Con decreto del Commissario delegato per l’emergenza umanitaria n.16355 del 2 marzo 2011, integrato dal decreto n.17132 del 4 marzo 2011, veniva disposta la requisizione in uso del complesso immobiliare denominato « Residence degli Aranci » ubicato nel comune di Mineo. Con successivo decreto del 30 marzo a firma del ministro Maroni la struttura assumeva la denominazione di « centro di accoglienza per richiedenti asilo »CARA e al contempo « con funzioni anche di centro di accoglienza ». Il decreto firmato dal ministro dell’interno risultava trasmesso e protocollato alla Corte dei Conti il 6 aprile 2011, ma non risulta se ad oggi sia intervenuta l’approvazione dell’organo di controllo. Probabilmente, da parte di qualcuno si ritiene che dopo la proclamazione dello stato di emergenza sul territorio nazionale « in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord-Africa », stabilito con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 febbraio 2011, il governo, i ministri, i prefetti possano derogare tutte le norme in materia di contabilità pubblica ed organizzazione dei centri di accoglienza comunque denominati.
L’ex villaggio dei militari USA di Mineo (Catania), di proprietà privata, è stato così trasformato in un grande centro “chiuso” per gli oltre 2.000 richiedenti asilo già ospitati nei CARA (Centri di accoglienza richiedenti asilo) sparsi sul territorio nazionale. Persone dalle provenienze più diverse, come nigeriani, pakistani, eritrei, afghani, che avevano già inoltrato da mesi la loro istanza di protezione internazionale, e che attendevano da un giorno all’altro l’audizione e la decisione sulla loro richiesta, sono state deportate a migliaia di chilometri di distanza, senza che a Mineo giungessero tempestivamente le relative documentazioni e senza che nel “Villaggio degli Aranci” fosse istituita una commissione territoriale che esaminasse le domande di asilo. Dopo la tardiva costituzione della Commissione territoriale, i tempi di esame delle domande di asilo sono sempre più lunghi, e al ritmo attuale di dieci-quattordici casi a settimana ci vorranno anni prima che tutte le persone rinchiuse a Mineo possano avere una risposta. In alcuni casi i documenti relativi alle procedure di riconoscimento dello status di asilo avviate in altri CARA italiani non sono mai arrivati alla Commissione territoriale. Molti di coloro che vi sono stati trasferiti dal nord Italia sono stati scavalcati da quelli arrivati dopo, che hanno avviato la procedura di riconoscimento dello status di protezione internazionale a Mineo, e questo, oltre le continue code per l’accesso ai minimi servizi ha alimentato un clima di tensione che è sfociato in risse e proteste continue.
L’avvio del progetto Mineo ha avuto una impronta prevalentemente securitaria ed è stato accompagnato da un “Patto per la sicurezza” sottoscritto da tutti i sindaci della zona e dal ministero dell’Interno « per definire quali misure attuare non solo all’interno del villaggio, ma su tutto il territorio interessato, attraverso la realizzazione di sistemi integrati di videosorveglianza e il potenziamento dei mezzi, delle strutture e dei presidi esistenti e degli uomini delle forze dell’ordine”. Oltre alla sorveglianza ed ai sistemi di controllo, di fatto la militarizzazione di un intero territorio, si sono fatti e si stanno facendo grandi affari, all’ombra dei decreti e delle ordinanze di protezione civile. E non si tratta solo della Croce Rossa. Come rilevava subito Antonio Mazzeo in un articolo assai documentato, « un business, quello dell’”accoglienza”, che sta suscitando appetiti a destra e manca. Conti alla mano, i 45-50 euro al giorno in budget per ogni richiedente asilo, moltiplicati per i 2.000 “ospiti” di Mineo comporteranno introiti per circa 3 milioni di euro al mese, più il canone che il governo verserà alla Pizzarotti S.p.A., la società di Parma proprietaria del villaggio, che dal Dipartimento della difesa statunitense riceveva per l’affitto delle 404 villette, 8,5 milioni di dollari all’anno.
