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Misure alternative alla detenzione

In quale maniera possono usufruirne i cittadini extracomunitari irregolari

Avevamo già affrontato l’argomento quando ci è stato chiesto se un cittadino extracomunitario irregolare può – nel caso in cui sia stato condannato in Italia e, quindi, internato in un istituto di pena -, esistendo le condizioni previste dalla legge, essere ammesso alla fruizione di una o più misure alternative alla detenzione.

Le sentenze
Da questo punto di vista abbiamo una prima sentenza (17 luglio 2003) della Corte di Cassazione Penale (Sez. I, n. 30130) che aveva ritenuto incompatibile con la condizione di cittadino extracomunitario illegalmente presente sul territorio italiano, la fruizione delle misure alternative alla detenzione.
Successivamente avevamo dato notizia di una seconda sentenza della Corte di Cassazione – che aveva ribaltato completamente la questione interpretativa – ritenendo che la fruizione delle misure alternative alla detenzione deve essere garantita a tutti coloro che rientrano nel campo di applicazione, quindi a tutti coloro che:
. hanno espiato una pena detentiva;
. hanno in corso una pena detentiva.
Queste due ipotesi venivano formulate senza operare distinzione alcuna fra cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari e, soprattutto, senza una possibile distinzione tra cittadini extracomunitari in possesso di regolare permesso soggiorno e cittadini extracomunitari in condizione irregolare. Questa seconda sentenza affermava il diritto dei cittadini extracomunitari irregolari di fruire, a parità di condizioni, delle misure alternative alla detenzione.
Ben inteso, il fatto che si riconosca questo non comporta, salvo casi eccezionali, la possibilità di stabilizzare il soggiorno nel territorio italiano quindi di far diventare regolare colui che regolare non era. Quindi la possibilità di beneficiare delle misure alternative alla detenzione riguarda esclusivamente il periodo strettamente assegnato per l’applicazione della misura alternativa.

Esaurito quel periodo (affidamento in prova al servizio sociale o semilibertà), quindi espiata completamente la pena e la misura alternativa alla detenzione, lo straniero irregolare, come tale dovrebbe essere sanzionato direttamente con il provvedimento della espulsione.
Il fatto di fruire di una misura alternativa non costituisce strumento per regolarizzare una situazione di soggiorno che prima era irregolare, ma è semplicemente un’occasione per fruire di una delle misure sanzionatorie previste dalla legge, che hanno, come tutte le altre misure, la funzione di garantire una rieducazione del soggetto.
Un principio fondamentale nel nostro ordinamento giuridico è quello della funzione rieducativa della pena (art.27, comma 2 della Costituzione). La pena, qualunque sia la sua natura, non ha la funzione semplicemente di affliggere e punire il soggetto, ma anche di rieducarlo e di garantire il suo reinserimento nella società civile. Questa funzione rieducativa della pena, come specificato anche dalla sentenza della Cassazione, deve essere assicurata a tutti coloro che sono soggetti alla pena senza alcuna possibile distinzione.

Rileva in tal senso una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, sezione I° penale, n. 44368 del 5 dicembre scorso, che affronta in termini problematici la questione interpretativa relativa alla possibilità o meno per uno straniero cosiddetto clandestino di fruire di una misura alternativa alla detenzione.
In particolare il caso esaminato riguarda un’ordinanza del 17 febbraio 2005 del Tribunale di Sorveglianza di Sassari che aveva ammesso un cittadino extracomunitario alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale. Questo provvedimento era stato impugnato dalla Procura della Repubblica, sulla scorta del principio di diritto enunciato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui le misure alternative alla detenzione sono inapplicabili allo straniero extracomunitario che si trovi in condizioni di clandestinità.
Si noti bene che la sentenza in questo caso parla di clandestinità. L’uso di questo termine preoccupa perché tende a stabilire un’equazione tra soggiorno irregolare e attività criminale, quando sappiamo che la maggior parte degli stranieri che sono senza permesso di soggiorno non per questo sono dei delinquenti, ma persone che hanno commesso una violazione amministrativa per far fronte a propri bisogni primari.
In questa sentenza viene riesaminata la questione ripercorrendo le tappe della elaborazione dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso la citazione delle precedenti sentenze della stessa Cassazione, quindi rilevando il contrasto di interpretazioni esistente nella giurisprudenza recente.
In altre parole, esistono sentenze della Corte di Cassazione che affermano che non si può ammettere alla misura alternativa alla detenzione lo straniero irregolare, e altre sentenze che affermano l’esatto opposto.
Secondo una sentenza della Cassazione (Sezione prima) del 20 maggio 2003, n. 226134, l’affidamento in prova al servizio sociale e, in genere, tutte le misure extramurarie alternative alla detenzione, non possono essere applicate allo straniero extracomunitario che si trovi in Italia in condizione di clandestinità. Lo stesso principio è stato successivamente ribadito (Cassazione, Sezione prima, 11 novembre 2004, n. 230191) anche in relazione alla misura specifica dell’affidamento terapeutico in una comunità per tossicodipendenti, previsto dall’art. 94 del Dpr 309/90. D’altra parte vi sono sentenze di segno opposto che invece, più recentemente, affermano la piena compatibilità delle norme sull’affidamento in prova al servizio sociale e in genere sulle misure alternative, con la condizione di irregolare soggiorno.
In un caso specifico in cui era stata richiesta la concessione della semilibertà, la Corte di Cassazione (Sezione prima, 14 dicembre 2004) ha ritenuto che la stessa dovesse essere concessa atteso che tale misura consente uno spazio di libertà molto ridotto (e quindi controllabile) ed in considerazione del fatto che l’espiazione della pena in semilibertà non comporta alcuna violazione o elusione delle norme in materia di immigrazione clandestina. Tale linea interpretativa è stata sviluppata in una successiva sentenza ove la Cassazione (Sezione prima, 18 maggio 2005) ha sottolineato che “il preminente valore costituzionale della funzione rieducativa della pena, sotteso ad ogni misura alternativa alla detenzione in carcere deve costituire la necessaria chiave di lettura delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario, di talchè l’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa consente di affermare che l’applicazione di dette misure non può essere, a priori, esclusa nei confronti degli stranieri privi del permesso di soggiorno …” .
Non vi sono disposizioni specifiche nella legislazione sugli stranieri – anche successivamente alle modifiche introdotte dalla legge c.d. Bossi-Fini (30 luglio 2002 n. 189) – che impediscano questa interpretazione. D’altra parte, la Corte di Cassazione non manca di sottolineare che l’interpretazione sulla compatibilità tra misure alternative alla detenzione e condizioni irregolari di soggiorno, si deve ad un’interpretazione dei principi della nostra Costituzione sulla funzione rieducativa della pena che deve essere rispettata nei confronti di tutti coloro che sono sottoposti all’espiazione della stessa.

