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Da Carta del 27 febbraio 2008

«Nomadi perché sgomberati». Occupazione rom a Roma

Da due settimane, una comunità Rom di sessanta persone ha occupato un capannone dimesso nella periferia romana, in via delle Cave di Pietralata. Provenienti dalla Romania e residenti in Italia da dieci anni, questi uomini, queste donne e i loro figli hanno cercato di dare una risposta all’esigenza di un’abitazione dignitosa: prima che in questo capannone abbandonato, vivevano a poche centinaia di metri, subito dopo la fermata della linea metropolitana B Quintiliani, in una zona che sembra essere rurale, ma in realtà si è vicinissimi alla stazione Tiburtina, e poi c’è subito San Lorenzo, l’università, il centro storico con i resti romani.

Questa comunità, dopo aver subito altri sgomberi in diverse zone della capitale, da circa due anni stava, in un campo abusivo, con le baracche costruite con i materiali di fortuna rimediati tra i rifiuti dell’abbondanza e del consumismo di Roma. Ma anche il campo di Quintiliani, come decine di altre soluzioni di fortuna in cui abitavano tante altre comunità e gruppi, nel 2007 avrebbe dovuto essere sgomberato. Poco prima di Natale, prima i vigili urbani [con modi gentili], poi i carabinieri [con modi molto meno gentili] hanno avvertito che il campo di Quintiliani sarebbe stato distrutto: le famiglie che lì avevano dimora avrebbero di conseguenza perduto tutto, innanzitutto il loro ricovero di fortuna.
La comunità non è rimasta ad aspettare: dopo aver contattato le associazioni locali e il Cantiere della sinistra del Municipio V, i Rom hanno cercato altre soluzioni che avrebbero loro permesso di continuare la vita il più possibile normalmente. Da questo incontro, è nata la richiesta di moratoria cittadina degli sgomberi almeno per il periodo di Natale, a cui ha dato risposta positiva il prefetto Carlo Mosca. Una vittoria politica non secondaria, dato che Roma ha avuto, per tutto lo scorso anno, praticamente uno sgombero a settimana, mettendo letteralmente sulla strada migliaia di persone che secondo il dimissionario sindaco Veltroni, costituivano degrado e abbandono per la città, soprattutto dopo l’omicidio di Giovanna Reggiani, opportunisticamente utilizzato per giustificare la messa al bando di tanta gente.

La comunità Rom era comunque sotto pericolo di sgombero: in modo autonomo, chiedendo sostegno a persone e associazioni di cui si fidava, ha individuato un posto dove potevano trovare riparo. E’ nata così l’occupazione di un capannone a Pietralata, avvenuta la notte del 14 febbraio. Mentre si festeggiava San Valentino, trenta donne, uomini e bambini si sono silenziosamente introdotti in un grande piazzale, dove sorge il fabbricato abbandonato da anni. Quest’area, di proprietà pubblica, è interessata ai prossimi lavori dello Sdo [il Sistema direzionale orientale], che trasformeranno presto questa parte di Roma; dove ora c’è il capannone e il grande spiazzo, dovrebbe essere fatta un’area verde, sicuramente necessaria in questa zona sovraffollata della città. Un’occupazione temporanea, quindi, non risolutiva, ma che garantisce almeno un tetto a tutta la comunità, essendo stato distrutto nel frattempo il campo.

Seppur non definitiva, la soluzione del capannone è però resa al meglio: la prima mattina dell’occupazione, le donne hanno subito iniziato a pulire il grande cortile, mentre gli uomini rimuovevano le erbacce che crescevano rigogliose. In un angolo del piazzale, vecchi mobili, sacchi di spazzatura, sterpaglie aspettano di essere rimossi, e ogni giorno i Rom rendono lo stabile più curato, con i segni della presenza delle famiglie: i panni stesi al sole, i giochi dei bambini, un tavolo pronto per essere apparecchiato, le sedie in circolo per fare una chiacchierata. I Rom sanno di non essere ben accettati, già hanno provato nella loro esistenza il sospetto, la cacciata: come dice Decibel, un esponente della comunità, «non so cosa vuol dire zingaro; so che siamo nomadi perché veniamo sempre sgomberati, dobbiamo sempre andare via. Vogliamo vivere una vita normale, come tutti gli altri».

L’occupazione di un’area da parte di una comunità rom, costituisce nella capitale una grande novità, dato che finora, a parte la costruzione di campi abusivi in zone marginali, i rom dipendono quasi completamente dalle associazioni per la loro quotidianità difficile. Forse per la prima volta nella capitale, si sono autorganizzati e hanno richiesto alla città, alle istituzioni, ai gagé [i non rom] una soluzione abitativa dignitosa, a cui hanno diritto tutti gli esseri umani. Forse per distrazione, il riconoscimento di questa priorità non è dato, in Italia, alle famiglie Rom: in questa esperienza, la comunità è sostenuta dai partiti della Sinistra arcobaleno, dalle associazioni [tra cui l’Arci immigrazione], ma l’occupazione ha avuto, per la prima settimana, controlli quotidiani dei vigili urbani, della polizia e dei carabinieri.

Alcuni cittadini della zona hanno sollecitato l’intervento delle forze dell’ordine, ma senza che ci sia stato alcun tipo di problema reale. Un’occupazione fa generalmente paura, un’occupazione da parte di Rom può arrivare a creare psicosi collettive. Per ora, la situazione prosegue: l’obiettivo è individuare uno stabile che queste persone possano, autonomamente, recuperare e rendere abitabile. Le capacità le hanno: tra di loro, ci sono diversi muratori, e una casa, per quanto distrutta, è sempre meglio di una baracca. Insomma, questa potrebbe essere davvero la giusta occasione per far partire un tavolo di confronto tra istituzioni locali, associazioni e comunità migranti per rendere partecipe chi il territorio già lo vive, ma non ha di fatto diritti perché migrante.

Cristina Formica