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Naufragio al largo dello Yemen: più di duecento dispersi

Quei dimenticati tra i dimenticati

Photo credit : Medici Senza Frontiere (Archivio)

I dimenticati tra i dimenticati. Gli ultimi della terra. Persone con un nome e cognome che entrano nell’anonimato, parte di un bollettino di un naufragio che in realtà è un bollettino di guerra.
Storie di vite cancellate, spazzate vie, ricolme di speranze bruciate e svuotate.
Riempite di indifferenza. Riempite come quei polmoni invasi dall’acqua salata, che non riescono più a respirare. Avvolti dal mantello del mare, da una morte che si poteva e doveva evitare.
Un’altra strage, drammaticamente pesante: decine su decine di morti e duecento migranti dispersi in un naufragio al largo dello Yemen, in un barcone partito da Gibuti e naufragato al largo di Ras al-Ara.

Migranti del Corno d’Africa e profughi yemeniti costretti a lasciare il proprio Paese per scappare dalla guerra generata dalla cieca razzia della coalizione guidata da Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita.

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La zona marittima Ras al-Ara è ad est dello stretto di Bāb el-Mandeb: trattasi della rotta marittima forse più pericolosa del mondo, al centro di una nostra precedente inchiesta 1. E’ infatti zona di flussi migratori marittimi con alte percentuali di naufragi, dove l’omissione di soccorso è la prassi. Ed è contemporaneamente zona di transito delle navi di guerra degli Emirati Arabi Uniti che attraccano in Yemen e che partono dal porto eritreo di Assab.

Fotografia della anacronistica ingiustizia: i barconi coi migranti no, le navi da guerra si.

La rotta di Bāb el-Mandeb ha un doppio senso di marcia: chi dall’Africa tenta di raggiungere i Paesi degli emiri in cerca di lavoro e viene respinto con ferocia. Qui la zona di partenza è Gibuti, come nel caso del naufragio. Oppure la Somalia e l’Eritrea.
E chi compie il senso opposto e tenta l’attracco in Africa per scappare dalla guerra. Profughi dello Yemen, della Siria. E che sbarcano nel piccolo Gibuti, passando poi per Somalia e l’inferno sudanese, con il mortifero campo profughi di Shagarab. Qui vi sono arresti forzati, violenze, sfruttamento lavorativo, pagamenti di riscatto di 1500$ 2

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Chi arriva in Eritrea entra nell’inferno, con due possibilità. La via terrestre: da Mersa Gulbub a Kassala (1), snodo fondamentale per le migrazioni orientali. Il tragitto, però, è diventato estremamente pericoloso e difficile vista la militarizzazione dei confini da parte del Sudan e della stessa Eritrea.
E la via marittima: imbarco nel porto di Mersa Gulbub con attraversamento del Mar Rosso ed arrivo a Suakin (1.1.). Ultimo passo Suakin-Kassala (1.2.).

Tutti restano invischiati nelle rotta orientale centro: chi riesce ad arrivare a Khartoum attraversa il deserto libico stipato nei pickup dei trafficanti e superato il confine della Libia viene fatto scendere a Kufra e consegnato ai trafficanti libici. Il passaggio seguente è Agedabia, città affacciata sul Mediterraneo e specchiata sul sogno Europa.
L’obiettivo del migrante incarcerato ad Agedabia è Tripoli o Bengasi, ossia il trampolino verso l’Europa.
Ma molti, nel tentativo di raggiungere la meta, finiscono ad Al-Khums, a 100 km dalla capitale: le carceri sono durissime, le torture e le percosse fisiche insopportabili. Tra le testimonianze raccolte la falaka (bastonate alle piante dei piedi) è prassi quotidiana.

Lo stretto di Bāb el-Mandeb è quindi da un lato ponte per l’approdo in Arabia Saudita (passando dallo Yemen). Oppure per il sogno Europa (che passa dallo sbarco in Somalia, Eritrea o Gibuti e conseguente inizio della rotta orientale-centro).
Separa la costa africana da quella arabica e nel suo punto più stretto è circa 30 km: appena dieci volte la distanza che separa Villa San Giovanni da Messina. I profughi che tentano di attraversare questa minuta porzione di mare rischiano di morire colpiti dagli spari o lasciati annegare. Oppure rapiti e costretti a pagare un riscatto altissimo. Ma anche di essere respinti, rimandati indietro ed obbligati a pagare nuovamente il viaggio (700$) che quindi diventa di 1400$: sfideranno la sorte, ancora una volta, e alcuni di loro troveranno probabilmente nella morte.
Inversamente, da inizio anno decine di migliaia di persone hanno tentato la traversata per raggiungere l’Arabia Saudita: chi ce la fa, spesso viene bloccato in Yemen, finendo sotto le bombe dei sauditi.

Il naufragio di questi giorni è l’ultimo di una lunga serie: a metà aprile, nella rotta inversa, dallo Yemen alle coste dell’Africa, un barcone di una sessantina di persone si è ribaltato mentre era inseguito dalla sedicente Guardia Costiera locale. Molti i morti, tra cui 34 bambini.

Nei mari del mondo si continua a morire, con la complice indifferenza degli Stati cosiddetti “sviluppati”.

  1. https://www.meltingpot.org/L-Eritrea-ponte-per-la-razzia-saudita-in-Yemen.html
  2. https://100r.org/2017/12/sudan/

Pietro Giovanni Panico

Consulente legale specializzato in protezione internazionale ed expert prevenzione sfruttamento lavorativo. Freelance con inchieste sui MSNA, rotte migratorie, accordi illegittimi tra Paesi europei ed extra UE e traffici di armi.
Nel 2022 ho vinto il "Premio giornalistico nazionale Marco Toresini" con l'inchiesta "La guerra dei portuali genovesi contro le armi saudite".