Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 9 ottobre 2005

«Noi, deportati dalla Libia e ignorati dall’Ue»

di Pietro Gigli

KHARTOUM AKhartoum, non lontano dall’aeroporto e dal quartiere delle ambasciate, c’è l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Lì davanti uomini donne e bambini, circa una quindicina, aspettano che qualcosa succeda e che possa così finire l’incubo iniziato un anno fa. Sono gli eritrei che il 27 agosto 2004 si sono impadroniti dell’aereo diretto ad Asmara sul quale erano stati imbarcati, privati dei documenti e dei soldi, con la forza, a Kufra in Libia. Sopra il cielo di Khartoum hanno costretto il pilota ad atterrare. Non volevano assolutamente ritornare ad Asmara, dove li aspettava la prigione, la tortura e forse per alcuni la pena di morte. Sono uomini e donne scappati dall’Eritrea per non fare il servizio militare, considerati dalle autorità del loro paese a tutti gli effetti dei disertori. Scappano in tanti dall’Eritrea anche per sfuggire alle retate che li portano ai campi di lavoro forzato; se non fuggono, molti rimangono nascosti dentro le case, anche per anni, soprattutto le donne. Se si tenta di sottrarsi c’è anche la fucilazione. Con alcuni operatori umanitari li raggiungo nel posto dove bivaccano, a ridosso del muro di cinta del quartier generale dell’Unhcr.

«Niente nomi, mi raccomando»

Un fragile muro di teli stesi difende la loro quotidianità. Paura e diffidenza sono le prime reazioni alla nostra presenza. In modo confuso e pieno di reticenze iniziano però a raccontare la loro odissea. «Niente nomi- impauriti, si raccomandano in continuazione -. In quell’aereo eravamo in 75, uomini, donne di cui due incinte e sei bambini. 15 di noi sono stati arrestati pochi giorni dopo lo sbarco a Khartoum e condannati a 5 anni di prigione per aver dirottato l’aereo, uno è scomparso senza lasciare tracce. A settembre, dopo l’intervista con i funzionari dell’Unhcr, ci è stato riconosciuto lo status di rifugiati con la promessa di una soluzione durevole e definitiva in paesi terzi.

Ma nulla di tutto ciò è avvenuto, ed oggi, ad un anno di distanza ci troviamo abbandonati con un futuro incerto e con l’incubo di essere rimandati in Eritrea. Infatti alla fine di maggio di quest’anno l’Unhcr ci ha detto che non si occuperà più di noi. Loro se ne lavano le mani e oggi è il governo del Sudan il solo responsabile delle nostre vite. Quello che vogliamo è poter vivere una vita sicura e normale».

Si sentono degli ostaggi senza sbocco, senza mezzo di sussistenza, senza interlocutori. Non hanno diritto neppure alle cure mediche. Si soccorrono tra loro come possono anche le donne, anche i bambini. All’inizio non tutti si conoscevano; alcuni erano stati presi al mercato di Tripoli; altri erano stati «liberati» dopo mesi passati nei campi di accoglienza. Ora condividono lo stesso destino, accomunati da un unico desiderio, quello di approdare in Occidente. Mentre si preparano a passare l’ennesima notte presidiando il bivacco con le poche cose necessarie alla sopravvivenza, in un’altra parte della città, altri eritrei si preparano ad affrontare il viaggio verso Nord con il miraggio dell’Europa.

Da Omdurman, di fronte a Khartum dove il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco si incontrano, partono convogli di camion o di due o più Land Cruiser; i gruppi sono chiusi, chi gestisce e organizza le spedizioni è conosciuto solo da pochi fidati. Le macchine sono stipate all’inverosimile, guidate da autisti libici che conoscono bene le piste del deserto. Il prezzo del passaggio è di 300 dollari a testa, a cui si aggiungono altri 100 dollari da pagare ai poliziotti all’entrata in Libia oltre ai vari pedaggi ad ogni posto di blocco nel tratto sudanese. In più, secondo le più recenti disposizioni libiche, ognuno deve possedere una somma pari a 300 euro. La meta è l’oasi di Kufra, che nel migliore dei casi viene raggiunta dopo 5 giorni di viaggio. Poi si prosegue per Bengasi e per Tripoli e infine il porto di Zuwarah.

Da qui dopo un tempo incalcolabile si affronta l’ultima parte del viaggio: la rischiosissima traversata del Mediterraneo fino alle coste italiane. I soldi che servono (solo la traversate in mare sfiora i 1500 dollari a persona) vengono nascosti nei posti più impensati, ma il rischio di essere derubati in ogni momento del viaggio rimane molto alto cosicché spesso qualcuno nella città di partenza si incarica di «passare» il denaro a un agente in Libia.

Gli oppositori eritrei di Khartoum

Il trasferimento di denaro tra il Sudan e la Libia è oggi illegale; l’operazione deve essere perciò concordata in anticipo, fissando il breve lasso di tempo in cui si deve effettuare così da evitare di essere scoperti. Quanto alla parte precedente del tragitto, gli etiopi e gli eritrei arrivano in Sudan lungo la rotta più sicura, passano da Gondar: evitano Kassala, che sarebbe molto più accessibile, perché il confine tra Sudan e Eritrea è attualmente chiuso e tra i due paesi soffiano venti di guerra. Per la maggior parte sono cristiani che non hanno mai visto di buon occhio la secessione dell’Eritrea dall’Etiopia. Vengono accolti in Sudan da eritrei islamici che si oppongono al regime di Isaias Afewerki e che per prima cosa consegnano ai nuovi arrivati una tessera di iscrizione al loro partito con l’obiettivo di ingrossarne le fila almeno sulla carta.

Una storia a parte dovrebbe essere scritta per le donne che le famiglie cercano con tutti i mezzi di mettere in salvo da una vita di continue violenze tra reiterati stati d’emergenza e appelli alla mobilitazione. Quando arrivano in Sudan devono al più presto trovare e pagare una «protezione» maschile per poter chiedere e ottenere un visto o proseguire da clandestine il viaggio. Si celebrano perciò molti matrimoni tra eritree e sudanesi.

Questi emigranti possono considerarsi fortunati a differenza di quelli eritrei che risalgono invece verso Port Sudan lungo la costa o di quelli che non hanno i mezzi per continuare il viaggio e devono sostare a Khartoum, un vero e proprio crocevia per coloro che in momenti diversi sono scappati da Chad, Uganda ed Etiopia, o peggio ancora come il gruppo accampato davanti all’Unhcr che rischia di essere scambiato, qualora i rapporti tra Sudan ed Eritrea migliorassero, con i ribelli del Beja congress che operano al confine con l’Eritrea nella zona di Kassala rivendicando una maggiore autonomia dal governo di Khartoum.