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Monitoraggio ai confini dell’Austria che deporta

di Paola Tracogna, Ospiti in Arrivo

Fotografie di Alice Buosi

Strangolare il diritto d’asilo e la Convenzione di Ginevra”. Petra, attivista e legale dell’associazione austriaca Border Crossing Spielfeld, non ha dubbi nel descriverci l’attuale politica del governo austriaco nei confronti dei richiedenti asilo in continuo arrivo, nonostante il blocco delle frontiere balcaniche. Come membri di Ospiti in Arrivo l’abbiamo incontrata due giorni fa a Spielfeld, un paesino di circa 1.000 abitanti sul confine austro-sloveno, divenuto nel 2015 uno dei campi di transito e dei punti di passaggio dei corridoi umanitari che hanno consentito, fino al marzo 2016, a centinaia di migliaia di migranti di raggiungere legalmente il cuore dell’Europa alla ricerca di protezione internazionale.

Spielfeld nel 2015 [fonte: rete]
Spielfeld nel 2015 [fonte: rete]

Da alcuni mesi Petra sta portando avanti con una squadra di avvocati una battaglia legale contro le “deportazioni di massa” – così le definisce l’attivista – avviate in totale segretezza dal governo di Vienna. Si tratta di espulsioni verso Croazia e Slovenia, avvenute dall’aprile 2016: “Sono state applicate a centinaia di migranti, entrati in Austria prima della chiusura delle frontiere e giustificate, dopo molte pressioni, dal Ministero dell’Interno austriaco sulla base del Regolamento di Dublino III”. Il Regolamento attribuisce, infatti, al primo Stato Membro che accoglie e identifica – anche con la raccolta d’impronte digitali – un cittadino di un paese terzo la competenza per l’esame della domanda di protezione internazionale. Secondo fonti del Ministero austriaco, la Croazia – Stato europeo che precede l’Austria nella rotta migratoria – diversamente dalla Slovenia, non avrebbe opposto obiezioni entro i due mesi dall’avvio delle procedure di competenza tra i due Stati, così come previsto dal Regolamento. Il governo di Zagabria avrebbe, di conseguenza, dato il suo consenso alle deportazioni.

Quello che non va in tutta questa storia – ci spiega Petra – è il fatto che il Regolamento di Dublino è stato applicato non nei confronti di migranti irregolari, ma nei confronti di migranti entrati legalmente in Austria”. Per comprendere questo punto discriminante, bisogna però fare un passo indietro e ritornare al marzo 2016: un mese che ha segnato un prima e un dopo in tema di migrazioni, in Austria come altrove.
Ricorda Petra: “Qui sul confine ogni giorno transitavano tra i 1.000 e gli 8.000 profughi grazie al corridoio umanitario che era stato aperto e che attraversava tutta la rotta balcanica. Allora le autorità statali dei diversi Paesi si organizzarono per trasferire le persone in sicurezza e in legalità attraverso la creazione di un sistema di trasporto pubblico. Anche qui a Spielfeld le autorità austriache organizzarono i trasporti, mettendo a disposizione diversi pullman, per permettere alle persone di proseguire il proprio viaggio o essere trasferite nei campi austriaci e avviare le richieste d’asilo. E ciò che bisogna sottolineare è che allora il sistema di Dublino III fu sospeso e ripristinato solamente dopo la chiusura delle frontiere nel marzo del 2016. I migranti che entravano in Austria durante l’apertura del corridoio umanitario lo facevano legalmente. Non erano illegali, come oggi vorrebbero farci credere le autorità di Vienna”.

Il valico tra Slovenia e Austria, febbraio 2017
Il valico tra Slovenia e Austria, febbraio 2017

