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Nuovi Cie – La lista non è pubblica. La Regione Marche si dichiara contraria

Ne parliamo con l'Avv. Paolo Cognini dell'Ambasciata dei Diritti delle Marche

Dopo il prolungamento dei tempi di detenzione nei Cie il governo tentenna a rendere pubblica la lista dei siti individuati per la realizzazione dei nuovi centri di detenzione annunciata ormai da mesi che dovrebbe portare la capienza complessiva delle strutture dai circa 1.200 posti attuali a quasi il quadruplo. Se da un lato la crisi propone il tema delle migrazioni come facile terreno sul quale individuare la figura del nemico pubblico, dall’altro, lo stesso scenario, propone esperienze di difesa del futuro dei territori e di rifiuto di trasformare gli stessi in grandi prigioni come ha evidenziato la battaglia degli abitanti di Lampedusa. Già nei giorni scorsi la Regione Marche, con un comunicato diffuso dalla Giunta regionale, ha annunciato di non voler accettare la costruzione di un Cie a Falconara.

Con l’Avv. Paolo Cognini, dell’Ambasciata dei Diritti delle Marche abbiamo discusso di nuovi Cie, di resistenze delle comunità e degli enti locali, e delle nuove norme proposte e approvate da parte del Governo in tema di sicurezza.

D: Il Governo si prepara alla costruzione di nuovi Cie ma sia da parte degli abitanti che da parte degli enti locali, nei diversi territori individuati (anche se non è pubblica la lista ufficiale) si annunciano dissidenze e si evidenzia l’indisponibilità ad accettare questa imposizione. La Regione Marche su tutte ha già reso pubblica nel corso degli anni e poi in questi giorni la sua posizione contraria. Cosa sta accadendo?

R: Intanto consideriamo che l’individuazione di queste nuove sedi per i Centri di Identificazione ed Espulsione avviene contestualmente all’entrata in vigore del decreto legge con il quale, tra le altre cose, si allungano i tempi di mantenimento all’interno dei Cie per migranti fermati in stato di irregolarità. Quindi si tratta di una scelta che interviene in un contesto normativo già ulteriormente peggiorato con il ricorso allo strumento del decreto legge.
Per quanto riguarda le Marche possiamo dire che già da molto tempo stiamo lavorando contro qualsiasi ipotesi di costruzione di un centro di detenzione nel nostro territorio e che già diversi anni fa, attraverso alcune iniziative messe in campo, eravamo riusciti ad ottenere una presa di posizione formale della Regione contro qualsiasi ipotesi di realizzazione di Cpt (al tempo era questa la denominazione) nel territorio marchigiano. Una presa di posizione, questa, che fu frutto di un’ azione di occupazione di una sede regionale, quindi molto evidente e rilevante da questo punto di vista.
La Regione Marche ha poi successivamente ribadito questa stessa posizione quando vi fu un primo tentativo di individuare nella città di Corridonia il sito per la realizzazione di un Cpt. Anche in quell’occasione fu una iniziativa di movimento ad interrompere il progetto, con il blocco delle attività del Consiglio Comunale che doveva deliberare la variante al piano regolatore per consentire la realizzazione della struttura. Proprio di recente poi è stato aperto un tavolo con le associazioni, a livello regionale, per riformulare la normativa regionale in materia di immigrazione.
In quella sede ci siamo fatti promotori di una proposta di modifica che contiene tra le altre cose un articolo specifico riferito ai centri di permanenza temporanea.

Il testo, che avevo contribuito ad elaborare, dice espressamente che : la regione, nell’ambito delle proprie competenze ricorre ad ogni strumento riconosciutole dall’ordinamento ed esercita ogni facoltà e potere riservatole dalla costituzione e dalla legge al fine di evitare la realizzazione nel territorio regionale di centri di identificazione ed espulsione o comunque di centri di detenzione per migranti nei quali lo stato di reclusione e la limitazione delle libertà personali siano disposte al di fuori del medesimo quadro di garanzie previsto a tutela dei cittadini italiani.