Non è vero, come è stato poi affermato da Maroni, che tutti i sindaci della zona hanno condiviso il progetto del Villaggio della solidarietà a Mineo. Le proteste anche da parte dei sindaci erano arrivate subito. Solo 10 sindaci del comprensorio su 15 si erano dichiarati favorevoli al piano di confino dei richiedenti asilo. I comuni di Castel di Iudica, Caltagirone, Grammichele, Ramacca e Mineo hanno invece ribadito la loro avversione con una lettera inviata al ministro Maroni. “Il modello Mineo – scrivono i 5 sindaci – non risponde all’idea che abbiamo consapevolmente maturato, sulla scorta dell’esperienza di effettiva integrazione portata avanti nelle nostre comunità. Non ci piace che almeno duemila persone vengano deportate in un luogo senza i necessari presidi e senza vere opportunità di inclusione, in una condizione di segregazione che potrebbe preludere da un lato a rivolte sociali, dall’altro indurre alcuni di loro, a fronte di una stragrande maggioranza pacifica e ispirata alle migliori intenzioni, a mettere a dura prova le condizioni di sicurezza del territorio”. Di fatto si militarizzava l’accoglienza dei richiedenti asilo e si stabilivano regole ferree che impedivano agli ospiti della struttura qualsiasi contatto con l’esterno.
Forte preoccupazione per l’apertura del centro era stata espressa in diverse occasioni pure da Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite. “Si tratterebbe di trasferire dagli otto centri per richiedenti asilo coloro che già sono dentro, di ogni nazionalità, dagli afgani, agli eritrei, ai somali, un gran numero di persone tutte in uno stesso centro, con i problemi che questo porrebbe”, ha dichiarato la Boldrini. “Si verrebbe a sradicare così il sistema d’asilo che, con tutti i suoi limiti, sta funzionando bene”. Dello stesso avviso anche il Tavolo Asilo composto da diverse associazioni nazionali (Acli, Arci, Asgi, Casa dei diritti sociali, Centro Astalli, Cir, Comunità S. Egidio, Fcei, Senza Confine). “Tale misura, che minerebbe alle fondamenta il buon funzionamento del sistema asilo costruito faticosamente nel corso degli ultimi anni, non appare conforme alle vigenti normative sulle procedure di esame delle domande di asilo, neppure alla luce della decretazione d’urgenza”, afferma il Tavolo. “Va evitata un’applicazione generalizzata di misure di detenzione, specie se arbitrarie, a chi chiede protezione poiché ciò stravolgerebbe il principio fondamentale del diritto ad un’accoglienza in condizioni di libertà. In particolare va evitato di ricorrere solo o prevalentemente a strutture di grandi dimensioni, poiché l’esperienza ha ampiamente dimostrato come la loro gestione risulti assai costosa e comprometta in partenza una buona relazione con il territorio”. Secondo queste associazioni c’erano “invece tutte le condizioni per privilegiare un’accoglienza diffusa, facilmente attivabile in tempi brevi e a costi contenuti anche ricorrendo alle esperienze già consolidate nel sistema degli oltre 130 comuni italiani aderenti allo SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati)”.
In una audizione al Senato il 7 aprile di quest’anno il ministro Maroni richiamava il Villaggio degli Aranci a Mineo, come « una struttura che abbiamo allestito proprio per i richiedenti asilo, per creare un modello di accoglienza per coloro che, molto probabilmente –anzi, quasi certamente – avranno diritto poi a rimanere, avendo i requisiti per la richiesta di asilo, per lo status di rifugiato. Si intende infatti definire in quella sede un modello di intervento che contempli non solo l’accoglienza e l’assistenza, che vengono garantite sempre a tutti, ma le attivita` che possano rendere piu` facile, agevole e rapido il successivo inserimento nella societa` di coloro che non possono essere rimpatriati in quanto provengono da Paesi nei confronti dei cui cittadini non e` possibile il rinvio » in considerazione delle condizioni socio-economiche e di guerra ivi esistenti.
E il ministro continuava « Abbiamo voluto investire in questo modello, perche’ riteniamo che l’assistenza per i rifugiati debba andare oltre la semplice accoglienza, e lı` verranno svolte e sono gia` in corso attivita` di formazione, di insegnamento della lingua ed altre attivita`. Coinvolgendo anche le comunita` locali, vogliamo che questo villaggio, che abbiamo nominato villaggio della solidarieta`, possa essere un modello da portare in Europa.