Per il governo, quindi, i richiedenti asilo entrati in Austria prima del marzo 2016 sarebbero illegali: ecco, dunque, il pretesto delle espulsioni disposte nei loro confronti. Secondo gli avvocati si tratta, in poche parole, di un’applicazione retroattiva del Regolamento di Dublino.
Inoltre, ciò che i legali contestano sono i criteri di selezione dei richiedenti asilo espulsi. Questi parametri non sono mai stati resi pubblici dall’autorità austriache. “Nel 2016 sono stati aperti 2.000 procedimenti di espulsione, di cui 700 completati: 700 persone, selezionate totalmente a caso e senza alcuna logica!”. I migranti sono stati prelevati senza nessun preavviso e deportati dall’oggi al domani all’Hotel Porin di Zagabria e a Kutina, a 75 km dalla capitale croata. Erano persone, molte famiglie, che avevano iniziato una nuova vita in Austria. “È stato solo grazie agli attivisti presenti in Croazia e ai tanti volontari austriaci – ci racconta Petra – che abbiamo scoperto quello che stava succedendo e iniziato una battaglia legale per riportare le persone in Austria”.
C’è, infatti, chi si è opposto alle deportazioni, organizzando manifestazioni per impedire il trasferimento di chi ormai, a tutti gli effetti, sentiva parte della sua stessa comunità. I volontari austriaci hanno varcato i confini per riportare ai migranti i beni abbandonati in Austria, ma soprattutto per mantenere i contatti e avviare insieme agli attivisti croati dell’organizzazione Are you Syrious? una vasta campagna d’informazione e denuncia. “Il rischio vero – aggiunge Petra – è che i richiedenti asilo fossero a loro volta trasferiti dalla Croazia in Serbia, il precedente paese di transito, considerato sicuro”.

Grazie a questa catena di solidarietà, attivisti e legali sono così riusciti in questi mesi a rintracciare una parte delle persone deportate e ad avviare i ricorsi per riportarle in Austria. “In alcuni casi – ci dice Petra – le persone sono rientrate a piedi da sole in Austria, molte altre, invece, soprattutto i richiedenti di nazionalità afghana, sono fuggite dalla Croazia per il timore di veder negata la loro richiesta di protezione internazionale o di essere rimandate in Serbia. Hanno, quindi, tentato di raggiungere l’Italia”.
Dal punto di vista giuridico – spiega – è stato solo grazie al ricorso presentato dalla Corte Suprema della Slovenia alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) che le espulsioni sono state sospese”. In attesa di una sentenza definitiva da parte della CGUE, prevista per fine marzo, la Corte amministrativa di Graz ha infatti accolto i ricorsi presentati dalla squadra di avvocati austriaci e ha sospeso tutti i trasferimenti. La sentenza è arrivata a fine novembre 2016. La sentenza ha dichiarato illegittimi i trasferimenti in Croazia, in attesa di attuazione o attuati nelle precedenti sei settimane. Ha, inoltre, consentito di avviare una serie di procedimenti per riportare le persone in Austria. “A oggi siamo riusciti a far rientrare 13 persone – ci dice con un sorriso – ma per fine marzo contiamo di far rientrare tutti”.
Rimaniamo anche noi in attesa della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 28 marzo. Questa sentenza importantissima potrà avere ripercussioni non solo in Austria, ma anche in Germania, dove sulla base degli stessi criteri, centinaia di persone sono state deportate.

Il futuro del diritto d’asilo in Austria

Mentre ci racconta questa storia e le battaglie che da mesi stanno portando avanti contro le “deportazioni di massa”, costeggiamo quello che fu nella no man’s land al valico di frontiera tra l’Austria e la Slovenia. Si tratta di un campo di transito che oggi continua a essere ampliato, benché sia passato un anno dalla sua chiusura e non via sia alcun tipo di controllo al confine. “Difficile capire cosa ci sia dietro questo progetto di ampliamento, ci spiega Petra. Quel che è certo è che si tratta di un gigantesco sperpero di denaro pubblico”. Tra le ipotesi in gioco vi è la possibile apertura di un campo di identificazione e detenzione per migranti irregolari: una sorta di “CIE” all’italiana. Il clima che si respira in Austria purtroppo non è dissimile a quello in Italia o in Europa.
Tutte le attuali politiche austriache sembrano, infatti, convergere verso quello che Petra definisce uno strangolamento del diritto d’asilo e della Convenzione di Ginevra. Nel maggio dello scorso anno è stata approvata una legge che autorizza a respingere qualsiasi richiesta d’asilo qualora il paese dichiari uno stato d’emergenza. A questo, si è aggiunto il tentativo di imporre un tetto al numero di persone che potranno fare richiesta nel corso dell’anno. “Un’assurdità, dal momento che la Convenzione di Ginevra non impone alcun limite agli ingressi”. In Austria, vi è poi una discrezionalità nel riconoscimento della protezione internazionale in relazione alla nazionalità: “Per un nigeriano – ci racconta Petra – è impossibile ottenere una protezione: non conta la storia personale, ma il Paese da cui proviene e questa è una palese violazione del diritto d’asilo”.
Negli ultimi mesi, l’Austria mediamente ha accolto circa 1.000 richieste d’asilo mensili. Nonostante il blocco delle frontiere balcaniche, i profughi dunque continuano ad arrivare. Per molti è solamente un Paese di transito. Le frontiere sono permeabili e non vi sono controlli né sul fronte sloveno, né su quello ungherese. Un procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale prevede in media un tempo non inferiore a un anno (salvo per i dublinanti dove i tempi si accorciano) e, in caso di diniego, il ricorso può durare fino a sei o sette anni. Un periodo nel quale le persone non possono lavorare. “Un’attesa lunghissima ed estenuante per chi vorrebbe riniziare una nuova vita”.
Per quanto riguarda le procedure di accoglienza, le autorità inviano inizialmente quasi tutti i richiedenti asilo identificati sul territorio in un centro di registrazione vicino a Vienna. Da qui, dopo una fase di prima accoglienza, le persone sono distribuite in piccoli centri diffusi su tutto il territorio statale. A tutti vengono garantiti servizi quali: corsi per l’apprendimento della lingua tedesca, percorsi per l’inserimento scolastico e la formazione professionale, l’assistenza legale e sanitaria, e un pocket money mensile.