Ecco che la Corte di Cassazione nella sentenza in commento del 5 dicembre scorso, considerando che vi è un contrasto di interpretazioni al suo interno, non ha fatto altro che rimettere la questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. E’ normale (ed è previsto dal nostro ordinamento) che nel caso in cui, nell’ambito della Corte di Cassazione vi siano interpretazioni quindi sentenze contrastanti tra loro, la questione debba essere definita dalle Sezioni unite; ciò al fine di uniformare l’interpretazione della Magistratura.
Il possibile esito di questa sentenza – che attendiamo – sarà pertanto in un senso o nell’altro. Se dovessimo attenerci ai principi sanciti nella Costituzione dovremmo ritenere che, poiché la funzione rieducativa della pena è garantita nei confronti di tutte le persone indipendentemente dalla cittadinanza, dovrebbe prevalere l’orientamento più favorevole. D’altra parte non si tratta di un’interpretazione che dovrebbe o potrebbe garantire la regolarizzazione.
Nessuno pensi che il fatto di aver commesso un crimine in Italia per cui si è stati condannati, possa garantire poi, sempre se ci si comporti bene durante il periodo di espiazione della pena, una sorta di regolarizzazione. Una volta completata l’espiazione della pena e, quindi, esaurita anche l’applicazione della misura alternativa o delle misure alternative che intervengano tra loro, la situazione dell’irregolare torna ad essere quale era precedentemente.
Anzi, sempre più frequentemente, assistiamo ad una pianificazione dei provvedimenti di espulsione in coincidenza con la scadenza dei termini delle misure alternative alla detenzione o in coincidenza con la scadenza dei termini di carcerazione. Questo salvo casi eccezionali perché non vi è una norma che permetta, nemmeno in base ad una valutazione discrezionale, di valutare oltre al positivo comportamento tenuto dal soggetto durante il periodo di espiazione della pena, anche quello complessivamente tenuto durante la presenza dello stesso in Italia, con conseguente possibilità di rilascio di un permesso di soggiorno in deroga alla normativa generale in materia. Si tratta di una questione che viene sottoposta con evidenti motivazioni di necessità e di opportunità da parte degli stessi operatori in ambito penitenziario, anche da parte degli operatori istituzionali che, pressati all’interno delle istituzioni in cui lavorano, tentano, soprattutto nelle situazioni più meritevoli, di individuare una via di uscita.
Abbiamo da un lato le norme contenute nel Testo Unico sull’Immigrazione ( d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) come modificato dalla legge c.d. Bossi-Fini (L. 30 luglio 2002, n. 189) sulla espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione (art. 16, T.U. sull’Immigrazione) che è stata concepita proprio per sfoltire la popolazione carceraria e allontanare dal territorio gli stranieri condannati. Dall’altro lato abbiamo moltissime situazioni di persone che sono detenute e che hanno alle spalle un lunghissimo periodo di soggiorno, con relazioni intrecciate in Italia, al punto tale che non troverebbero più alcun sostegno o possibilità di inserimento nel proprio paese di provenienza.
In queste situazioni non c’è una norma che consenta di “premiare” sia pur pochi e selezionati casi meritevoli. Non esiste un potere discrezionale che consenta alla singola questura di valutare la condotta complessiva del soggetto e la positiva partecipazione dello stesso al progetto di rieducazione.

Cosa succede una volta espiata la pena?
Abbiamo pertanto una situazione in cui, da un lato queste persone, beneficiando di misure alternative alla detenzione, si reinseriscono nella società, completano un percorso di risocializzazione che può durare anni, di lavoro regolare, riescono con fatica a procurarsi un alloggio idoneo e stabiliscono una serie di relazioni non solo lavorative. Poi, una volta terminato il percorso stesso, devono attendere il provvedimento di espulsione e la sua esecuzione.
Da parte di molti operatori in ambito penitenziario, si auspica che vi sia almeno una speranza per queste persone, ovvero una possibilità di prospettare alle stesse una via di uscita per stabilizzarsi sul territorio italiano. Una risposta ancora non c’è e d’altra parte è giusto sottolineare, da un punto di vista pratico e programmatico, la necessità e l’opportunità per le amministrazioni penitenziarie di avere uno strumento molto importante per governare la situazione quale è la speranza. Al momento non ci sono gli strumenti e la situazione è vissuta in termini molto pesanti da parte di chi lavora a contatto con la realtà penitenziaria, anche se, come normalmente succede, la popolazione che non è vicina a questi problemi, come pure gli ambienti politici (che ne sono molto lontani e che considerano scarsamente conveniente dal punto di vista elettorale affrontarli) tendono a tralasciarli e dimenticarli.