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da Il Manifesto del 11 gennaio 2006

Non ha colpe, cinque volte in un cpt

PALERMO – Quando i carabinieri gli sono andati incontro, Alì Janizirdhei ha abbandonato il suo banchetto ambulante, pensando di tornare su quel pezzo di marciapiede, dopo aver fatto la solita trafila, prima in caserma e poi negli uffici della Questura. Questa volta, invece, è andata male. Dopo alcune ore d’attesa, Alì è stato fatto salire su un pullman, due ore di strada, fino a Pian del Lago, a Caltanissetta, dove è stato rinchiuso in uno stanzone assieme ad altre persone. «Sei un clandestino», gli hanno detto. Eppure, come ammettono gli stessi carabinieri, «Alì è una brava persona». Ma il quinto arresto, nel giro di cinque mesi, questa volta gli è stato fatale, e si è concluso dentro la cella del cpt. La storia di Alì, iraniano di 51 anni, dimostra ancora una volta il fallimento della legge Bossi-Fini e le falle di una politica per l’immigrazione che mostra il suo volto disumano. Una vicenda che mostra più di tante altre lo scollamento tra le politiche sull’immigrazione e l’ideologia che le sottende e quanto accade quotidianamente. Separato da una donna palermitana, senza figli, venditore ambulante, l’uomo, senza permesso di soggiorno ma con regolare residenza in via Giuseppe Vitale 6 a Palermo, è stato arrestato ieri per violazione della legge sulla immigrazione dai carabinieri del nucleo radiomobile, gli stessi che lo hanno fermato al altre quattro volte e che con lui hanno
stretto quasi un rapporto di amicizia. Gli stessi militari parlano dell’iraniano come di «una brava persona che non ha alcun precedente penale». Alì, spiegano i carabinieri, «ha anche provato a regolarizzarsi ma la sua domanda è stata respinta nel luglio 2002». Così, di fronte alla scelta tra il ritorno in patria con un futuro incerto o la permanenza in Italia come irregolare, Alì ha optato per la seconda.

Il primo arresto risale al 7 luglio dell’anno scorso per inosservanza di un primo decreto di espulsione dell’agosto 2004. La legge prevede che dopo ogni arresto il giudice conceda il nulla osta per l’espulsione, e così è avvenuto: dopo l’udienza di convalida Alì è stato accompagnato nell’ufficio stranieri della questura e gli è stato consegnato il decreto di espulsione. La stessa trafila è stata subita dall’uomo in occasione degli arresti successivi: il 22 luglio, il 24 ottobre e il 19 novembre, sempre del 2005. I carabinieri fanno notare che «per le difficoltà di carattere organizzativo e gli onerosi impegni economici collegati all’eventuale suo accompagnamento alla frontiera con la forza pubblica, oppure per la mancanza di posto in uno dei centri di permanenza temporanea siciliani, probabilmente Alì anche oggi potrebbe vedersi notificare il sesto decreto di espulsione con ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni». «Oppure – aggiungono – se si troverà posto in un centro di permanenza, l’iraniano sarà portato lì e vi permarrà per un tempo non superiore a sessanta giorni, trascorsi i quali senza che sia stato possibile procedere all’accompagnamento alla frontiera, sarà rilasciato con un nuovo ordine del questore di lasciare l’Italia con i propri mezzi».

Ed è proprio quello che è accaduto. Il «posto» è stato trovato nel cpt di Pian del Lago, dove Alì è rinchiuso da 24 ore. Ci rimarrà al massimo 60 giorni, come prevede la legge, poi riceverà il sesto decreto di espulsione. Ma la sua vita ormai è a Palermo, dove ad attenderlo c’è il suo banchetto e dove ci sono i suoi amici. «Questo è il paradosso della legge italiana – dice Giusto Catania, eurodeputato del Prc – Invece di tentare di regolarizzare le brave persone, la Bossi-Fini le marginalizza verso la clandestinità. Eppure questo iraniano lavora ed è benvoluto persino dalle forze dell’ordine costrette ad arrestarlo».

ALFREDO PECORARO