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Monza senza confini. Report dalla “No borders street parade”

di Claudia Terragni

Picasso diceva che ci ha messo tutta la vita a imparare a dipingere come un bambino. È semplice seguire le regole, la formalità delle pratiche è una strada facile da percorrere. Basta entrare nel meccanismo della tecnica. Più difficile invece fare come un bambino. Andare più in profondità, oltre la prassi e lasciarsi guidare dalla spontaneità. Ѐ dalla spontaneità che nascono le opere d’arte migliori.

Le vie di Monza, la sera del 30 luglio, sono state animate dalla “No borders street parade”, una manifestazione a sostegno delle lotte dei migranti. Un evento scaturito dall’istinto più spontaneo del mondo: giocare. Nel centro sociale Foa Boccaccio di Monza c’è un campo da calcio. Qui è avvenuto l’incontro. Tutti giocano perché giocare è naturale. Ed è proprio seguendo questo impulso che è nata una creazione degna di Picasso: da ormai un anno al Foa Boccaccio hanno luogo assemblee autoconvocate di richiedenti protezione internazionale e ragazzi italiani, attivisti e esperti nel settore della migrazione. Si tratta di momenti di incontro in cui si ha la possibilità di discutere a proposito della propria realtà, di scambiarsi idee, di riportare la propria esperienza. E cambiare le cose.
Può suonare banale ma non lo è: queste assemblee hanno luogo una volta alla settimana e riuniscono da 15 a 80 persone che parlano lingue diverse. E., un’energica ragazza italiana, le descrive ridendo come “estenuanti”: perché venga rispettato il diritto di ognuno di capire e partecipare, gli interventi vengono istantaneamente tradotti in almeno tre lingue! Inglese, italiano, francese, ma spesso anche nei dialetti locali dei Paesi di provenienza. Un incatenarsi di suoni, punti di vista, parlate, vite diverse in incredibili concerti di opinioni.

L’aspetto più sorprendente è il fatto che non siano orchestrate da nessuno. Questa associazione è nata senza nessuna direttiva esterna: non ci sono stati attivisti italiani che hanno preso a carico i problemi dei migranti per inquadrarli nella loro ideologia; non ci sono stati organizzazioni di volontariato che hanno tentato di aiutare i richiedenti asilo imponendo una struttura operativa prefissata; nessuna influenza non contingente che incanalasse le esigenze dei profughi in altri movimenti già esistenti.
Nessuna regola prefissata, nessuna bozza a matita sulla tela del quadro. Pura spontaneità che si manifesta in un concreto esempio di reale intercultura.
M. ricorda che tutto è nato circa un anno fa, quando i 120 ragazzi accolti nell’hub di Agrate hanno dato il via ad uno sciopero autorganizzato contro la gestione della Croce Rossa. La questione era grave e impellente e urgeva un momento di dialogo e confronto. Urgeva anche perché, diversamente dall’opinione comune che abbiamo dei richiedenti di tutela internazionale, essi non sono per nulla sprovveduti. Solo durante la street parade ho ascoltato la storia di un professore di engineering management e geografia della Costa d’Avorio, tutto meno che ingenuo o inesperto. Analizza con una lucidità degna di insegnante la situazione storica, politica ed economica del suo Paese. Nonostante la lingua diversa, riesce a comunicare una chiarezza di idee con consapevolezza disarmante: mi sento davvero una studentessa alle prime armi, cosa che in effetti sono. Racconta della sua estradizione e della persecuzione che il governo ha attuato nei suoi confronti: “questa è la politica” afferma con un’inspiegabile serenità nel commentare l’incendio della sua abitazione ivoriana. Ora in Italia sta seguendo un corso di italiano e vorrebbe creare una ONG per aiutare i profughi e le persone senza famiglia. “Siamo tutti traumatizzati dalla guerra” dichiara, ricordando quando in prigione era costretto a mangiare da una ciotola come un cane, perché i carcerieri non gli toglievano le manette.

La manifestazione si muove per le strade del centro e raccoglie almeno 200 persone, tra stranieri e italiani, ragazzi e adulti, bambini e anziani. C’è musica, cibo, birra, la gente balla e canta. Si respira un’aria di festa. Ci si chiede allora qual è la vera differenza. Nella fluida realtà contemporanea qual è il criterio per poter affermare che qualcosa è diverso? La cultura? Ma quali sono le culture nell’era della globalizzazione?
Non ci sono più confini culturali forse, ma dalla camionetta lo speaker invoca la necessità di abbattere le frontiere che ogni giorno si stagliano imponenti davanti ai migranti: non solo al Brennero o a Ventimiglia, ma anche quelle quotidiane della lingua, della questura e della commissione territoriale. Infatti tra le grida di “solidarite avec les sans papier” si ribadiscono i motivi che hanno spinto ad organizzare il corteo. Si richiede il giusto riconoscimento della protezione internazionale, che la valutazione della richiesta sia una reale indagine a proposito della specifica condizione del singolo richiedente e non diventi una superficiale scelta arbitraria, basata su criteri convenzionali. Se un Paese non è riconosciuto come “giusto” per ottenere l’asilo perché non è in corso un conflitto ufficializzato, non è detto che la richiesta non sia giustificata da condizioni ugualmente gravi. Positivamente degna di nota ad esempio, l’ordinanza del 21 giungo 2016 del Tribunale di Genova, in cui il giudice concede il permesso per motivi umanitari, valutando la situazione di salute come estremamente vulnerabile, nonostante il migrante non abbia prodotto valide motivazioni a sostegno della sua domanda di tutela.
I manifestanti fanno poi appello alla riduzione dei tempi di attesa per avere una risposta: più i tempi si allungano più si allontana la possibilità di vivere in Italia rispettando le leggi valide per tutti. Si aggiungono poi esigenze specifiche, come il miglioramento delle condizioni dei migranti risedenti negli appartamenti di via Asiago, gestiti dall’s.r.l. Trattoria Mercato che non garantisce assistenza sanitaria, corsi di lingua e informazioni giuridiche.

Spesso si sente raccontare di quanto gli immigrati pretendano sempre di più da un Paese che fa già fin troppo e probabilmente qualche cittadino monzese ha interpretato così anche la No borders street parade, allontanandosi infastidito dall’incalzante ritmo della musica e dal rosso dei fumogeni. Dal lato opposto invece c’è chi empaticamente pensa a quanto un migrante possa detestare un Paese come l’Italia che non fa abbastanza per loro. Tuttavia, parlando con i ragazzi delle assemblee, emerge un’immensa gratitudine per l’Italia. Per quell’Italia che apre le porte, che lascia entrare la gente, che salva dal mare. Non tutti i Paesi lo fanno. Innegabile poi che ci siano dei problemi nell’accoglienza, ma questi vengono riconosciuti dai migranti stessi come localizzati e specifici.
L’Italia che accoglie esiste. Non sempre si nota magari, ma è proprio attraverso i processi sotterranei e quotidiani che si fanno strada i cambiamenti più duraturi. Nella relazione e nell’incontro, come assemblee sorte spontaneamente tra persone differenti con la stessa voglia di migliorare. Nella gioia: come un colorato corteo cittadino capace di unire gratitudine e protesta. Come un’opera di Picasso dipinta seguendo la spontaneità di un’umanità ancora bambina.
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