La diffusione da parte delle autorità maltesi della foto del gommone con i cinque eritrei, poi arrivati a Lampedusa il 20 agosto, dopo che decine di loro compagni erano morti ed erano stati gettati in mare durante la traversata, si sta rivelando uno straordinario boomerang non solo per le autorità maltesi, che hanno documentato in modo inconfutabile l’omissione di soccorso, e per le unità coinvolte nelle operazioni FRONTEX che avevano avvistato in precedenza il gommone senza intervenire direttamente, ma anche per il ministro Maroni e per quegli esponenti del governo italiano che per giorni avevano negato l’entità della tragedia giungendo a dubitare del racconto dei sopravvissuti, ed insinuando addirittura il dubbio che tra loro ci potessero essere degli scafisti. Come osserva Alfio Sciacca, sul Corriere della sera, “quella “foto a discolpa” dimostra impietosamente quel che hanno fatto degli uomini di mare maltesi”.
La foto diffusa dalle autorità maltesi conferma la condizione di prostrazione nella quale si trovavano i cinque eritrei affiancati dalla motovedetta tunisina, accasciati sul fondo del gommone,ed evidenziano come le dimensioni del gommone siano proprio quelle “classiche” per le traversate da 50 ad 80 persone, generalmente ammassate come sardine, al punto che nei racconti dei naufraghi si ricorda spesso che alcuni si devono tenere aggrappati con gli altri per non cadere a mare. Basta paragonare le foto del gommone con l’archivio degli sbarchi di questi ultimi anni per confermare quanto affermato dai naufraghi e smentire, oltre alla tesi difensiva di Malta, i dubbi e le illazioni ipocrite dei nostri ministri. Sarebbe gravissimo se i mezzi di informazione o autorità statali facessero un uso improprio della foto del gommone, alimentando altri dubbi sulla credibilità dei racconti dei naufraghi. L
Che la guardino a lungo quella fotografia, questi signori che “gestiscono” il contrasto dell’immigrazione clandestina a mare solo per accrescere il proprio consenso elettorale e per diffondere razzismo e xenofobia, oppure per fare carriera o aumentare il numero delle stellette sulle loro spalle. Che la guardino bene e la portino impressa nella loro memoria per tutta la vita, quegli spazi vuoti nel gommone, quei corpi riversi non sono altro che le prove di accusa della loro infamia, di una omissione di soccorso, una vergogna,come i cadaveri individuati in mare che nessuno ha voluto recuperare, forse per fare scomparire le tracce delle proprie responsabilità. E che nessuno si compiaccia del fatto che finalmente Lampedusa è stata liberata dai “clandestini”. Se non arrivano da vivi, i loro corpi galleggiano ancora attorno alle spiagge lampedusane inondate da turisti indifferenti. Dopo i due cadaveri recuperati davanti all’isola di Linosa, nessuno sa più niente, o non vuole dire più niente, degli altri cadaveri avvistati nei giorni scorsi nel Canale di Sicilia.
I fatti alla fine sono più forti di qualunque menzogna, ed appena qualche giorno dopo la tragedia e l’orrore del gommone della morte arrivato a Lampedusa il 20 agosto carico di eritrei, altri gommoni, identici a quello giunto a Lampedusa, con decine e decine di persone a bordo, sono giunte a Malta. In questo ultimo caso, nelle operazioni di salvataggio, secondo le cronache, alcuni migranti “sarebbero caduti in mare” ed uno di loro è morto. Questa volta i mezzi di informazione riferiscono che i migranti, in gran parte eritrei, “nei filmati sull’operazione di soccorso diffusi dalle Forze armate maltesi, appaiono particolarmente provati dalla traversata”.
Di chi è la colpa di quel migrante che è morto annegato, probabilmente quando qualcuno in divisa militare avrebbe potuto raggiungerlo e salvarlo. Che fine hanno fatto le unità della operazione FRONTEX con base a Malta ? Si sono forse improvvisamente volatilizzate o continuano a segnalare ai mezzi militari italiani e maltesi le imbarcazioni cariche di migranti per facilitare i respingimenti sommari verso la Libia?
La Procura di Agrigento ha acquisito agli atti la fotografia del gommone degli eritrei scattata dalle autorità maltesi, sembrerebbe il 19 luglio scorso, quando l’imbarcazione si trovava ancora in acque internazionali, nella zona SAR ( ricerca e soccorso) di competenza di Malta.
Secondo il Corriere della sera “Il procuratore di Agrigento Renato Di Natale, che coordina le indagini, ha chiesto anche di acquisire la trascrizione delle comunicazioni intercorse tra le autorità italiane e quelle maltesi”. Adesso si tratta di capire se si allargheranno le indagini, non solo alle autorità militari maltesi, ma anche italiane e dell’Agenzia Frontex, per verificare dai registri ufficiali le modalità di avvistamento, di tracciamento e di intervento. Non si tratta certo di sbattere la fotografia del gommone semivuoto in faccia ai migranti, come forse qualcuno auspicherebbe, per un altro giro di estenuanti interrogatori ( dopo quelli già subiti a Lampedusa da parte della Guardia di Finanza e della Polizia) al fine di trovare discordanze, contraddizioni, elementi poco chiari, magari contrastanti con le prime dichiarazioni rese subito dopo il salvataggio da persone in evidente stato di choc, in modo da raccogliere elementi che possano demolirne l’attendibilità, con buona pace delle autorità militari che sono finora rimaste fuori dall’inchiesta penale.
Ormai nel Canale di Sicilia è guerra di filmati. Le autorità maltesi filmano gli interventi della Guardia di Finanza, che a sua volta filma gli interventi delle motovedette maltesi. Di cosa hanno paura? Di quello che potrebbero raccontare i migranti? Ogni autorità di controllo si sta costruendo la sua verità, e rimangono senza effetto le testimonianze dei migranti, quando finalmente sono messi nelle condizioni di presentare una domanda di asilo e di parlare liberamente con i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie.
E non basta. Il reato di immigrazione clandestina, anche se il procedimento è sospeso dalla presentazione di una istanza di protezione internazionale, viene utilizzato per diffondere attraverso i media una immagine distorta e distorcente dei superstiti , come se fossero dei criminali, quando sono invece costretti ad attraversare il Canale di Sicilia per fuggire ad abusi e torture che non si verificano solo nel loro paese di origine ma anche in Libia. Ed internet serve anche per rilanciare la notizia di possibili incriminazioni con commenti e attacchi di stampo razzista e xenofobo, senza che nessuno intervenga ad impedire la diffusione di questo pattume. Anche a margine di stragi come quella degli eritrei rispetto alla quale occorrerebbe tanto silenzio, autocritica ed un impegno concreto per accertare la verità e restituire almeno un brandello di giustizia alle vittime.