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“Nessuna alternativa: diritto d’asilo o barbarie”

Le Monde - Idées, 11 marzo 2016

Foto: Carmen Sabello, #overthefortress nel campo di Idomeni, aprile 2016

Noi, cittadini dei paesi membri dell’Unione Europea, della zona Schengen, dei Balcani e del Mediterraneo, del Medio-Oriente e di altre regioni del mondo che condividiamo le stesse preoccupazioni, lanciamo un appello urgente ai nostri concittadini, ai nostri governanti e ai nostri rappresentanti nelle assemblee parlamentari nazionali e al Parlamento Europeo, così come alla Corte Europea dei diritti dell’uomo e all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

Sono anni che i migranti del Sud del Mediterraneo in fuga dalla miseria, dalla guerra e dalla repressione, annegano in mare o trovano recinzioni che sbarrano loro il cammino per passare la frontiera. Quando, dopo essere stati taglieggiati dalle filiere dei trafficanti, riescono finalmente a compiere la traversata, sono respinti, incarcerati o ricacciati nella clandestinità da Stati che li definiscono comodamente come “pericoli” e “nemici”. Eppure, coraggiosamente, si ostinano e si aiutano a vicenda per salvarsi la vita e ritrovare la speranza di un futuro.

Ma da quando le guerre in Medio-Oriente e soprattutto in Siria hanno assunto le proporzioni di un massacro di massa senza una fine prevedibile, la situazione è peggiorata. Ci sono intere popolazioni che, ritrovandosi bloccate tra i fuochi dei belligeranti, bombardate, affamate, terrorizzate, sono costrette a un pericoloso esodo. Al prezzo di migliaia di morti supplementari, uomini, donne e bambini si muovono verso i paesi vicini e vengono a bussare alle porte dell’Europa.

Governi reticenti

L’incapacità dei governi di tutti i nostri paesi di mettere fine alle cause dell’esodo (quando non contribuiscono ad aggravarle) non li esonera dal dovere di soccorrere e accogliere i rifugiati rispettando i loro diritti fondamentali, che sono sanciti, insieme al diritto d’asilo, nelle dichiarazioni e nelle convenzioni che fondano il diritto internazionale.
Tuttavia, tranne qualche eccezione – l’esemplare iniziativa della Germania, al momento non ancora sospesa, di aprire le porte ai rifugiati siriani; il gigantesco sforzo della Grecia per salvare, accogliere e scortare le migliaia di superstiti che ogni giorno approdano sulle sue rive, nonostante la sua economia stia affondando sotto il giogo di un’austerità devastante; la buona volontà dimostrata dal Portogallo di raccogliere una parte dei rifugiati che stazionano in Grecia – i governi europei si sono rifiutati di prendere le misure della situazione per spiegarla all’opinione pubblica e organizzare iniziative di solidarietà che superino gli egoismi nazionali. Al contrario, da est a ovest e da nord a sud, hanno respinto il piano minimo di ripartizione dei rifugiati elaborato dalla Commissione, quando non si sono prodigati nel sabotarlo. Ancora peggio, si sono impegnati nella repressione, nella stigmatizzazione e in comportamenti brutali verso alcuni rifugiati e i migranti in generale. La situazione della “giungla” di Calais – che in questo momento viene smantellata con la forza, a dispetto della lettera e dello spirito di una decisione di giustizia – ne è un esempio scandaloso, ma non l’unico.

Gli aiuti cittadini

Per contrasto, sono i semplici cittadini dell’Europa e di altre parti del mondo a salvare l’onore e mostrare la via per una soluzione: i pescatori e gli abitanti di Lampedusa e di Lesbo, i militanti delle associazioni di soccorso ai rifugiati e delle reti di sostegno ai migranti, le case di accoglienza laiche o religiose e gli artisti e gli intellettuali che danno risonanza a queste iniziative. Tutti loro si scontrano tuttavia con l’insufficienza dei mezzi, con l’ostilità – a volte violenta – dei poteri pubblici e devono affrontare, come gli stessi rifugiati e migranti, il rapido sviluppo di un fronte europeo xenofobo, che va da organizzazioni violente, apertamente razziste o neo-fasciste, a leader politici “rispettabili” e governi sempre più invasi dall’autoritarismo, dal nazionalismo e dalla demagogia. Esistono ormai due Europe, totalmente incompatibili, che stanno una di fronte all’altra, tra le quali bisogna scegliere.

