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Nelle notizie ritorna la parola “clandestino” associata al virus

VIII Rapporto della Carta di Roma “Notizie di transito”

È stato presentato mercoledì 16 dicembre 2020 l’VIII Rapporto della Carta di Roma “Notizie di transito”, un’analisi dei media italiani aggiornata al 31 ottobre 2020.

Nel 2020 si osserva una riduzione delle notizie e dei titoli sulla migrazione e i suoi protagonisti. A livello lessicale si rileva un ritorno del termine “clandestino”

«Leggendo le cronache e i racconti delle migrazioni tendiamo ad essere più condizionati dalla propaganda che dai fatti reali». Così Valerio Cataldi, presidente dell’Associazione Carta di Roma, nella introduzione all’VIII Rapporto della Carta di Roma “Notizie di transito”, curato dall’Osservatorio di Pavia. «Se prima ad essere negativo era il ruolo dei clandestini, ora si è aggiunta la connotazione negativa dell’infetto, dell’untore, sempre attribuita al migrante» ribadisce Cataldi.

«Nel 2020 c’è stata una riduzione di notizie relative all’immigrazione, con il 34% in meno rispetto al 2019. Nei telegiornali del prime time, a differenza degli anni precedenti, l’attenzione è stata discontinua: nei primi dieci mesi del 2020 le notizie trasmesse sono la metà rispetto a quelle rilevate negli ultimi due anni» evidenzia Giuseppe Milazzo, ricercatore dell’Osservatorio di Pavia.

Il rapporto 2020: temi, lessico, le voci dei migranti e i social

Guardando ai titoli della stampa, nazionale e locale, quotidiani e periodici, si osserva che la dimensione più rilevante è quella dell’allarme. Crolla la criminalità ma permane la stigmatizzazione dei migranti come veicolo di contagio. Il 13% dei titoli della stampa sui migranti è situato nella cornice di allarme sanitario, riconducibile all’emergenza Covid-19.

«Quando il virus riprende la sua marcia intorno a noi, allora l’argomento migranti va in secondo piano, vi è un calo della visibilità dei migranti. Infatti durante l’estate, quando abbiamo avuto meno timore del virus, il tema migranti, sbarchi, è tornato in auge. È come se avessimo bisogno della paura e senza paura sembra che non riusciamo neanche a fare politica» sottolinea Ilvo Diamanti, Professore dell’Università di Urbino, Direttore di Demos&PI, che prosegue «il virus è estraneo ed esterno a noi eppure è dentro di noi. L’immigrazione fa meno paura perché abbiamo un’altra paura più incombente».

In linea con l’anno precedente, immigrati, migranti e profughi hanno voce nel 7% dei servizi, del tutto in linea con le rilevazioni degli ultimi anni. A questo proposito Carlotta Sami, portavoce dell’UNHCR per il Sud Europa evidenzia «molti media mainstream che lavorano su questi temi soprattutto a livello europeo raccolgano informazioni, concentrandosi soprattutto su quando accade nel Mediterraneo. Si potrebbero raccontare altre storie, quelle dei flussi dai Balcani, o anche il flusso delle persone che arrivano in aereo – e prosegue – ma soprattutto è importante raccogliere storie, reali anche se non sempre positive, per ascoltarle dai diretti interessati dando loro voce».

Inoltre «I migranti vengono identificati come mezzo di propagazione del virus, questo diventa di fatto uno strumento retorico di propaganda che distrae l’opinione pubblica dai reali problemi, dalle cifre effettive, depistandone l’attenzione» sottolinea Triantafillos Loukarelis, direttore dell’UNAR.

Secondo il 16° Rapporto sulla comunicazione ci informa che Facebook è il secondo strumento di diffusione delle notizie, dopo il telegiornale, e che lo utilizza per informarsi il 31,4% degli italiani, un terzo della popolazione. Sulla piattaforma un linguaggio emergenziale e allarmistico, di alcune testate in particolare, contribuisce a creare un clima di minaccia e paura.

«Il nostro Facebook personale è diverso da quello degli altri, mostra ovviamente altri risultati. Questa differenza determina una grande distanza, di fatto riteniamo che il mondo social sia uguale ma invece è profondamente diverso» così Giulio Cavalli, attore e scrittore «e poi c’è un secondo punto, che è quello della disumanizzazione, della spersonalizzazione, quando si raccontano i migranti non abbiamo una loro rappresentazione emotiva, come se fossero un’altra appartenenza rispetto a noi. I social possono e devono essere un luogo di approfondimento, di complessità, non dobbiamo rinunciarci».

«A livello comunicativo, di testate, ho notato che da un lato si pone l’emergenza e dall’altro l’indifferenza. È stato per me interessante notare come, nello scrivere dei decreti sicurezza si ponesse molto l’accento sulla trattazione dell’accoglienza, e si lasciasse in secondo piano la questione della cittadinanza, che non è stata impattata se non in piccola misura» rileva Lucia Ghebreghiorges, giornalista e attivista.

La giornalista di Repubblica Conchita Sannino pone invece una riflessione «che riguarda la mancanza di tempo giornalistico necessario per l’approfondimento. Ed invece questo tempo dobbiamo prendercelo, abbiamo il dovere e la necessitò di essere attivi ed attenti, usando le parole giuste per dare profondità. Dobbiamo presidiare il cambiamento narrativo che stiamo vivendo, per essere vigili reciprocamente».

Non resta che cogliere l’occasione del “transito”, della sospensione della centralità dell’immigrazione nei media e nell’agenda politica per costruire un racconto che dia conto della complessità «chi alza i muri dell’odio – afferma Giuseppe Giulietti, Presidente della FNSI – non ce l’ha con i giornalisti ce l’ha con i cittadini che debbono essere oscurati e imbavagliati».

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