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Nel centro di Cona (VE) scoppia la rivolta dopo la morte di una giovane ivoriana

Il report di Melting Pot e LasciateCIEntrare dopo la visita al centro nel giugno scorso

Le proteste erano già iniziate subito dopo la morte di Sandrine Bakayoko, una venticinquenne della Costa D’Avorio colta da un malore in bagno la mattina del 2 gennaio. Poi nella notte l’occupazione del centro coi 25 dipendenti di Edeco Servizi (ex Ecofficina), ente gestore, barricati in un container.

I migranti “ospitati” nel centro denunciano i ritardi nell’arrivo dell’ambulanza, arrivata solo otto ore dopo. Denunciano anche il sovraffollamento, il freddo, le condizioni di vita indegne, la mancanza dei servizi minimi, problemi di ogni tipo.

Il Centro di Cona non è un CAS, non è un CARA, non è un hub. E’ un luogo “temporaneo emergenziale” che sopperisce alla mancata accoglienza dei comuni veneti, i cui sindaci rifiutano di accogliere richiedenti asilo.

Le terribili condizioni di vita dei migranti a Cona le avevamo potute vedere anche noi quando il 10 giugno scorso abbiamo fatto visita al centro con la campagna LasciateCIEntrare.

Un posto in mezzo al nulla, che secondo la ASL potrebbe ospitare fino a 540 persone.
Perché allora si parla di 1.000 persone nel centro?

A Cona non dovrebbero essere ospitati soggetti vulnerabili. “Qui le donne e i minori non rimangono o al massimo restano per 24 o 48 ore” ci avevano detto gli operatori. Perché allora, secondo quanto circola sui media mainstream, Sandrine si trovava qui dal suo sbarco in Sicilia dalla Libia, dall’agosto scorso?

Se Sandrine è stata male verso le 8 della mattina perché i soccorsi sono arrivati solo alle 14?

Leggi il report della visita:

Centro per migranti di Cona (Ve): 620 persone in mezzo al nulla
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