Il valico tra Slovenia e Austria, febbraio 2017
Il valico tra Slovenia e Austria, febbraio 2017

Attraversiamo a piedi la frontiera per raggiungere la tendopoli, ancora intatta, dell’ex zona di transito slovena. Al valico, il nostro sguardo si ferma sui muri e sulle vetrate di un edificio che ha conservato i segni di quel recente passato. Sono parole impresse nel cemento e nella polvere, parole impresse nella crisi di un’Europa che ha dimenticato la sua storia.


Pochi giorni dopo aver pubblicato l’articolo un’operatrice dell’accoglienza ha scritto alla redazione di Melting Pot descrivendo la “bizzarra” situazione in cui è ricaduto un richiedente asilo, a conferma di quanto sta avvenendo in Austria.

La storia:
Il richiedente asilo in questione, di nazionalità pakistana, arriva in Austria la prima volta nel gennaio 2016 e viene accolto in un centro di accoglienza per nove mesi, durante i quali gli vengono rilevate le impronte digitali: è il primo paese che le raccoglie.
A settembre 2016 decide di raggiungere l’Italia dove fa richiesta di protezione internazionale: viene inserito in un primo centro di accoglienza e dopo due mesi e mezzo trasferito nel centro di accoglienza presso il quale io collaboro. Seguo la sua pratica di richiesta di protezione.
Secondo le indicazioni della Prefettura viene fotosegnalato (è il procedimento di identificazione di una persona, con il rilievo dattiloscopico) e la questura gli rilascia il 20 gennaio 2017 il permesso di soggiorno Dublino con scadenza il 19.07.2017.
Il richiedente asilo decide quindi di lasciare volontariamente il centro di accoglienza e di rinunciare alle misure di accoglienza previste dalla legge italiana.
Si reca quindi nuovamente in Austria dove viene arrestato dalla polizia, detenuto per 15 giorni e dove gli viene chiesto (ed ottengono) il pagamento di un’ammenda di 100,00 euro.
Da questo momento inizia un procedimento alquanto singolare:
dopo la detenzione viene imbarcato, senza spiegazioni, su un volo diretto a Zagabria malgrado lui avesse chiaramente evidenziato di essere in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato dallo Stato italiano.
All’arrivo a Zagabria viene prelevato dalla polizia croata che lo scorta fino al centro d’accoglienza “Hotel Porin”. Essendo il centro di accoglienza aperto durante il giorno lui tenta di uscire, ma la polizia slovena al confine lo blocca e gli suggerisce di parlare con l’ambasciata italiana a Zagabria.
Il richiedente asilo mi contatta per aiutarlo, informo l’Ambasciata italiana la quale, dopo aver ottenuto il nulla osta da parte della Questura di Treviso (che aveva rilasciato il permesso di soggiorno Dublino in Italia a seguito di richiesta di protezione), emette un Visto di Rientro ed un relativo lasciapassare per ritornare in Italia.
Il richiedente asilo prende dunque un autobus per il rientro (Zagabria – Trieste) ma viene bloccato dalla polizia croata che lo riporta al centro d’accoglienza di Zagabria e gli fissa un appuntamento per il rilascio delle impronte digitali.
Gli viene detto che se non lo fa torna in Serbia.

Ospiti in Arrivo

L'Associazione Onlus Ospiti in Arrivo si occupa di primo supporto dei soggetti richiedenti protezione internazionale a Udine.