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Neocomunitari – Prorogato di tre anni il regime transitorio

In occasione del decreto flussi per cittadini neocomunitari, ci eravamo chiesti se il Governo italiano avrebbe utilizzato la possibilità di prorogare ulteriormente il regime transitorio per la circolazione dei lavoratori neocomunitari.
La circolare del Ministero del Lavoro n. 15 del 3 maggio 2006, rende noto che il Governo Italiano ha provveduto a notificare alla Commissione Europea (secondo quanto previsto dal Trattato di adesione al termine del primo biennio) la decisione di continuare ad avvalersi del regime transitorio in materia di libera circolazione dei lavoratori subordinati, provenienti da otto dei dieci paesi di nuova adesione all’Unione europea (con esclusione di Cipro e Malta) per un ulteriore periodo di tre anni, quindi dal 1 maggio 2006 al 30 aprile 2009.

La circolare del Ministero del Lavoro conferma quindi la piena operatività delle istruzioni impartite col decreto flussi del 14 febbraio scorso in materia di circolazione dei lavoratori neocomunitari.

Pare qui opportuno precisare ancora una volta che il regime transitorio riguarda solo coloro che intendono svolgere in Italia un rapporto di lavoro subordinato e non coloro che intendono entrare in Italia per svolgere attività di lavoro autonomo oppure di studio.
Esempio pratico – Nel caso si intenda svolgere attività di lavoro autonomo, non è necessario utilizzare il decreto flussi. Tuttavia abbiamo potuto constatare che l’autorità di polizia, in occasione di rilascio della autorizzazione, si riserva pur sempre la facoltà di verificare se si tratta veramente di un’attività di lavoro autonomo o se si tratta di una simulazione. Questo è un caso che si può verificare anche con una certa frequenza nell’ipotesi di attività di lavoro che sono formalmente autonome, in base allo schema legale di contratto, ma che spesso mascherano una attività di lavoro a carattere subordinato. Ci si riferisce in particolare all’utilizzo disinvolto che di frequente si verifica nel caso di contratti di collaborazione a progetto.

Il contratto di collaborazione a progetto
Sappiamo che questo tipo di contratto, dal punto di vista strettamente legale, è un contratto di lavoro autonomo. Ma sappiamo anche che spesso maschera (non di rado piuttosto malamente) una prestazione che solo formalmente è così qualificata e che in realtà viene svolta, per le sue concrete modalità di attuazione, in base alle tipiche condizioni del lavoro subordinato.
Per esempio, è ben poco credibile, risulta anzi visibilmente una simulazione, la qualificazione come contratto di collaborazione a progetto della tipica attività di un facchino. Quest’ultimo infatti normalmente lavora presso una cooperativa e tutte le mattine, ad una certa ora, si deve presentare per svolgere attività di carico e scarico assieme ad altri suoi colleghi che formano una squadra, ed è sottoposto alla direzione e al controllo, anche disciplinare, di un caporeparto sempre dipendente, o comunque collaboratore, della medesima cooperativa appaltatrice. In questi casi è chiaro che, se anche ci fosse un pezzo di carta che qualifica formalmente quella prestazione come contratto di collaborazione a progetto, dal punto di vista anche giuridico è fin troppo facile qualificare nella sua effettiva natura quel rapporto come un rapporto di lavoro subordinato.
Ricordiamo infatti che anche i soci di cooperativa, in base alla legge 3 aprile 2001 n. 142 (“Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore”, Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2001) devono regolare la prestazione lavorativa in base a uno specifico contratto individuale di lavoro che normalmente, in considerazione delle modalità di organizzazione del lavoro, dovrà essere un contratto di lavoro subordinato.
Ci permettiamo quindi di suggerire agli interessati di non percorrere scorciatoie fin troppo facili, anche perché non reggerebbe al primo controllo un eventuale permesso di soggiorno richiesto per il formale svolgimento di un’attività di lavoro autonomo che però si presentasse in tutta evidenza come un’attività di natura subordinata.
Pare peraltro opportuno ricordare che non è necessario per i lavoratori neocomunitari rimanere nel loro paese durante la procedura di autorizzazione, perché non dovranno chiedere un visto di ingresso prima di partire dallo stesso. Potranno infatti ottenere direttamente in Italia il permesso a seguito della stipula –sempre in Italia- del contratto di soggiorno sulla base della richiesta di autorizzazione che il datore di lavoro presenterà direttamente all’ Ufficio Territoriale del Governo (UTG).

Le quote
Le quote per i lavoratori neocomunitari sono messe a disposizione in numero sovrabbondante rispetto alle domande. Le quote per l’anno 2005 sono state utilizzate solo in minima parte ed è fin troppo prevedibile che anche per l’anno 2006 accadrà la stessa cosa. Questa ampia disponibilità di quote e la scarsità di utilizzo delle stesse da parte dei lavoratori neocomunitari, renderebbe del tutto superflua la utilizzazione del regime transitorio per altri tre anni da parte del Governo Italiano. Sembra che questa decisione sia più improntata all’esigenza di far apparire alla popolazione una attività di controllo molto rigoroso, in realtà assolutamente non necessario, con la conseguenza che viene addirittura alimentato un certo allarme sociale, un timore di invasione, che non ha alcuna ragione di essere perché i numeri lo dimostrano.