E’ una formulazione questa un po’ artificiosa ed elaborata perchè finalizzata ad entrare in un testo legge, che però lancia un messaggio chiaro.
Questo testo di legge è stato approvato dalla giunta regionale e proprio in questi giorni sta per essere sottoposto al Consiglio per l’approvazione, dove ovvio non mancheranno le difficoltà.

Rispetto alla notizia salita alla ribalta delle cronache in questi giorni, quella dell’individuazione di un’ area per la costruzione di un Cie a Falconara, immediatamente c’è stata una nuova presa di posizione dell’ Assessore all’immigrazione della regione Marche che ha ribadito le decisioni e gli orientamenti già adottati in precedenza ed ha quindi ribadito la volontà di accelerare i tempi di approvazione di questa legge che contiene l’articolo citato.
La stessa Provincia di Ancona si espressa in maniera decisa rispetto alla possibilità di realizzazione di un Cie nel territorio provinciale. Ovviamente queste sono le posizioni istituzionale frutto anche di un grande fermento a livello di movimento: assemblee riunioni incontri. Ci si sta insomma organizzando per riuscire a contrapporre alle ipotesi paventate dal ministero il massimo di resistenza possibile.

D: Giustamente fin dalle prime battute inquadravi questa decisione di aprire i nuovi centri all’interno di un quadro normativo che prevede molto altro per i migranti presenti nei nostri territori.

Si va dal prolungamento dei tempi di detenzione a sei mesi già operativo dopo la pubblicazione del cosiddetto decreto anti-stupri, a tutti i dispositivi contenuti nel disegno di legge 733 approvato dal Senato e che ora approderà alla Camera.

R: La scelta, è evidente, è quella di proiettare sul piano normativo un impostazione fortemente segregazionista e discriminatoria, su questo non ci sono dubbi.
E’ un’operazione sviluppata, pensata e ragionata, dentro ad un contesto, quello della crisi, all’interno del quale, da un lato si vogliono approntare strumenti di intensificazione dei meccanismi di controllo e di repressione che sono riferiti ai migranti in particolare, ma che già con il disegno di legge 733 si estendono a tutti. Sono meccanismi di controllo, questi, molto forti, molto gravi, che ovviamente maturano dentro una previsione oramai appurata a livello internazionale secondo cui questa crisi porterà ad un livello di conflittualità sociale molto alto. Da un lato quindi dicevo emerge questo tipo di esigenza, dall’altro c’è l’esigenza di individuare, di indicare, dentro a questo scenario, un soggetto espiatorio che in questo caso è ricercato nella figura del migrante.
Dentro questo tipo di regia si elaborano testi di legge che sono veramente pesantissimi e che mettono definitivamente in crisi qualsiasi ipotesi di stato di diritto di stampo novecentesco

D: Facciamo un passo indietro allora, provando a chiarire il come si profila questo quadro normativo di restrizione delle libertà per tutti.

R: Il testo del disegno di legge è complesso e composto da molti articoli. Possiamo però sottolineare l’intensificazione forte dei meccanismi di carcerazione generale che contiene, con un’intensificazione delle pene, un potenziamento molto consistente dei poteri del Ministero dell’Interno che acquisisce anche forti spazi di arbitrarietà su comportamenti o condotte legate all’opinione. C’è poi una logica di intensificazione dei poteri repressivi a livello territoriale, attraverso le ordinanze, per esempio, dei sindaci che, nei contenuti, possono essere progressivamente modulate da nuovi interventi da parte dello stesso Ministero. Ci sono poi norme specifiche in materia di immigrazione che riguardano la possibilità di contrarre matrimonio o le garanzie connesse ai diritti dei lungo soggiornanti
E’ insomma un testo complesso che in via generale immette all’interno del nostro ordinamento una spirale dentro cui si intensifica l’entità delle pene, si semplificano i meccanismi di carcerazione e si diffondono i dispositivi di controllo.
Quando parliamo di un quadro normativo di questo genere parliamo di qualcosa che riguarda tutti noi. La possibilità – tralaltro anticipata nel decreto legge – di installare telecamere anche in luoghi aperti al pubblico (non parliamo più quindi solo di strade) dà un’idea, anche se si tratta solamente di una delle tante fra quelle contenute nel dispositivo normativo, di quale sia il crinale sul quale ci si sta muovendo.

