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Normali abusi di frontiera. Ma stavolta tocca a degli italiani subirli

Trattenuti per 12 ore in dogana a Tunisi e poi rispediti indietro

Diritti e frontiere non stanno mai dalla stessa parte della barricata. Lo imparano a proprie spese le migliaia di persone migranti che cercano rifugio in Europa e sono costretti a sottostare ad ogni genere di abusi. Ma, proprio come i diritti che o sono di tutti o non sono di nessuno, anche gli abusi quando sono tollerati finiscono per colpire anche te, che hai la pelle bianca e sei europeo, che non vieni da un Paese in guerra, che non hai mai sofferto la fame e che non sei stato costretto a scappare per disperazione. Tu, che hai avuto la fortuna di nascere dalla parte “giusta” di questa terra e che hai in tasca un passaporto valido per l’espatrio.

Andrea Garuccio, studente di Erice all’ultimo anno del corso di laurea magistrale in Cooperazione Sviluppo e Migrazioni dell’Università di Palermo, è uno di questi “fortunati”. Lo sa bene e, un pochino, se ne vergogna pure. “Se penso ai miei amici del Gambia, del Senegal, della Palestina, persone che sono passati per la Libia o da altre rotte e che hanno dovuto sopportare di tutto per arrivare in Europa, mi sento quasi in imbarazzo a riferire quanto è accaduto a me. Eppure questi comportamenti vanno comunque denunciati. Anche perché quello che hanno fatto passare a me, lo fanno passare anche ai mie amici migranti. E mentre se io vengo respinto alla frontiera torno a casa mia, in Italia, loro vengono rispediti in Paesi dove non vengono riconosciuti né diritti, né assistenza, né lavoro. O peggio ancora sono costretti a far ritorno nei luoghi in cui sono dovuti scappare per la guerra o per la fame”.

Andrea si era imbarcato verso Tunisi sabato 27 marzo. Non era una vacanza, la sua. Andrea ha vinto una borsa di studio nell’ambito del progetto Erasmus+ e stava per raggiungere l’Università El Manar della capitale tunisina e completare il secondo semestre per ottenere il Doppio Titolo di Laurea in Relazioni Internazionali. “Pensavo ingenuamente che sarei stato accolto a braccia aperte – racconta – ed invece, arrivato alla dogana tunisina, non faccio in tempo a infilare il mio bagaglio nel metal detector che la polizia mi ferma e mi porta in altro ufficio per ulteriori controlli”.

Qui, gli viene sequestrato il passaporto – che gli sarà consegnato soltanto poco prima che la nave riparta alla volta dell’Italia – e viene subissato di domande. Dove vai? Dove risiederai? Hai il biglietto di ritorno? Quanti soldi in contanti hai con te? “Io ho mostrato tutti i documenti che avevo e che mi aveva mandato l’Ufficio Internazionalizzazione in collaborazione con l’Agenzia Nazionale Indire che gestisce il canale Erasmus+, ma per loro era solo carta straccia. Avrei dovuto fermarmi Tunisi sino a fine luglio. Che senso aveva fare il biglietto di ritorno adesso? E va bene, mi sono detto. Ho fatto il biglietto col cellulare davanti ai loro occhi. Ma ancora non andava bene. Ho chiamato il mio docente dell’Università El Manar che ha garantito per me… ma niente da fare. Mi hanno tenuto per 12 ore in dogana e poi mi hanno rispedito a casa”.

A condividere la brutta avventura con Andrea c’erano altre sette persone, tutti sbarcati dalla stessa nave: quattro italiani, due olandesi e un argentino. “Tra gli italiani c’era una donna incinta in condizioni precarie di salute. Era di origine tunisina e sposata con un italiano. Piangeva disperata ed è stata trattata ugualmente in modo disumano. Se molti progetti umanitari prevedono e garantiscono il ricongiungimento familiare, davanti ai miei occhi si stava consumando una separazione arbitraria, senza nessun motivo. Ci sono volute quattro ore prima che le permettessero di sedersi”.

