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Nel CIE di Amygdaleza in Grecia rinchiuse ancora 500 persone, tra di loro 5 minori

Da due mesi continuano le rivolte nel centro che Syriza aveva promesso di chiudere: l'ultima protesta per fame

Era gennaio: l’inverno della vittoria di Syriza. Meno di un mese dopo il nuovo governo apriva le porte di Amygdaleza, nell’euforia generale di chi veniva rilasciato, annunciando che in un centinaio di giorni il centro di detenzione per migranti più grande dell’Attica avrebbe chiuso i battenti.

Oggi quei “100 giorni” riposano nella discarica a cielo aperto delle promesse elettorali non mantenute. Non c’è da stupirsi, dunque, se da due mesi continuano le proteste tra le mura del Cie ellenico, a prescindere da quale coalizione di governo gestisca il complicato meccanismo della detenzione amministrativa.

E l’ultimo capitolo di questa lunga, lunghissima, stagione di lotte si è consumato dieci giorni fa, durante una sommossa notturna nella quale diversi prigionieri hanno dato alle fiamme i propri materassi, costringendo due squadre dei vigili del fuoco a intervenire per estinguere gli incendi in cinque containers differenti.

Proprio venerdì scorso, poi, una commissione investigativa ha visitato Amygdaleza per prendere atto di quello che centri sociali e detenuti denunciano da tempo. Ci sono 500 migranti, tra i quali 5 minori, costretti a vivere in locali decadenti e in uno stato di abbandono quasi totale: gli impianti di ventilazione non funzionano, mancano le condizioni sanitarie di base, è assente (o quasi) l’assistenza sociale e psicologica.

Secondo gli esperti della commissione anche lo staff medico è fortemente sottodimensionato: stacca a ora di pranzo e lavora cinque giorni a settimana, senza che vi sia il ricambio necessario per infermieri e dottori. Mentre le medicine sarebbero fornite in gran parte da associazioni di volontariato vicine a profughi e richiedenti asilo.

Mancano anche sapone, scarpe, vestiti. Ma la pazienza, il 14 luglio, è crollata per la fame dei detenuti. La protesta è infatti scattata a seguito dell’approvvigionamento irregolare dei pasti nella struttura e per la pessima qualità del (poco) cibo che arriva.

Fonti governative accusano un fantomatico “problema di bilancio”, ereditato dalla precedente legislazione, che avrebbe rallentato i pagamenti degli appalti. Soldi che a chi gestisce il refettorio di Amygdaleza sono arrivati a singhiozzo negli ultimi tempi, provocando una reazione a catena a danno soprattutto dei detenuti. Del resto sugli appalti stessi, secondo quanto riportato un mese fa dal quotidiano Kathimerini, i magistrati starebbero indagando per corruzione, essendo che i contratti per la fornitura del cibo (siglati con tre aziende diverse a partire dal 2013) sarebbero stati assegnati senza regolari bandi.

Un déjà vu, se pensiamo agli scandali che hanno segnato l’arcipelago Cie nostrano negli ultimi tempi. A conferma del fatto, se ancora ve ne fosse bisogno, che il business della (non)accoglienza è diventato uno spazio economico estremamente lucrativo e di portata internazionale in merito al quale l’Europa, una volta tanto in accordo, sembra farsi pochi scrupoli.

Secondo Amnesty sono almeno 61.474 i rifugiati sbarcati sulle coste dello stato ellenico nel corso del primo semestre 2015. E di fronte a una emergenza senza precedenti, il governo ha dimostrato di non avere un piano credibile per rimpiazzare una struttura come quella di Amygdaleza. Una sconfitta per Syriza, che si aggiunge alla triste parabola della trattativa sul debito tra Grecia e Unione Europea.

Se chiedessimo ai rinchiusi dal filo spinato del centro di detenzione, che devono dare fuoco ai materassi per far sentire fuori le mura la propria fame, risponderebbero che i sacrifici loro li stanno facendo da tempo, e che nel calderone delle misure d’austerità ci finiscono sempre di mezzo i più deboli. Compresi i migranti. Ma nessuno nei corridoi del potere centrale sembra davvero preoccuparsi di quello che questi esseri umani hanno da dire.

E quando la situazione precipita, come successo qualche giorno fa, basterà comunque raccontare la vecchia storia dei “100 giorni” camuffata da rinnovato impegno di governo, nella speranza che la marea torni ad abbassarsi. Fino alla prossima piena.

Link utili

Il video delle proteste del 20 giugno su RT

Articolo di Kathimerini sulle indagini per corruzione