Tutto questo ovviamente ci porta però ad ulteriori ragionamenti. In questi ultimi tempi abbiamo assistito – la questione di Eluana Englaro è un esempio – a polemiche intorno al tema della difesa della Costituzione. Bisogna sottolineare in maniera molto chiara che la Costituzione rischia, in questo quadro, di diventare un semplice simulacro. Di fatto le garanzie materiali pur contenute in quel testo sono ad oggi state svuotate con provvedimenti ordinari come il disegno di legge in discussione in Parlamento.

D: Torniamo alla questione dei Cie ed alla possibile apertura di nuovi centri in aree individuate dal Viminale. Il Ministero dell’Interno ha scelto per il momento, anche a fronte delle reazioni di molti enti locali, di non rendere pubblica la lista dei siti.

R: La questione, anche da questo punto di vista, è molto complessa, ovviamente il Governo si è tutelato, perchè tutta questa materia legata all’individuazione delle aree ed alla realizzazione dei Cie è di competenza totale dell’autorità centrale. Il Governo ha insomma gli strumenti per poter scavalcare le decisioni assunte a livello territoriale in questo campo, almeno dal punto di vista formale. Poi dal punto di vista sostanziale lo scenario è ben più intricato perchè comunque queste strutture, inserite all’interno di un contesto locale, hanno bisogno di reti di connessione territoriali. Quindi in questa prospettiva, la nostra capacità, su tutti i piani, da quello di movimento a quello delle scelte istituzionali, di creare una forte ostilità, una forte inimicizia nei confronti di questa operazione, è in grado di creare seri problemi.
D’altra parte consideriamo anche che l’idea di realizzare nuovi centri di permanenza è ormai datata.
Molti centri non sono stati realizzati finora proprio perchè si temeva di poter aprire una grande conflittualità a livello territoriale. Questo è stato espressamente dichiarato anche in documenti ufficiali, per esempio in uno diffuso dalla Corte dei Conti che qualche anno fa rilevava come parte delle somme messe a disposizione per la realizzazione dei centri non fossero state spese. Su questo tema la risposta del Governo fu esplicita. Secondo l’esecutivo si è trattato di una scelta imposta dalla resistenza delle comunità territoriali alla realizzazione delle strutture.
Dal punto di vista tecnico insomma il governo ha tutti gli strumenti per scavalcare le opposizioni al suo progetto, dal punto di vista materiale non è però poi così facile superare le resistenze. Il nostro compito io credo oggi sia questo: costruire nei territori il più alto livello di ostacoli, di indisponibilità, alla realizzazione dei Cie. Mi sembra che le indecisioni ed i rinvii delle ultime ore, insieme alle difficoltà che il Governo riscontra nel diramare notizie chiare e certe, sia già il sintomo del riconoscimento di una forte criticità nella realizzazione del progetto di allargamento dei Cie.

Vedi anche:
The road to Lampedusa – L’inferno ora dura 6 mesi
Cie a Falconara. Interviene l’ass. regionale Amagliani: “Strutture lesive dei diritti universali delle persone”

Avv. Paolo Cognini (Ancona)

Foro di Ancona.
Esperto in Diritto Penale e Diritto dell’immigrazione e dell’asilo, da sempre impegnato nella tutela dei diritti degli stranieri.

Socio ASGI, è stato docente in Diritto dell'immigrazione presso l'Università di Macerata.

Autore di pubblicazioni, formatore per enti pubblici e del privato sociale, referente della formazione del Progetto Melting Pot Europa.


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