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Nomadi senza radici in viaggio verso casa. Un libro sulle “tattiche mediali per abitare lo spazio”

Viviamo l’era della mobilità come principale fattore di stratificazione sociale, viviamo il tempo delle comunità diasporiche, dei cervelli in fuga, delle migrazioni di milioni di lavoratori e rifugiati politici in tutto il mondo. Eppure, la vecchia frase di de Montaigne sembra avere senso oggi più che mai: “la maggior parte di chi viaggia, viaggia per tornare a casa”.
Ed è soprattutto questo desiderio di tornare a casa che il libro di Tiziano Bonini racconta e descrive nelle sfumature più intime. Come accade di fronte alle opere piene di significato, leggendo questo testo in molti avranno la possibilità di riconoscervi dentro qualcosa di personale, come ritrovando una sensazione già percepita che però non si era riusciti a spiegare prima, altrettanto efficacemente, né a se stessi né agli altri.
“Così lontano, così vicino”, questo testo che cita uno dei più bei film del Novecento scegliendolo come titolo, parla a una grande parte degli abitanti di questo mondo, raccontando una storia che può appartenere a ciascuno di essi.
Turisti, vagabondi, richiedenti asilo, lavoratori temporaneamente altrove, emigrati di seconda generazione, manager con la valigia sempre pronta o “vite senza fissa dimora”. Viaggiatori che seguono regole del viaggio e percorsi molto diversi, alcuni pagati per spostarsi, altri “non autorizzati” a farlo e perseguitati, detenuti o deportati proprio per averlo fatto.
Tutti uniti, però, pur all’interno di diverse gradazioni di estraneità rispetto alla realtà circostante, dallo stesso spaesamento, dallo stesso bisogno di ricreare le condizioni della propria casa perduta per un periodo o per sempre.
E che la casa non è soltanto Home ma anche Heimat, che non è solo sfera privata ma anche pubblica perché costruita su valori comunitari, tutti i viaggiatori lo sanno meglio di chiunque altro. Dopo avere approfondito tutte le diverse sfumature e i diversi significati moderni e contemporanei del concetto di “casa”, Bonini è stato capace di condurre al contempo un’analisi scientifica e una rassegna “sentimentale” di quelli che sono oggi i principali strumenti per abitare lo spazio controllandolo: I media che, come gli angeli di Wim Wenders, sono “messaggeri che portano la parola a coloro che chiedono”.
E la storia di questi angeli contemporanei è ripercorsa dall’apparizione delle prime radio fino alle loro versioni più recenti, seguendo l’evoluzione di tutte le loro funzioni e ricorrendo costantemente alla suggestione di personaggi e immagini che rappresentano in vario modo la sospensione forzata o voluta del tempo e dello spazio e il tentativo di superare questa sospensione. Da Baudelaire ad Arendt, da Benjamin a Pavese – che chissà come sarebbe stata la loro vita con una connessione internet permanente e un Ipod da tenere con sé – alle mille narrazioni di chi oggi si trova, per un motivo o per un altro, a sentirsi straniero ed estraneo e a cercare, almeno per un momento, di ritrovare il proprio posto nel mondo.
Seguendo tante e diverse storie di vita raccolte dagli Stati Uniti ai condomini milanesi e ai mercati di Palermo, e intrecciandole con ricerche antropologiche e sociologiche, e con una profonda conoscenza delle tattiche mediali del contemporaneo, Bonini rende visibile la membrana magica e fragile dentro cui chi è lontano ricostruisce una parte di sé utilizzando i media per tornare a casa, per restare a casa. Si può colmare così, almeno in parte, e persino nelle storie più difficili di emigrazione contemporanea, quella doppia assenza che Sayad aveva così bene descritto e che forse oggi, effettivamente, le nuove tecnologie rendono meno insopportabile.

Questo libro, infine, ha il grande pregio contribuire a rovesciare alcuni stereotipi oggi estremamente diffusi. Abituati ad ascoltare il racconto delle migrazioni nei discorsi ufficiali dei media mainstream, impariamo infatti dalle sue pagine che esiste anche una realtà ribaltata che è una vera e propria strategia di resistenza. Sono i migranti, almeno con la stessa intensità con cui vengono usati dai media per scopi politici e di propaganda, ad avere fatto di essi il loro strumento per addomesticare una realtà difficile, attraverso il gioco del “facciamo come se” io fossi a casa, o “facciamo come se” la mia vita fosse esattamente quella che sto raccontando. Sono loro che, utilizzando i media, stanno riscrivendo una storia parallela a quella ufficiale, fatta di “tante piccole contro-narrazioni, come rivoli d’acqua che scorrono e si ingrossano nei blog, lungo i fili di skype, tra le maglie di gmail e generano un rumore di fondo (buzz) che lentamente si arricchisce e si trasforma in microsfere pubbliche alternative”.

Seguendo questo ribaltamento, è un vero piacere lasciarsi trasportare dall’incanto che l’autore prova di fronte al miracolo di una distanza annullata in un secondo soltanto, di un inganno voluto e condiviso, di una voce e di un’immagine che arrivano da lontano e “alzano la temperatura” circostante, ricostruendo il calore di casa.