Ti è sembrato che cercassero di spillarvi qualche banconota? “Io avevo 600 euro con me. L’ho dichiarato quando me lo hanno chiesto ma, sinceramente, non mi è sembrato che volessero derubarmi. Al signore argentino invece, che ha dichiarato un migliaio di euro, ne hanno espressamente chiesti 500. Lui però non ha pagato”.

Alla fine, il nostro Andrea è stato l’unico ad essere respinto. “Gli olandesi avevano un appuntamento col ministro del turismo ed è dovuto intervenire lui in persona per farli sbarcare. Gli altri sono riusciti a passare dopo quell’assurdo fermo di 12 ore. C’è chi ha dovuto fare una prenotazione di 600 euro in Hotel anche se ad attenderlo aveva la famiglia ed una casa dove avrebbe risieduto. Perché io sia stato costretto a tornare in nave, non lo so e non me lo hanno voluto dire”.

Anche il ritorno non è stato dei più felici. La nave Catania della Grimaldi ha fatto scalo a Salerno e lo studente ha dovuto rimanere a bordo 4 giorni, prima di rincasare a Palermo.

“Per fortuna, il personale della Grimaldi è stato gentilissimo con me e mi ha aiutato in tutti i modi, ed anche di più di quanto avrebbero dovuto ad esempio fornendomi supporto nella traduzione con la dogana e provando a convincerli in tutti i modi che fossi uno studente, stampa degli ulteriori documenti richiesti, internet, ma fondamentale è stato il calore e la solidarietà umana che ci uniscono in questi casi di sofferenza che potrebbero essere benissimo evitati. Sono stato ospite per i restanti giorni del commissario Claudio Ferrara che con la sua crew mi hanno fornito anche una cabina vista mare. Non ho dovuto sborsare altri soldi per tutto ciò. Ma per me stata comunque una perdita e non solo di tempo. Non potendo partecipare alle lezioni universitarie a Tunisi, la mia borsa di studio ne risentirà”.

Cosa farai adesso? “Credo che ritenterò di raggiungere la Tunisia per concludere i miei studi. Una volta passata la rabbia per l’ingiustizia che ho subito, sono convinto che questa brutta avventura, alla fin fine, mi abbia insegnato molte cose. Che le frontiere siano luoghi dove i diritti sono sospesi, ad esempio. Non è bello né semplice rimanere alle disposizioni di istituzioni straniere che non sai mai di preciso cosa vogliono. Capisco che queste misure sono altresì inasprite dalla confusione delle attuazioni delle restrizioni dovute alla pandemia in corso. Comunque è chiaro che tra il Governo tunisino e chi si trova ad implementare le sue leggi c’è un gap evidente. In questo spazio comunque ci sono individui che potrebbero non perdere l’entusiasmo con i quali si spostano in questi momenti difficili. O che i soprusi non capitano solo ai più disperati e che vanno sempre e comunque denunciati e combattuti”.

Proprio per questo Andrea Garuccio e gli altri colleghi di sventura hanno deciso di fare rete ed attivare una email – [email protected] – dedicata a chi è convinto di aver subito ingiustizie ed abbia voglia di raccontare la sua esperienza nelle zone di frontiera.

Riccardo Bottazzo

Sono un giornalista professionista.
La mia formazione scientifica mi ha portato a occuparmi di ambiente e, da qui, a questioni sociali che alle devastazioni dei territori sono intrinsecamente legate. Ho pubblicato una decina di libri tra i quali “Le isole dei sogni impossibili”, edito da Il Frangente, sulle micronazioni dei mari, e “Disarmati”, edito da Altreconomia, che racconta le vice de dei Paesi che hanno rinunciato alle forze armate. Attualmente collaboro a varie testate cartacee e online come Il Manifesto, Global Project, FrontiereNews e altro.
Per Melting Pot curo la  rubrica Voci dal Sud.