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Nel terremoto dimenticato della bassa modenese: la quotidiana emergenza dei migranti

Un reportage del Coordinamento migranti di Bologna

Nella democratica Emilia-Romagna le emergenze non passano in fretta. È notizia recente che lo stato di emergenza dichiarato dal governo per le zone colpite dal sisma del maggio 2012 è stato esteso fino a dicembre 2018. D’altronde, che l’emergenza regni ancora a Mirandola, San Posidonio e altre località della bassa modenese lo sanno bene le famiglie in larga maggioranza migranti che, dimenticate dai più, ancora vivono nei MAP (Moduli Abitativi Provvisori, o più volgarmente container).

L’emergenza non può essere finita, perché qui l’emergenza è stata ed è destinata a essere quotidiana. Nei quasi quattro anni passati dal terremoto un’iniziale soluzione temporanea si è trasformata nella normalità quotidiana di decine di famiglie. Una quotidianità fatta di qualche decina di metri quadrati, di lamiere roventi d’estate e gelide d’inverno, di dipendenza dall’elettricità per ogni esigenza (alimentare, igienica e per il riscaldamento/condizionamento) che ha lasciato in eredità agli abitanti dei MAP bollette di svariate migliaia di euro. Per chi vive di lavori precari e sottopagati, come i tanti migranti che abitano nei MAP, si trattava di costi insostenibili ed ecco che negli ultimi mesi l’Enel ha provveduto a staccare la luce, lasciando al buio e al freddo intere famiglie con bambini, e in alcuni casi si sono verificati perfino distacchi dell’acqua. Era soltanto il primo segnale, una prima intimazione ad andare via. Perché nelle ultime settimane sono partiti gli sfratti, quelli veri, eseguiti con agghiacciante brutalità dalle forze dell’ordine e addirittura dall’esercito. A precederli una notifica che gentilmente invitava i residenti dei MAP a trovare «autonomamente» una soluzione abitativa alternativa entro 10 giorni. Mentre l’estensione dello stato di emergenza consente la sospensione del mutuo ai proprietari di immobili, il commissario delegato per il governo e presidente della Regione Stefano Bonaccini e i Comuni voltano le spalle all’emergenza che vivono i migranti. Come dire: «arrangiatevi, la vostra situazione non è più affar nostro».

Fortunatamente nel frattempo molte famiglie sono riuscite a trovare ospitalità da amici e parenti, ma tra 10 giorni nel solo MAP di Mirandola, dove abbiamo raccolto queste voci, 11 famiglie migranti con bambini verranno sgomberate senza che la Regione e il Comune faccia nulla. I migranti sono disponibili a lasciare i MAP. Ma è davvero troppo poco l’offerta del Comune di pagare un paio di mensilità di affitto a migranti che lavorano saltuariamente, hanno debiti di migliaia di euro con l’Enel e davanti a sé solo l’orizzonte dello sfruttamento in un lavoro sottopagato. Ridicola quella di pagare il ritorno nei paesi da cui sono fuggiti. Dice bene Patrick, uno degli intervistati in prima linea nel portare avanti la protesta: «le istituzioni aiutano solo chi ha un lavoro, mentre si disinteressano di chi non ce l’ha».

Basta fare un giro nel MAP di Mirandola per realizzare che qui normalità ed emergenza si mescolano fino a non distinguere più dove inizi l’una e dove finisca l’altra. Sappiamo che per i migranti la normalità è fatta anche della ricerca coatta di un lavoro e di un reddito necessari a ottenere quel pezzo di carta chiamato permesso di soggiorno a cui sono legati per rimanere in Italia. D’altra parte, nonostante le ordinanze che prevedevano una maggiore elasticità nel controllo dei requisiti per avere il permesso nella fase post-terremoto, i migranti ci raccontano che nessuno sconto è stato concesso e che le verifiche sono proseguite con la consueta, discrezionale, fiscalità. I migranti sotto sfratto avranno ora un ostacolo in più per ottenere il permesso, che è quello abitativo. Procedendo allo sgombero dei MAP, Regione e Comune stanno gettando i migranti che ancora ci vivono in pasto alla legge Bossi-Fini. Ecco allora la vera soluzione all’emergenza: rendere clandestine decine di famiglie migranti colpite da una calamità evidentemente al di fuori del loro controllo. Le istituzioni si lavano le mani e intanto ci penserà la legge a fare il lavoro sporco, a espellere i migranti «in esubero», merce che non serve più alle tante fabbriche e aziende della zona.

Di fronte a un’emergenza che non finisce, la Regione e i Comuni non possono rimanere silenti. Se i MAP devono essere smantellati, le istituzioni devono fornire una soluzione abitativa alternativa a chi dopo 4 anni lascerà il container. Non basta un anticipo sulle mensilità d’affitto, ma occorre che le istituzioni si facciano garanti presso i proprietari di casa, che, nonostante in molti casi abbiano usufruito dei finanziamenti pubblici per ricostruire e mettere a norma il proprio immobile, si rifiutano poi di affittarlo a migranti, che oltre allo sgradevole colore della pelle hanno pure la «colpa» di essere precari. Nelle ordinanze post-terremoto l’amministrazione commissariale si era impegnata a garantire una soluzione abitativa a tutti coloro i quali sono stati colpiti dall’emergenza terremoto. È il momento di dare corpo a quella promessa. Il tempo dell’emergenza deve finire, perché a pagarne il prezzo sono ancora una volta i migranti.

Di seguito le interviste raccolte.