Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da La Nuova di Venezia e Mestre del 24 maggio 2006

Noi, le voci del mondo di domani

La storia di sei ragazzi stranieri arrivati a Mestre da diversi Paesi diventa un reportage sull’integrazione possibile

La scuola è un passaporto, apre le porte di una nuova realtà

Ci siamo ritrovati in Italia così, da una mattina all’altra, trascinandoci dietro solo ricordi. Ricordi di amici, di giochi, di compagni di classe, di strade, di tradizioni. Catapultati di colpo in un altro mondo, tra facce sconosciute, nuovi modi di pensare, di vestire, di parlare. Con la paura di dover cominciare tutto da capo e l’ansia di farci accettare. Ma Mestre, la scuola mestrina, ha saputo accoglierci con lo spirito della grande città.
Questi siamo noi: ci presentiamo.

Lin Lin Ho 16 anni, sono cinese. Ho iniziato la scuola dopo cinque mesi dal mio arrivo a Mestre e i primi tempi è stata davvero dura. Quando sono entrato in classe, mi sono trovato spesato, imbarazzato, volevo scappare. Venti facce che mi guardavano. Anche io osservavo i miei compagni: mi sembravano tutti uguali, non trovavo differenza fra maschi e femmine. Proprio così. Poi ho saputo che anche per gli italiani noi cinesi siamo tutti identici fisicamente. Con il passare del tempo, dei giorni, ho cominciato a fare qualche conoscenza, tanto che ora posso dire con orgoglio di avere almeno tre amici italiani. Qui, la cosa che più mi ha stupito è vedere che in classe i ragazzi chiacchierano fra di loro, parlano anche durante la lezione. In Cina, questo non succede: il professore se vede che uno apre bocca mentre lui fa lezione, gli percuote le mani con una bacchetta.

Muntasir. Ho 14 anni e sono bangladeshe. Non conoscevo una parola di italiano, non capivo nulla. Per fortuna so almeno l’inglese. Ero l’unico straniero in classe e molti miei compagni, i primi mesi, mi hanno trattato con una certa diffidenza. Mi chiedevano se avevo fatto i compiti, erano convinti che io non avessi voglia di fare niente. Poi però è arrivato un altro straniero, Ronnie, e siamo diventati amici: questo mi ha aiutato. All’inizio ho avuto più di qualche difficoltà di inserimento. Il mio modo di vestire, di esprimermi, di fare, faceva ridere tutti e questo non mi piaceva. Poi, a poco a poco, ho imparato ad essere come loro. Anche se non mi va come si comportano: si prendono continuamente in giro, si offendono a vicenda. Questo non rientra nella mia cultura. Credo che dovrebbero imparare ad accettarsi.

Ronnie. Ho 15 anni, sono domenicano. Appena entrato in classe, il professore ha detto ai miei compagni di presentarsi. Una volta terminato l’elenco, non mi ricordavo un nome che fosse uno. Così, per richiamare l’attenzione, fischiavo, oppure tiravo un calcio alla sedia. I primi veri problemi sono arrivati dopo qualche settimana. Il professore ha scritto una comunicazione nel diario e ha convocato mia madre. Ci siamo ritrovati tutti e tre un mercoledì nell’aula insegnanti: io, mia madre e il professore. Quest’ultimo in pratica ha detto che non ero in grado di affrontare la terza media. Così mi hanno inserito in seconda, con mia grande tristezza, sia perché avevo gia perso due anni di scuola sia perché mi dispiaceva lasciare i miei compagni anche se li avevo conosciuti da poco. Invece, la nuova classe mi ha accolto con un «benvenuto» sulla lavagna e questo mi ha riempito di gioia.

Ling. Sono cinese, ho 18 anni e mi ricordo come fosse oggi il mio primo giorno di scuola. Era il febbraio del 2003, mi hanno messa in seconda media. I compagni di classe sono stati molto gentili e mi hanno offerto un sacco di caramelle con i gusti più diversi. Erano buonissime. Poi, mi hanno insegnato la prima frase in italiano: «Ciao, mi chiamo Chen Xiaoling». E’ stato molto divertente. Purtroppo sono stata solo un giorno con loro, perché già dal giorno seguente il preside mi ha messo in terza media, visto che c’era un’altra ragazza cinese in quella classe: mi poteva aiutare e potevamo fare anche amicizia. Non mi sentivo a mio agio ed ero dispiaciuta che mi avessero già separato dai miei amici di seconda. Poi, però, non ho fatto difficoltà a integrarmi anche lì.

Daniela. Ho 17 anni e sono moldava. All’inizio è stato molto difficile. Ero l’unica alunna straniera in classe. Ero spaesata, pensavo di non farcela, volevo tornare al mio Paese. Ero timida, non riuscivo a dire una parola d’italiano, non potevo rispondere alle domande dei compagni. Poi, con il tempo è nata qualche amicizia, ho cominciato a uscire. Sono stati proprio gli amici a farmi perdere la timidezza e a farmi imparare l’italiano, anche se ho avuto molti problemi nell’uso dei verbi. Adesso mi sento davvero una cittadina italomoldava. Razzismo? Neppure l’ombra.

Sabrina. Ho 14 anni, sono italiana e mia mamma è algerina. Non ho avuto alcun problema, neppure per la religione. Sono musulmana, ma nessuno mi ha mai fatto sentire a disagio; nessuno mi ha mai preso in giro».