Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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No more apartheid. Chiudere i CIE è possibile, a Lampedusa, a Bologna, in Europa

Sembra davvero che la vergogna dei centri di detenzione amministrativa sia finalmente riuscita a rompere il velo dell’indifferenza e a conquistare l’attenzione della politica e dell’opinione pubblica.

Mentre a Bologna si condannano come violenti gli attivisti di spazi sociali e associazioni che nella giornata mondiale per i migranti sono stati aggrediti con brutalità dalle forze dell’ordine impazzite per una scritta mentre manifestavamo contro la riapertura del CIE, i sans-papiers hanno portato avanti la loro protesta estrema a Ponte Galeria, nel CIE di Bari sono insorti e a Lampedusa si è cercato di riparare allo scandalo della disinfestazione praticata sui corpi denudati dei migranti, tra i quali i superstiti del naufragio più grosso, quello del 3 ottobre.
I due giorni di protesta del deputato Chaouki, quanto mai necessari, hanno infatti portato al trasferimento degli oltre 300 migranti trattenuti da mesi nel Centro di Lampedusa, ripristinando temporaneamente il regolamento mai rispettato secondo il quale il transito nel centro paradossalmente denominato “di prima accoglienza e soccorso” dovrebbe durare solo 48 ore.

Ma se sottrarre alla carcerazione forzata i richiedenti asilo e i superstiti di un massacro è un atto dovuto, non si può certo ritenere questa misura un risultato entusiasmante, men che meno un provvedimento proporzionato all’indignazione, finalmente generale, suscitata dalla verità sui centri di accoglienza e detenzione italiani.
La vera notizia sembra piuttosto che, dopo lo scandalo del trattamento umiliante subito da uomini e donne che fuggono da guerra e miseria, il Centro di Lampedusa non è stato chiuso. Da domani continuerà a detenere altri superstiti della crudeltà delle frontiere, costretti ad attraversarle illegalmente perché l’Italia e l’Europa negano ogni percorso di viaggio regolare.
E dove sono stati trasferiti i detenuti di Lampedusa? Forse nel CARA di Mineo, dove la situazione intollerabile conduce a disperazione, finanche al suicidio, e al degrado umano (prostituzione coatta di giovani richiedenti asilo denunciata oggi su La Repubblica) con l’assoluta complicità della politica e dei maxi imprenditori dell’accoglienza umanitaria! Alcuni migranti saranno parcheggiati proprio là, nel villaggio militare di proprietà di Pizzarotti, altri nei tanti CIE ancora a regime.

E’ tempo di andare fino in fondo, scrive Melting Pot Europa, rivolgendosi alla responsabilità che il deputato Chouki si è assunto denunciando l’ipocrisia della politica tutta, incluso il suo partito che il modello Lampedusa e il paradigma dell’emergenza ha glorificato. E’ assolutamente questo il tempo di andare fino in fondo, perché il fallimento palese di quasi 20 anni di politiche xenofobe ed escludenti richiede un ripensamento radicale e complessivo, mentre le misure annunciate – certo benvenute – come il ritorno ai due mesi di reclusione e l’abolizione dell’art.10 bis provano a risarcire la dignità di cui insieme ai migranti siamo stati spogliati un po’ tutti ma sono del tutto insufficienti.

Se gennaio sarà il mese del cambiamento, come annunciano Kyenge, Letta e Renzi, deve essere un cambiamento reale: percorsi di arrivo regolari, per i richiedenti asilo e per tutti, accoglienza delle persone nei territori e nella società, e non nell’isolamento dei CARA e dell’Emergenza Nord Africa, rilascio e rinnovo dei titoli di soggiorno a tutti, rispetto del diritto di asilo, abolizione degli accordi di cooperazione/rimpatrio con i paesi terzi. Archiviazione come errore storico delle carceri etniche, dove i migranti si cuciono la bocca per essere ascoltati.

Non è utopia ma necessità, perché pretendiamo onestà di fronte ad una realtà inaccettabile. Un’altra gestione dell’immigrazione è possibile e praticabile, basta guardare alle esperienze quotidiane di spazi sociali, scuole di italiano per migranti, case dei diritti, sportelli di supporto e lotta, collettivi e associazioni di migranti e rifugiati, centri di accoglienza e ambulatori autogestiti, classi multiculturali aperte e solidali, un arcipelago di realtà impegnate dai tempi della Turco-Napolitano a contrastare le conseguenze nefaste della legislazione e della prassi dell’immigrazione. E non solo in Italia, ma in Europa e oltre.
Già a Lampedusa dal 31 gennaio al 2 febbraio saremo in centinaia a scrivere una Carta per una diversa politica dei movimenti migratori, frutto delle esperienze concrete di migliaia di realtà e punto di partenza per smantellare il regime di apartheid che comincia nei luoghi di frontiera come Lampedusa e che prosegue nelle metropoli nel cuore d’Europa. Dalle città italiane ed europee raggiungeremo gli abitanti dell’isola che rifiutano la complicità con il sistema del confine e del confinamento, per sancire innanzitutto il principio della libertà di scelta e di movimento delle persone, per poi applicarlo alla realtà, a Lampedusa ma anche a Gradisca, Ponte Galeria, Bologna (dove continueremo a batterci contro la volontà di riaprire il CIE) e in ogni situazione dove la condizione di ricatto subita dai migranti fa diventare consuetudine la precarizzazione, lo sfruttamento e l’esclusione.
Mandela non c’è più, ma la sua lotta continua a riguardarci.

#stopcieforever
Neva Cocchi, cs TPO Bologna