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Naufragio dell’11 ottobre – L’Italia sapeva e non è intervenuta

Fabrizio Gatti dalle pagine dell'Espresso denuncia i ritardi: omissione di soccorso. 268 morti, almeno 60 i bambini annegati

Solo pochi giorni fa il Premier Letta da Dublino lanciava il suo monito: “sull’immigrazione l’Italia fa la sua parte, ma non è sufficiente, ora tocca all’Europa”.
Sarebbe sufficiente una lettura neppure troppo attenta del parere sui CIE espresso dal Comitato Nazionale per la Bioetica commissionato proprio dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per far risultare l’affermazione del Primo Ministro un tantino azzardata, ma ecco che a pochi giorni da quelle frasi lanciate con tanta sicurezza dal premier con le “palle d’acciaio”, emerge la verità su quale sia la parte che gioca l’Italia nello scacchiere delle politiche di controllo dell’immigrazione europee.

La denuncia viene dalla penna di Fabbrizio Gatti che, sulle pagine dell’Espresso, propone la ricostruzione dei fatti dell’11 ottobre scorso attraverso le testimonianze di alcuni dei sopravvissuti.

A pochi giorni dalla strage del 3 ottobre infatti, un’altra barca con a bordo quasi 500 persone in fuga dalla Siria, 150 dei quali bambini, entrave nelle acque di nessuno, quelle in cui si gioca l’ormai decennale rimpallo di responsabilità tra Italia e Malta. In 268 persero la vita, almeno 60 i bambini annegati.

Secondo Mohanad Jammo, primario dell’Unità di terapia intensiva e anestesia dell’Ibn Roshd Hospita in Siria, “nella notte precedente al naufragio le raffiche di mitra sparate da una motovedetta libica avevano forato lo scafo che, alle 17.10, si è rovesciato ed è affondato. Un elicottero ha raggiunto il punto alle 17.30, sei ore e mezzo dopo la prima chiamata di emergenza. La prima nave militare maltese alle 17.51. Quelle due ore perse avrebbero permesso all’elicottero di arrivare alle 15.30, alla nave militare alle 15.51. E ai soccorritori partiti da Lampedusa, su un veloce pattugliatore della Guardia di Finanza, di essere operativi già poco dopo le 13 e non dopo le 18.30. Ci sarebbe stato insomma tutto il tempo per concludere il trasferimento dei passeggeri e metterli in salvo.”

Così però non è andata. La puntale ricostruzione dei testimoni racconta di una serie di telefonate satellitari alla Guardia Costiera italiana in cui veniva lanciato l’SOS dal natante che imbarcava acqua, senza però che seguisse alcuna operazione di salvataggio. Solo dopo molte ore, una voce dall’altro capo del telefono avrebbe invitato i naufraghi a rivolgersi alle autorità maltesi.

Di seguito un estratto dall’articolo dell’Espresso. Di fatto la denuncia di un omicidio plurimo.

Il dottor Jammo spiega: «Ho chiamato il numero italiano prima delle 11 del mattino. Ha risposto una donna. Mi ha detto in inglese: dammi esattamente la posizione. Le ho dato le coordinate geografiche. Le ho detto: “Per favore, siamo su una barca in mezzo al mare, siamo tutti siriani, molti di noi sono medici, siamo in pericolo di vita, la barca sta affondando”. Se hanno una registrazione, sentiranno esattamente queste parole: “Stiamo andando verso la morte, abbiamo più di cento bambini con noi. Per favore, per favore, aiutateci, per favore”».

Per un’ora e mezzo non accade nulla: «Richiamo il numero, sono circa le 12.30. Ripeto chi sono. È la stessa donna. Mi risponde: “ok, ok, ok” e chiude. Ma non succede nulla. Nessuno ci richiama. Richiamo io dopo mezz’ora. Ormai è l’una del pomeriggio. La donna mi mette in attesa e dopo un po’ risponde un uomo. Mi dice: “Guardate, siete in un’area sotto la responsabilità delle forze maltesi”. Dovete chiamare la Marina maltese. L’ho supplicato: “Per favore, stiamo per morire”. E lui: “Per favore, potete chiamare le forze maltesi, adesso vi do il numero…”. Dalla mappa vedevamo che Lampedusa era a soli 100, 110 chilometri. Malta ad almeno 230 chilometri. Per questo avevamo chiamato gli italiani».

Il dottor Jammo aggiunge che l’uomo non gli ha detto il nome, il grado o il ruolo: «Ma per colpa della centrale di soccorso italiana abbiamo perso due ore fondamentali. Era rimasto davvero poco tempo per noi. È l’una e comincio a chiamare e richiamare i maltesi. Alle tre del pomeriggio mi assicurano che in 45 minuti sarebbero arrivati. Alle quattro mi dicono: “Ok, siamo sicuri della vostra posizione, ma abbiamo ancora bisogno di un’ora e dieci minuti per raggiungervi”. Dieci minuti dopo le cinque tutti i nostri bambini sono annegati e non è arrivato nessuno».

Il video-testimonanza