Secondo Maroni, “abbiamo altresı` investito sulla sicurezza attorno ai territori, firmando un patto per la sicurezza territoriale, a cui hanno aderito tutti i sindaci dell’area. Nonostante qualche tensione iniziale, che e` avvenuta in tutti gli insediamenti che sono stati realizzati, le preoccupazioni, che si sono manifestate anche negli altri luoghi, sono state superate da un investimento forte in materia di sicurezza, con l’invio delle forze dell’ordine e – in particolare a Mineo – con la definizione di un patto territoriale per la sicurezza che coinvolge la Provincia di Catania e tutti i Comuni interessati.
In quella stessa occasione il Ministro dell’interno annunciava impegni che sono stati poi disattesi. Per Maroni « nell’accordo con le Regioni del 30 marzo si parlava anche del problema dei minori stranieri non accompagnati. Abbiamo accolto con favore la disponibilita` di posti aggiuntivi messi a disposizione dallo SPRAR, il sistema gestito dal Ministero dell’interno con i Comuni per i richiedenti asilo, e abbiamo individuato risorse stabili e pluriennali a sostegno della collocazione nelle case famiglia, attraverso i Comuni, dei minori stranieri non accompagnati. Su questi minori c’e` stata qualche polemica nei giorni scorsi, relativa al fatto che fossero rimasti a Lampedusa. Tutti i minori arrivati, che non saranno rimpatriati, in quanto minori, neanche se vengono dalla Tunisia, sono stati affidati alle case famiglia attraverso i Comuni. Gli ultimi sono partiti tra ieri e oggi. Non c’e` un ritardo: e` che la procedura prevede l’individuazione delle strutture in cui metterli, il coinvolgimento dei Comuni e il controllo, come e` giusto che sia, dell’autorita` giudiziaria, senza il nulla osta della quale non possono essere trasferiti da Lampedusa. Sono stati accelerati i tempi anche da parte dell’autorita` giudiziaria, e gli ultimi minori sono stati trasferiti ».
Le affermazioni rassicuranti rese dal ministro Maroni in Parlamento il 7 aprile sono ancora oggi prive di riscontro, e sono centinaia i minori in stato di abbandono e senza alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria ancora trattenuti a Lampedusa, mentre a Mineo la condizione dei richiedenti asilo appare ogni giorno più difficile. La mancata distribuzione del denaro minimo che andrebbe dato ai migranti e la impossibilità di telefonare per la mancanza di schede telefonica configura una violazione dell’art. 8 della CEDU che salvaguardia i rapporti familiari, difficili da mantenere in queste condizioni di isolamento. Molte donne nigeriane si trovano all’esterno della struttura, quando possono uscire, sulla strada che unisce Catania a Gela ed è forte il sospetto che si verifichino episodi di prostituzione.
Le condizioni di vita nel centro di Mineo si avvicinano alle condizioni disumane o degradanti vietate dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’uomo. Per i migranti residenti a Mineo la struttura si rivela peggio di un carcere. Manca qualunque forma di mediazione sociale e di assistenza legale, come sarebbe richiesto per una struttura che si qualifica come CARA. Non vengono garantiti i diritti fondamentali, come i diritti di difesa e gli avvocati sono costretti dopo lunghe trattative ad incontrare i migranti su un prato, al di fuori della struttura. Anche a Mineo il regime dei CARA, si avvicina sempre più al regime repressivo stabilito per i CIE, centri di identificazione ed espulsione, al punto che si proibisce persino ai migranti rinchiusi nel residence di acquistare alimentari all’esterno, o di cucinare nei loro alloggi. Di residence insomma sembra restare soltanto il nome. Manca un servizio navetta che permetta di raggiungere almeno Mineo, e dopo la circolare Maroni del 1 aprile l’accesso alla struttura è vietato a chiunque non operi in regime di convenzione con il ministero dell’interno. Di fatto si è alimentato un mercato parallelo di beni di prima necessità, come schede telefoniche e sigarette, che sfugge a qualsiasi controllo di legalità.
Ma la cosa più grave, che va ricordata nella giornata mondiale del rifugiato è la costante negazione della dignità dei rifugiati che rimangono in attesa da mesi senza sapere quando la loro pratica sarà esaminata e quando otterranno finalmente i documenti necessari per riprendere il loro viaggio o per ritornare nei luoghi nei quali avevano già sperimentato esperienze positive di integrazione. Questa situazione è frutto della mancata considerazione degli “ospiti” di Mineo come persone, e del mancato riconoscimento dei diritti fondamentali che spettano loro, dimenticando i drammi che si sono lasciati alle spalle.