fare delle vere e proprie retate; entrava nelle case e portava via tutti i neri che incontrava, ed era uguale se avevano il permesso di soggiorno, se erano i richiedenti asilo, o studenti.

All’inizio di questo mese, tra sabato 1° ottobre e il mercoledì successivo, l’autorità marocchina portò sessanta autobus con quaranta persone ognuno, alla frontiera con il deserto, nella zona di Enschuates, furono deportate almeno 2400 persone. Noi siamo riusciti a verificare che ci sono stati 17 morti di origine ghaniana e 24 morti di nazionalità differenti ed un numero non quantificabile di dispersi.
Quando lo scandalo venne alla luce pubblica, l’autorità marocchina, iniziò a riunire tutta la gente e a portarla fino a Buarfà, è una città vicina. La gente che stava uscendo dal deserto fu messa di forza negli autobus. L’opinione internazionale si posizionò in questa città, ma quando arrivammo lì ci siamo resi conto che mentre i mezzi di comunicazione stavano con questa gente che era stata sequestrata, in Marocco iniziava una carneficina molto più grande della prima. Infatti sono stati messi a disposizione un numero maggiore di autobus per poter contenere 1500 persone da deportare nel deserto della Mauritania, nella zona di conflitto con il Fronte Polisiario dove c’è la guerra, nel Sahara. E’ una zona molto più dura della prima, in cui ci sono zone minate.

Quando ci siamo resi conto di ciò abbiamo seguito questa carovana della morte per urlare all’Europa quello che stava accadendo. In un primo momento nessuno voleva credere a tutto ciò, nessuno voleva ascoltarci. Noi eravamo lì a testimoniare come questi autobus si dirigevano in pieno deserto con donne, con bambini, senza acqua, senza cibo; per far sapere come le condizioni di salute dei “deportati” si aggravavano, con diarrea, con vomito. Alla fine siamo riusciti a convincere che questo era quello che stava accadendo e a far arrivare in questi luoghi i mezzi di comunicazione, le organizzazioni spagnole ed europee. Siamo certi che tre autobus furono portati nel deserto. L’altro giorno stavo parlando con compagni che erano nella zona del Mauritania che mi chiamarono dalla stazione di polizia, e mi hanno detto di trenta morti, che erano stati lasciati nella zona del deserto.

E da qui ha inizio una politica del Marocco: deportare e rinchiudere i migranti negli accampamenti militari fino a quando il paese di origine non metta a disposizione degli aerei per deportarli nei loro paesi. La situazione nell’accampamento militare è la seguente: non c’è luce, non c’è acqua corrente, non ci sono servizi, si mangia male ed il cibo non è sufficiente, sono come campi di concentramento. La salute dei nostri compagni migranti peggiora di giorno in giorno. In questi luoghi ci sono richiedenti asilo, rifugiati politici, e il Marocco li sta consegnando ai funzionari dei paesi di origine, ignorando la Convenzione di Ginevra rattificata dal Marocco.
Fino ad oggi il Marocco non ha autorizzato l’Acnur a visitare questi accampamenti per verificare se veramente lì ci sono rifugiati politici.

Ci sono sette compagni che sono riusciti a ritornare dall’accampamento, sette richiedenti asilo che sono stati internati e privati della propria libertà perchè rinchiusi in questi accampamenti; e fra questi ci sono minori di quindici anni e una bambina di nove anni, che già hanno sofferto abbastanza con la prima deportazione nel deserto.
Tutto questo è finanziato dalla politica europea. Una politica di pulizia etnica, una politica di caccia al nero e sembrerebbe che al governo europeo non importa quanta gente sta morendo in questa deportazione della morte.

D: E’ realistica la domanda del Marocco di recuperare il controllo delle due enclaves per trasferire la frontiera del Mediterraneo?

R: Nell’enclave di Ceuta ci sono appena cinquanta persone, sono tutte nascoste come animali nel bosco, cacciando qualcosa da mangiare e, dalla mattina fino alla sera, ogni giorno i militari perlustrano i boschi. Posso parlare di centinaia di militari marocchini nei boschi. E’ una situazione di guerra dove si incontrano/scontrano eserciti diseguali. Polizia contro migranti, e quest’ultimi non hanno alcuna voglia di lottare. Da una parte l’esercito marocchino che è armato con l’ordine di sparare, ecco il perché anche degli ultimi sette morti alla frontiera di Melilla, da parte delle autorità marocchine. Dall’altra parte c’è un altro esercito di legionari, dal lato spagnolo che lo stesso sono armati e che hanno l’ordine di sparare quando è necessario.

E’ chiaro che questi due eserciti possono cavarsela, possono affrontare il problema dei migranti ammazzandoli perché sono consapevoli del fatto che indietro non possono tornare e che li aspetta solamente la morte alla frontiera.

D: Qual è la funzione economica delle enclavi spagnole nel territorio marocchino?

R: Ceuta e Melilla costano molti soldi allo stato spagnolo; hanno una posizione strategica, sono zone militari in cui non c’è democrazia, in cui vige una legge propria.
Sono due enclavi in cui si guadagna molto denaro per il traffico di merci: che si chiamano droga, armi,ecc.
Evidentemente Ceuta e Melilla sono città in cui non esiste una legge. Per esempio sono città che hanno leggi speciali: la Guardia Civil si comporta come se fosse ancora presente la dittatura dello Stato spagnolo. Ci raccontavano i compagni subsahariani che quando andavano alla frontiera, ogni giorno vedevano passare di lì droga, cocaina che arriva dal Sud America. Tutto questo passa a fianco delle macchine della polizia, della guardia civil e mai hanno fermato questo tipo di traffico. Mentre, quando una persona attraversa la frontiera, essa viene accolta con proiettili di gomma.
Ceuta e Melilla sono punti strategici, il Marocco sta approfittando della situazione per impedire la sovranità di Ceuta e Melilla. Sono punti strategici per la presenza dell’Europa nel Mediterraneo, e allo stesso tempo sono punti nodali di traffici illegali.

D: Che ruolo ha il razzismo degli arabi nei confronti dei neri dell’Africa nelle relazioni politiche in Marocco?

R: Molti compagni mi raccontano che quando arrivarono in Marocco dicevano che mai avevano visto e sentito un razzismo contro i neri così forte come in questo paese. E’ un razzismo che riguarderà anche le generazioni future, è necessario fare un gran lavoro con questa generazione perché è un razzismo che viene da una condizione di schiavitù perché in questo paese i neri erano schiavi. Ci sono bambine nere che lavorano nelle case dei bianchi, che vengono comprate per lavorare, molto piccole. Sopno bambine schiave, che sono state comprate e servono pèerchè i baroni della famiglia le usano sessualmente. E’ un razzismo che ha radici profonde. Di fatto le donne africane mi dicevano che la maggior parte di loro ha subito una violenza fisica da parte di delinquenti, da forze di sicurezza di questo paese. Ci raccontavano che quando vengono violentate è come se questa violenza fosse una riaffermazione del razzismo; per tutta la durata della violenza le chiamano “puta negra”. E’ come se questa violenza fosse un’arma di guerra per umiliare e per dimostrare che la razza bianca, gli arabi in questo caso , sono superiori dei neri. Un componente del razzismo forte che non dobbiamo dimenticare e che bisogna tenerne conto perché sta causando un grande problema a questo paese.