Dei 60 milioni di rifugiati che ci sono al mondo, il Libano e la Giordania ne accolgono un milione ciascuno (rispettivamente il 20% e il 12% della loro popolazione), la Turchia 2 milioni (3%). Il milione di rifugiati arrivati nel 2015 in Europa (una delle più ricche regioni del mondo, nonostante la crisi), non rappresenta che lo 0,2% della sua popolazione! Non solo i paesi europei, tutti insieme, hanno i mezzi per accogliere i rifugiati e trattarli degnamente, ma devono farlo se vogliono continuare a vantarsi del fatto che i diritti dell’uomo sono il fondamento della loro costituzione politica. È anche nel loro interesse cominciare a ricreare, con i paesi dello spazio mediterraneo che da millenni ne condividono la storia e le eredità culturali, le condizioni di una pacificazione e di una vera sicurezza collettiva. Ed è la condizione per cui lo spettro di una nuova epoca di discriminazioni organizzate e di eliminazione degli umani “indesiderabili” può veramente sparire dal nostro orizzonte.

Nessuno può dire quando e in che misura i rifugiati torneranno “a casa”, e nessuno deve sottovalutare la difficoltà del problema da risolvere, le resistenze che genera, gli ostacoli o addirittura i rischi che comporta. Ma nessuno può nemmeno ignorare la volontà che hanno le popolazioni di accoglierli e la volontà che hanno i rifugiati di integrarsi. Nessuno ha il diritto di dichiarare il problema insolubile per potersene sottrarre. Il dovere di assistenza ai rifugiati del Medio Oriente e dell’Africa nel quadro di una situazione di eccezione deve essere proclamato dalle istituzioni a capo dell’UE e messo in atto da tutti i paesi membri. Deve essere consacrato dalle Nazioni Unite e gli Stati democratici di tutta la regione devono farne l’oggetto di un accordo permanente.
Le forze civili e militari devono essere coinvolte non per fare una guerrilla marittima contro gli “scafisti”, ma per soccorrere i migranti e fermare lo scandalo dei naufragi. È in questo quadro che bisogna eventualmente reprimere i traffici e condannare le complicità di cui beneficiano. Perché è il divieto di accesso legale che genera le pratiche mafiose e non il contrario. Il fardello dei paesi di prima accoglienza, in particolare quello che grava sulla Grecia, deve essere immediatamente alleggerito. Il loro contributo all’interesse comune deve essere riconosciuto. Il loro isolamento deve essere denunciato e trasformato in solidarietà attiva.

La zona di libera circolazione di Schengen deve essere preservata, ma gli accordi di Dublino che prevedono il respingimento dei migranti verso il paese d’ingresso devono essere sospesi e rinegoziati. L’UE deve fare pressioni sui paesi danubiani e balcanici affinché riaprano le frontiere e negoziare con la Turchia affinché cessi di usare i rifugiati come alibi politico-militare e moneta di scambio. Allo stesso tempo, tutti i rifugiati censiti come tali devono essere trasferiti con mezzi di trasporto aereo e marittimo nei paesi del “Nord” dell’Europa (che possono oggettivamente riceverli), invece che lasciarli ammassare in un piccolo paese che rischia di diventare un immenso campo di detenzione per conto dei propri vicini.

A più lungo termine, l’Europa – che si sta confrontando con una delle grandi sfide che cambiano il corso della storia dei popoli – deve elaborare un piano democraticamente controllato di aiuto ai superstiti del massacro e a coloro che li soccorrono: non solo con le quote di accoglienza, ma anche con aiuti sociali ed educativi, con la costruzione di alloggi decenti, quindi con un budget speciale e disposizioni legali che garantiscano nuovi diritti per inserire degnamente e pacificamente nelle società di accoglienza le popolazioni che lì si sono spostate.
Non ci sono alternative diverse da questa: ospitalità e diritto d’asilo, o barbarie!

Hanno firmato, tra gli altri:
Michel Agier, antropologo, EHESS; Etienne Balibar, filosofo e sociologo, Università di Paris-Ouest – Nanterre La Défense; Judith Butler, filosofa, Università della California – Berkeley; Patrice Cohen-Séat, membro della direzione nazionale del Partito Comunista; Etienne Tassin, filosofo, Università di Paris Diderot; Frieder Otto Wolf, filosofo, Libera Università di Berlino.