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Minori affidati – Cosa succede al compimento della maggiore età

Commento alla sentenza del Consiglio di Stato del 12 aprile 2005

Nella sentenza in oggetto viene presa in considerazione l’interpretazione della normativa del Testo Unico sull’Immigrazione relativa ai minori affidati al compimento della maggiore età.
In altre parole si prende in considerazione una interpretazione adottata dal Ministero dell’Interno – quindi dalle questure – contestandone la fondatezza e imponendo un cambiamento di rotta nei confronti di tutte le questure che, di fatto, hanno assunto sinora sul tema una posizione netta, ora smentita drasticamente dal Consiglio di Stato.

Qualche breve cenno storico
L’art. 32 del Testo Unico sull’Immigrazione (“Disposizioni concernenti minori affidati al compimento della maggiore età”), prevede in via generale che allo straniero sottoposto a provvedimenti di affidamento o di tutela, al compimento della maggiore etàpuò essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenza sanitarie o di cura”
In altre parole il minorenne straniero presente in Italia, ha diritto ad un permesso di soggiorno per la sua condizione di minorenne (rientra espressamente nell’ipotesi di divieto di espulsione previsto dall’art. 19, comma 2, lett. a)). Il grosso problema che si pone è: cosa succede al compimento della maggiore età?

La soluzione viene fornita dall’art. 32, comma 1, sopra riportato.
La legge c.d. Bossi – Fini (art. 25 della L. 30 luglio 2002, n. 189) ha aggiunto però una ulteriore parte a questo articolo, aggiungendo i commi 1 bis, 1 ter e 1 quater.
All’art. 32, comma 1 bis si prevede che il permesso di soggiorno di cui al comma 1, può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore ai due anni, in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un Ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale…”. Al comma 1 ter si prevede che detto ente “deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del raggiungimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1 bis, che l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di un contratto di lavoro anche se non ancora iniziato”.
Queste sono le “condizioni aggiuntive” previste dall’art. 32 come modificato dalla legge Bossi Fini.

Il quesito che si è posto nella pratica è questo: “il minorenne che sia stato sottoposto al provvedimento di tutela e di affidamento, al compimento della maggiore età, può sempre e comunque, ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro o per studio? Oppure lo potrà ottenere d’ora in avanti, in base alle modifiche sopra specificate, solo se è presente sul territorio da almeno tre anni, in condizione di minorenne e se per almeno due anni è stato inserito in un progetto di integrazione gestito da un Ente pubblico?”.
Ebbene le questure si sono orientate subito, evidentemente su indicazioni fornite dal Ministero dell’Interno, nel senso di ritenere che, per poter ottenere un permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, fosse indispensabile essere presenti da almeno tre anni sul territorio nazionale ed essere inseriti da almeno due anni in un progetto d’integrazione con la conseguenza che non era più sufficiente essere stati sottoposti a un provvedimento di tutela o di affidamento (art. 32, comma 1, sopra riportato).

In altre parole, le questure hanno considerato solo la parte aggiunta dalla legge c. d. Bossi Fini (art. 1, commi 1 bis e ter ) e non la prima parte – ancora in vigore – dell’art. 32 del Testo Unico sull’Immigrazione.
Il Consiglio di Stato con la decisione n. 1681/2005 resa il 12 aprile scorso, sul ricorso in appello n. 372 del 2005 proposto dal Ministero dell’Interno, non fa altro che smontare drasticamente l’ interpretazione del Ministero dell’Interno. Il Consiglio di Stato precisa in sostanza, richiamando la famosa sentenza della Corte Costituzionale n. 198 del 2003 (che aveva chiarito l’interpretazione della norma dedicata agli ex minorenni stranieri) che le ipotesi aggiunte dalla legge c.d. Bossi – Fini non tolgono nulla alla parte preesistente dell’art. 32.

Quindi il minorenne che sia stato sottoposto a un provvedimento di affidamento o di tutela di qualsiasi genere (anche il cosiddetto affidamento di fatto, disposto dai servizi sociali), indipendentemente dalla anzianità di presenza sul territorio nazionale e dalla durata di eventuali progetti di integrazione di cui sia stato fruitore, ha diritto di ottenere, alla maggiore età, un permesso di soggiorno per lavoro o per studio.

Diversa è l’ipotesi prevista dalla nuova parte introdotta dalla legge c.d. Bossi Fini che prevede – in aggiunta e non in sostituzione della tutela precedentemente prevista – una garanzia di ottenimento del permesso di soggiorno alla maggiore età, anche per chi risulta inserito in progetti di durata, almeno biennale, gestiti dagli Enti locali e sia presente da almeno tre anni sul territorio nazionale.
In altre parole la nuova previsione non si sostituisce a quella originaria ma, appunto, si aggiunge alla precedente, con la conseguenza che resta valido tutto ciò che può essere ottenuto in base alla prima parte dell’art. 32.
La decisione in oggetto precisa infatti che:
– l’art. 32, comma 1, si riferisce ai minori sottoposti ad affidamento o a tutela (all’evidente scopo di salvaguardare l’unità familiare);
– l’art. 32, comma 1 bis si riferisce “ai minori stranieri non accompagnati”, che versano in una diversa situazione e per i quali il legislatore ha richiesto il requisito della ammissione al “progetto di integrazione sociale e civile”.
I requisiti previsti dai due commi sono pertanto alternativi e non cumulativi.
Perciò è sufficiente che un minorenne straniero presente in Italia sia sottoposto – come dice la Corte Costituzionale – a un provvedimento di qualsiasi genere (tutela o affidamento) perché gli sia riconosciuta dalla legge, al compimento della maggiore età, la legittima aspettativa di ottenere un permesso di soggiorno.

Pertanto le questure non potranno più rifiutare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio, pretendendo che il minore dimostri anche di essere stato almeno presente da tre anni in Italia e di essere stato inserito da almeno due anni in un progetto di integrazione gestito da un Ente Locale. Questa sentenza è indubbiamente molto importante perché ha smentito drasticamente una interpretazione adottata dal Ministero dell’Interno e recepita da tutte le questure d’Italia che, quindi, ora dovranno cambiare orientamento.