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Migranti, perché il diritto d’asilo è più forte del decreto Salvini

Giuseppe Sambataro, Wired - 27 marzo 2019

Photo credit: Massimo Sormonta (Padova città aperta, 17 marzo 2019)

M. è poco più che un ragazzino quando decide di scappare dalla Somalia. Dopo essere entrato in contatto con un’organizzazione di trafficanti, si dirige in Etiopia, dove viene fatto montare su un pick-up pieno di persone con cui attraversa il deserto. Quando qualcuno si sentiva male – racconta M. – veniva abbandonato a morire tra le dune di sabbia. Nessuno parla mai di soldi, almeno fino all’arrivo in Libia. A questo punto, tutti i migranti vengono rinchiusi in un campo di detenzione. L’unico modo per uscirne è pagare un riscatto di diverse migliaia di dollari.

M. rimane imprigionato per mesi e costretto ai lavori forzati. Racconta di condizioni igieniche inimmaginabili, con privazioni di cibo, acqua e sonno. Ogni giorno i prigionieri vengono picchiati con bastoni e spranghe, torturati con plastica fusa e scariche elettriche. Le torture avvengono spesso in collegamento telefonico con i parenti, per sollecitare i pagamenti. Quando finalmente viene liberato, M. riesce a salire su un gommone stracolmo con cui raggiunge l’Italia. Qui, dopo qualche mese, è trasferito in un centro di accoglienza a Milano. Tutto procede tranquillo, fino a quando M. scopre che tra gli ospiti della struttura, come un lupo nel gregge, c’è uno degli aguzzini che l’hanno torturato in Libia.

Nasce dalla denuncia di M. – e di altri migranti come lui – il processo che porterà alla prima sentenza italiana a fare luce sugli orrori dei centri di detenzione libici, paragonati dal pubblico ministero a quelli dei campi nazisti. La pronuncia della Corte di assise di Milano non è però l’unica che si è occupata di Libia.

Gli altri tribunali

In diverse città d’Italia – Bologna, Genova, Lecce, Palermo – i giudici hanno ritenuto che la permanenza del migrante nel paese nordafricano, unita all’integrazione in Italia, giustificasse il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. “È noto il trattamento violento e brutale subito dagli stranieri in transito dalla Libia, in particolare se provenienti dall’Africa subsahariana”, si legge in uno dei tanti provvedimenti.

Nella stessa sentenza si richiamano le “dichiarazioni rese dal procuratore della Corte penale internazionale […] secondo cui la Corte […] ha l’intenzione di aprire un’inchiesta ufficiale sulle violenze subite dai migranti in Libia, in quanto sono pervenute da fonti diverse testimonianze di migranti sfruttati, schiavizzati, picchiati o molestati sessualmente”. È molto probabile che anche a M. sia stata riconosciuta la protezione umanitaria.

Il riconoscimento

Di solito, quando un migrante arriva in Italia deve fare domanda di protezione internazionale. Dopo avere ascoltato la sua storia, un’apposita commissione decide se sussistono i requisiti richiesti. In caso di esito negativo, è possibile fare ricorso a un giudice. Il riconoscimento della protezione – e quindi il diritto al permesso di soggiorno – si può basare su un rischio di persecuzione individuale in caso di rimpatrio, sulla particolare pericolosità del paese d’origine, o sulla presenza di gravi motivi di carattere umanitario.

In quest’ultimo caso, fino all’entrata in vigore del decreto Salvini, veniva riconosciuta la protezione umanitaria, un tipo di tutela adattabile a diverse situazioni di vulnerabilità. Grazie a questo strumento è stato appunto possibile riconoscere un permesso di soggiorno alle vittime di tortura in Libia, valorizzando anche il successivo percorso di studio e di lavoro intrapreso in Italia.

Per spiegare l’elasticità della norma, bisogna risalire alle sue origini. La protezione umanitaria è infatti una diretta applicazione del diritto d’asilo previsto dall’articolo 10 comma 3 della Costituzione, che tutela l’effettivo esercizio delle libertà democratiche dello straniero. La disposizione venne formulata avendo in mente le grandi migrazioni della prima metà del Novecento. Non si deve dimenticare che molti deputati dell’Assemblea costituente avevano a loro volta ricevuto asilo da altri Paesi durante il fascismo e nel corso della guerra. Si preferì così prevedere il diritto d’asilo in termini ampi, in modo da poterlo adattare di volta in volta ai casi in cui lo straniero non potesse esercitare i propri diritti fondamentali.

Sembra quindi improbabile che un diritto di questa portata possa essere eliminato con una semplice legge ordinaria come quella che ha convertito il decreto Salvini. Per valutare gli effetti della riforma – o la sua costituzionalità – bisognerà aspettare l’applicazione dei giudici. Per il momento, rimane il rischio di non poter più tutelare situazioni come quella di M.

In ogni caso, queste pronunce hanno cristallizzato gli orrori che un’intera classe politica ha finto di ignorare. Mentre i tribunali accertavano gli stupri e le torture, l’allora governo Gentiloni stringeva accordi con la guardia costiera libica per trattenere in quelle stesse prigioni i migranti intercettati in mare. Quando oggi il ministro dell’Intero parla di “retorica della tortura” e di “centri all’avanguardia”, e alcuni giornali tentano goffamente di negare l’evidenza, sarebbe bene rileggere quelle sentenze.